Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23578 del 17/02/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23578 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FINAZZI FEDERICO GIUSEPPE MAURO N. IL 22/05/1981
avverso la sentenza n. 3868/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
06/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Uditeli” Procuratore Generale in e ersona del Dott.
che ha concluso per

.

;

Udit i slifensor Avv.

Data Udienza: 17/02/2014

(

%

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Dott. Eugenio Selvaggi che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito per l’imputato, l’avv. Orazio Gentile, che ha concluso
riportandosi al ricorso ed evidenziando la prescrizione del reato
RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza del 6.11.2012 la Corte d’Appello di Milano

confermava la sentenza emessa dal locale Tribunale in data 19.3.2009,
con la quale Finazzi Federico Giuseppe Mauro era stato condannato alla
pena di anni due di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore
della parte civile, liquidato in euro 50.000,00, per aver cagionato a
Matera Giuseppe lesioni volontarie gravissime, consistite in una avulsione
traumatica parziale del padiglione auricolare destro, mediante un morso,
determinante uno sfregio permanente al viso.
2. Avverso tale sentenza il Finazzi, a mezzo del suo difensore, ha
proposto ricorso per Cassazione, lamentando:
-con il primo motivo, l’inosservanza di norme processuali stabilite a
pena di inutilizzabilità ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. c) c.p.p.
ed il vizio di motivazione, atteso che la persona offesa, costituita parte
civile, Matera Giuseppe, è statc . ascoltata come teste neutro, senza le
cautele di cui agli artt. 64 e 371/2 lett. b) c.p.p. con la conseguenza che
le sue dichiarazioni sono appunto inutilizzabili; in particolare, il Matera era
da ritenersi teste collegato, essendo imputato di reato commesso in
danno dell’offensore, ma ciononostante, è stato sentito nel processo di
primo grado come teste, senza alcuna garanzia stabilita dalla legge, con
la conseguenza che la prova è stata illegittimamente acquisita, inficiando
la sentenza di condanna nei confronti del ricorrente, condannato anche in
base alle dichiarazioni rese dal Matera;
-con il secondo motivo, la contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. e) c.p.p.,
risultando il vizio dalla sentenza impugnata e da altri atti del processo,
nonché la violazione dell’art. 52 c.p., dovendo essere applicata la
disciplina della legittima difesa; invero, l’imputato agì in evidente stato di
legittima difesa, essendo stato preso a calci e pugni, strattonato, con i
capelli tirati, strozzato e bloccato sul cofano di una macchina, per cui
cercò di fermare il Matera con un gesto necessitato, che cagionò lesioni al
proprio aggressore, al fine di aver salva la vita, o quantomeno
l’incolumità personale; in particolare, non corrisponde al vero la

.1,

circostanza indicata nella sentenza impugnata, secondo la quale
l’imputato aveva le mani e le braccia libere -sicchè avrebbe potuto
divincolarsi ed evitare l’evento lesivo- non risultando dagli atti traccia di
tale circostanza e tale distorsione delle risultanze processuali ha minato
l’intero ragionamento della Corte; dagli atti si riscontrano, invece, tutti gli
elementi a fondamento della scriminante in esame e segnatamente:
l’offesa ingiusta prima della reazione dell’imputato, essendo stato il
Matera condannato, sia in primo che in secondo grado, per l’aggressione

