Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23550 del 30/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23550 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

Data Udienza: 30/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SEBASTIAN BABU N. IL 18/11/1963
avverso la sentenza n. 6492/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
03/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. E che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Con sentenza del 3 aprile 2013, la Corte di appello di Roma ha confermato la
sentenza emessa dal Tribunale della medesima città il 19 aprile 2011, con la quale
SEBASTIAN BABU era stato condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di
reclusione ed euro 600 di multa quale imputato di circonvenzione di persona incapace
commesso ai danni di Pensato Nunzio, deceduto 1’8 dicembre 2006.
Propone ricorso per cassazione personalmente l’imputato il quale ripropone
nella sostanza le stesse censure già dedotte e disattese in grado di appello. In
particolare, lamenta il mancato scrutinio di attendibilità delle certificazioni mediche e
delle testimonianze raccolte, alla luce delle anomalie sottolineate dalla difesa nei
motivi di appello — testualmente e diffusamente riprodotte — e del pari si rinnovano le
doglianze formulate in merito allo stato di infermità o deficienza psichica della
persona offesa e alla sottovalutazione dell’apporto delle dichiarazioni rese dall’avv.
Greco. Si denuncia, infine, la valutazione solo in termini presuntivi della induzione
alla redazione del testamento in favore dell’imputato e dell’abuso delle precarie
condizioni fisiche e psichiche della vittima.
Il ricorso è palesemente inammissibile, in quanto il ricorrente si limita a
rievocare le medesime doglianze che avevano già formato oggetto di specifica
devoluzione in grado di appello, senza orientare i motivi di ricorso verso autonome
ed argomentate critiche impugnatorie, tali da integrare i solo assertivamente enunciati
vizi di legittimità. Per un verso, dunque, i motivi risultano evocativi di censure di
merito, tese a conseguire un nuovo scrutinio valutativo del compendio probatorio già
ampiamente scandagliato nel doppio grado di merito; sotto altro profilo, i motivi
stessi risultano nella specie viziati da aspecificità, in quanto nella sostanza non
autonomi rispetto alle critiche già rassegnate in sede di gravame, tanto sui profili di
merito che su quelli in rito, essenzialmente concentrati sulla utilizzazione della
documentazione sanitaria concernente la persona offesa. Aspetto, quest’ultimo,
adeguatamente scandagliato dai giudici a quibus con motivazione puntuale e
giuridicamente corretta ed ora nuovamente contestata dal ricorrente, senza apporto,
tuttavia, di argomenti nuovi o diversi da quelli già scrutinati. La giurisprudenza di
questa Corte è infatti ormai da tempo consolidata nell’affermare che deve essere
ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le
stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli
stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve
essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma
anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione
impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che
quest’ultima non può ignorare le esplicazioni del giudice censurato senza cadere nel
vizio di specificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lettera c), cod. proc.
pen., alla inammissibilità della impugnazione (Cass., Sez. I, 30 settembre 2004,
Burzotta; Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2002, Notaristefano; Cass., Sez. IV, 11 aprile
I

OSSERVA

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende. Condanna
altresì il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile
Russi Ornella che liquida in complessivi euro 1.500 oltre IVA e CPA.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2014
Il Consi 1 e estensore

Il Presidente

2001,; Cass., Sez. IV, 29 marzo 2000, Barone; Cass., Sez. IV, 18 settembre 1997,
Ahmetovic).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 alla luce dei principi
affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000. Il ricorrente va
altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che
si liquidano come da dispositivo.

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