compisse l’azione di difesa oggetto del presente giudizio e, comunque,
l’offesa perpetrata era ex ante certamente diretta a ledere un diritto
dell’imputato, come comprovato dall’utilizzo da parte dei testi delle parole
quali aggressione, strangolamento, pugno, manata, strozzamento; la
proporzione ex ante tra difesa e offesa, atteso che il Matera stava
concretamente minacciando il bene salute ed il bene vita del ricorrente
con lo strozzamento e, dunque, quest’ultimo ebbe a reagire a sua volta
minando il bene salute del Matera, laddove la corte di merito, pur dando
atto che la proporzione andava valutata ex ante, contraddittoriamente ha
effettuato un ragionamento ex post, fondando il proprio convincimento
sull’entità delle lesioni medicalmente accertate, rispetto alla sensazione
provata dall’imputato di soffocamento e di soccombere; la difesa
necessaria a fronte di un pericolo, attuale, imminente, immediato, atteso
che il ricorrente stava soccombendo e non aveva possibilità alternativa
all’offesa, non potendo scegliere alcuna fuga e la disperazione del gesto
dimostra indirettamente la condizione di inferiorità;
-con il terzo motivo, in via subordinata, la contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, primo comma,
lett. e) c.p.p., risultando il vizio dalla sentenza impugnata e da altri atti
del processo, nonché la violazione degli artt. 52 c.p. e 59/4 c.p., dovendo
essere applicata la disciplina della legittima difesa putativa, ovvero, in
subordine, dell’eccesso colposo di legittima difesa; in particolare,
l’imputato ebbe a ritenere per errore come sussistenti i requisiti di cui
all’art. 52 c.p. e la presenza, invero, del Pennesi ai fatti, non poteva
costituire elemento idoneo a far ritenere che egli fosse protetto; in ogni
caso, è applicabile nella fattispecie l’eccesso colposo di legittima difesa,
con conseguente punizione dell’imputato a titolo di colpa e
rideterminazione della pena e del risarcimento del danno, potendo
ritenersi che l’imputato, stordito dall’aggressione ebbe ad agire in modo
sproporzionato;

posta in essere nei confronti del ricorrente, pochi istanti prima che egli

-con il quarto motivo, sempre in via subordinata, la contraddittorietà,
manifesta illogicità della motivazione e la violazione di legge in relazione
agli artt. 62 n. 2 e 5 c.p.; invero la Corte di merito, con motivazione
censurabile, non ha ritenuto sussistente il fatto ingiusto altrui, a fronte
del quale il Finazzi agì in stato d’ira; in ogni caso, andava applicata
l’attenuante di cui all’art. 62 n. 5 c.p., posto che l’aggressione del Matera
costituiva l’antecedente logico alla reazione del ricorrente ed eliminando
mentalmente tale aggressione fisica, non vi sarebbe stata alcuna lesione

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è inammissibile ai sensi dell’art. 606/3 c.p.p., sicchè
non è preclusa a questa Corte la possibilità di rilevare e dichiarare cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (Sez.Un., n.23428 del
22/03/2005; Sez. IV, n.31344 dell’ 11/06/2013).
2. Per il reato per cui è processo, invero, è maturato successivamente
alla sentenza di secondo grado, alla data odierna, il termine di
prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, a decorrere dal 3.7.2005, ma
l’obbligo della immediata declaratoria di tale causa di estinzione, sancito
dal primo comma dell’art. 129 c.p.p., implica nel contempo la valutazione
della sussistenza in modo evidente di una ragione di proscioglimento
dell’imputato, alla luce della regola di giudizio posta dal secondo comma
del medesimo art. 129 c.p.p., rilevabile, tuttavia,

soltanto nel caso in

cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione
del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano
dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione
che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di
“constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di
“apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento (Sez. III, n.10221 del 24/01/2013).
Nel caso di specie non ricorrono in modo evidente ed assolutamente non
contestabile ragioni di proscioglimento dell’imputato, ai sensi dell’art. 129,
secondo comma, c.p.p., risultando pacifico che l’ imputato cagionò lesioni
al Finazzi, sebbene lo stesso invochi l’esercizio della legittima difesa,
esimente questa che, per quanto si dirà innanzi, non è ravvisabile nel
caso in esame , sicchè, quanto agli effetti penali, la sentenza impugnata
va annullata senza rinvio per essere il reato ascritto all’imputato estinto
per prescrizione.

3

ai danni della parte civile.

3. L’estinzione del reato per prescrizione, comporta che l’impugnazione
debba essere decisa agli effetti civili, essendovi stata condanna al
risarcimento dei danni nei confronti dell’imputato ed all’uopo il ricorso va
rigettato.
3.1. Il primo motivo di ricorso -con il quale l’imputato lamenta
l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese, nel corso del giudizio di primo
grado, da Matera Giuseppe, quale teste neutro, non precedute, quindi
dagli avvisi ex art. 64 c.p.p. e segnatamente di quello di cui al comma 30

è infondato. Basta all’uopo richiamare i principi affermati da questa Corte,
esattamente riferibili anche alla fattispecie in questione, secondo i quali ,
in caso di esame dibattimentale in qualità di testimone di imputato di
reato connesso, o interprobatoriamente collegato, di cui all’art. 197-bis,
comma 2, c.p.p., allo stesso non deve essere dato l’avviso di cui all’art.
64, comma 3, lett. c), c.p.p. (Sez. V, n. 12976 del 23/02/2012). Il
richiamo all’art. 64, comma terzo, lett. c) c.p.p., in particolare, non
implica affatto che sussista anche l’obbligo dell’avviso in questione, atteso
che il detto richiamo, avuto riguardo al suo testuale tenore ed alla finalità
dell’art. 197 bis c.p.p. (chiaramente individuabile in quella di tutelare
essenzialmente il soggetto chiamato a rendere dichiarazioni dal pericolo di
conseguenze per lui pregiudizievoli), ben può essere inteso come
funzionale soltanto a circoscrivere la possibilità dell’assunzione come teste
di chi sia imputato di reato connesso o interprobatoriamente collegato alla
sola ipotesi che egli, come previsto appunto dalla norma richiamata,
debba rendere “dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di
altri”, senza che debba per ciò essere anche avvertito che, in tal caso,
“assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone, salve le
incompatibilità previste dall’art. 197 e le garanzie di cui all’art. 197 bis,
posto che tale avvertenza, mentre ha un senso nel caso dell’interrogatorio
(al quale si riferisce l’art. 64 c.p.) dal momento che esso è condotto nei
confronti del soggetto sottoposto a indagine e si svolge al di fuori delle
garanzie del contraddittorio, non avrebbe invece senso alcuno quando,
essendosi nella sede dibattimentale, in cui tali garanzie sono presenti, il
soggetto sia chiamato a riferire quanto a sua conoscenza nella già
dichiarata (e non futura ed eventuale) veste di testimone, con
l’assistenza, per giunta, del difensore, come previsto dall’art. 197 bis
c.p.p., comma 3. Ciò trova conferma nel fatto che l’obbligo
dell’avvertimento è invece espressamente previsto, non a caso, dall’art.
210 c.p.p., comma 6, che trova applicazione quando, trattandosi sempre
4

lett. c) c.p.p., pur essendo il predetto imputato in procedimento collegato-

S

di soggetti imputati di reati connessi o interprobatoriamente collegati che
non abbiano reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità
dell’imputato, essi siano citati nella anzidetta qualità e assumano quindi
solo eventualmente, proprio a seguito di detto avvertimento e qualora
non intendano avvalersi della facoltà di non rispondere, come previsto
appunto dalla citata disposizione normativa, la veste di testimoni c.d.
“assistiti”.
In ogni caso, in linea con quanto già ritenuto da questa Corte (Sez. V, n.

dell’art. .;ité- 197 bis, comma 2, all’art. 64 c.p.p., comma 3, lett. c),
comporti anche l’obbligo dell’avviso, non potrebbe, comunque, affermarsi
che l’inosservanza di tale obbligo dia luogo all’inutilizzabilità dell’acquisita
deposizione testimoniale, atteso che detto richiamo non si estende al
citato art. 64, comma 3 bis, che prevede appunto la sanzione
dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni concernenti la responsabilità di terzi
nel caso di omissione dell’avviso in questione e la cui applicabilità non
avrebbe ragion d’essere nella sede dibattimentale, attesa la necessaria
presenza, a differenza di quanto si verifica in sede di interrogatorio, dei
difensori dei terzi interessati, vale a dire degli imputati ai quali dette
dichiarazioni si riferiscono; all’uopo vale ancora il fatto che l’art. 210
comma sesto c.p.p., nel prevedere espressamente, come si è detto,
l’obbligo dell’avviso di cui all’art. 64, comma 3, lett. c), ometta, tuttavia, il
richiamo alla sanzione dell’inutilizzabilità.
3.2 Il secondo motivo di ricorso del pari è infondato, atteso che non si
ravvisano nella sentenza impugnata i vizi denunciati di illogicità della
motivazione e di violazione dell’art. 52 c.p., stante l’inconfigurabilità nella
fattispecie in esame di tale esimente. Va innanzitutto evidenziato che la
sentenza di appello ha richiamato integralmente, quanto alla ricostruzione
dell’accaduto, la sentenza di primo grado, nella quale il giudice ha dato
atto con motivazioni congrue e convincenti di dare maggiormente credito
alla versione dei fatti resa dai testi Pennesi e Belleri, rispetto alla versione
dell’imputato. In particolare, per concorde versione di tali testi, il Finazzi
fu oggetto di un pugno quasi completamente schivato per essere poi
spinto sul cofano della macchina; successivamente, la persona offesa
prendeva per

i

capelli l’imputato ed in quest’ultima fase della

colluttazione, che durò brevissimi secondi, il Finazzi non aveva le mani e
le gambe bloccate (come da dichiarazioni del Pennesi a fol. 65 e della
Belleri al fol.35) e del resto tale risultato risulta impossibile da parte di un
solo contendente. In tale contesto, la sentenza di primo grado e quella

5

12976 del 23/02/2012), quand’anche volesse ritenersi che il richiamo

•1

d’appello che la richiama, hanno ritenuto che, avendo il Finazzi altre vie
per difendersi, diversa da quella prescelta, non fosse proporzionata la sua
reazione di mordere violentemente il padiglione auricolare destro del
Matera, sì da staccarlo, stante la brevissima durata dell’aggressione da
lui subita, in relazione all’azione di costringimento del collo che l’imputato
afferma di aver temuto, quanto agli effetti che potevano derivargli e che
conseguentemente non potesse configurarsi nel caso in esame la legittima
difesa, difettando gli estremi della inevitabilità del pericolo e della

Tale valutazione va condivisa alla luce dei principi più volte affermati
da questa Corte. Innanzitutto, va richiamato il principio secondo il quale
l’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale (o
putativa e dell’eccesso colposo) deve essere effettuato con un giudizio “ex
ante” calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete
che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di
carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente
apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le
modalità del singolo episodio in sè considerato, anche gli elementi
fattuali che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza
dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta
aggressione, senza tuttavia che possano considerarsi sufficienti gli stati
d’animo e i timori personali (Sez. I, n. 13370 del 05/03/2013). Inoltre,
affinché possa ritenersi sussistente la scriminante della legittima difesa, i
requisiti della necessità di difendersi e della proporzione tra difesa e
offesa vanno intesi nel senso che la reazione deve essere, in quella
circostanza, l’unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa
egualmente idonea alla tutela del diritto proprio o altrui (Sez. IV, n.
32282

del

04/07/2006).

Con riguardo specifico alla proporzione fra offesa e difesa, da valutare
ex ante, il giudice d’appello senza vizi logici e conformemente a legge ha
concluso, nel caso in esame, in senso negativo, evidenziando che il
Finazzi ha utilizzato un mezzo immediatamente e violentemente lesivo,
pur essendo, secondo le testimonianze acquisite, con le mani e le gambe
libere, con la possibilità di agire con esse per contrastare la forza che
riteneva soverchiante del suo avversario. Quanto, poi, ai beni giuridici in
conflitto, correttamente la corte di merito ha evidenziato che la rilevante
lesività del violento morso al padiglione auricolare, comparata con la
sensazione di soccombere che il Finazzi ha dichiarato di aver provato in
conseguenza del fatto che il Matera incombeva con tutto il peso del suo

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proporzione tra offesa e difesa.

corpo sul suo corpo induceva a ritenere che non vi fosse un pregiudizio
urgente per l’incolumità del Finazzi, posto che il Matera era praticamente
sdraiato su di lui, senza che ciò lasciasse intendere ulteriori pericoli per la
sua incolumità. Infine, la circostanza riferita dai testi, secondo cui
l’imputato avrebbe morso all’orecchio il Matera dopo pochissimi istanti dal
momento in cui quest’ultimo lo aveva sopraffatto, spingendolo sul cofano
dell’automobile in questione, induce ragionevolmente a ritenere trattarsi
di una fulminea determinazione offensiva, piuttosto che una possibile

La circostanza poi messa in risalto con il presente ricorso, secondo cui
non corrisponderebbe al vero quanto indicato nella sentenza impugnata
circa il fatto che l’imputato aveva le mani e le braccia libere, trova
smentita nel tenore delle dichiarazioni esattamente riportate nella
sentenza di primo grado, alla quale si è riportata la sentenza d’appello.
3.3 Infondato si presenta, altresì, il terzo motivo di ricorso, atteso
che non si ravvisa alcun vizio nel ragionamento della Corte di merito, che
ha escluso la ricorrenza nella fattispecie in esame della legittima difesa
putativa, ovvero, in subordine, dell’eccesso colposo di legittima difesa.
Giova all’uopo richiamare il principio secondo cui la legittima difesa
putativa postula i medesimi presupposti di quella reale, con la sola
differenza che nella prima la situazione di pericolo non sussiste
obiettivamente, ma è supposta dall’agente sulla base di un errore
scusabile nell’apprezzamento dei fatti, determinato da una situazione
obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in
presenza del pericolo attuale di un’offesa ingiusta; sicché, in mancanza di
dati di fatto concreti, l’esimente putativa non può ricondursi ad un criterio
di carattere meramente soggettivo identificato dal solo timore o dal solo
stato d’animo dell’agente (Sez. V, n. 22015 del 04/04/2013).
In proposito già la sentenza di primo grado aveva correttamente
evidenziato che, dalla ricostruzione degli accadimenti, non emerge la
ricorrenza di un fatto, che pur malamente interpretato, abbia avuto la
possibilità di determinare nell’agente la persuasione circa la sussistenza
dei requisiti della legittima difesa, ove si consideri che la reazione fu
immediata, sicchè l’imputato non ha fatto in tempo a rendersi conto di
un ipotetico pericolo e, comunque, come evidenziato dal giudice d’appello,
lo stesso era certo, in quella situazione, di poter contare sull’aiuto del
Bellesi, in compagnia del quale era giunto.
Per quanto concerne, poi, la configurabilità dell’eccesso colposo
anch’esso correttamente è stato escluso. Vanno specificamente richiamati

7

meditata e razionale reazione all’aggressione.

i principi più volte affermati da questa Corte, secondo i quali, non può
essere configurato l’eccesso colposo previsto dall’art. 55 c.p. in mancanza
di una situazione di effettiva sussistenza della singola scriminante, di cui
si eccedono colposamente i limiti (Sez.I, n. 18926 del 10/04/2013) ed, in
particolare, quando sia stata accertata l’inadeguatezza della reazione
difensiva, sicché, per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione
dell’aggredito, in un preciso contesto spazio temporale, si debba
escludere che quest’ultimo sia dovuto ad un mero errore di valutazione

non rientrante nello schema delineato dall’art. 55 c.p. (Sez. I, n. 1490 del
29/11/2012), così come nella fattispecie in esame.
3.4. Il quarto motivo di ricorso, in quanto finalizzato al
riconoscimento delle attenuanti di cui all’art. 62 n. 2 e 5 c.p. ed
interessando, quindi, esclusivamente il trattamento sanzionatorio, resta
assorbito dall’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, agli
effetti penali, per l’intervenuta prescrizione del reato.
4. La sentenza impugnata, dunque, va annullata senza rinvio per
essere il reato estinto per prescrizione, laddove il ricorso va rigettato agli
effetti civili.
p.q.m.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto
per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così deciso il 17.2.2014

delle circostanze, ma sia stato invece consapevole e volontario, per cui

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