Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23534 del 14/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23534 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI L’AQUILA
nei confronti di:
DANAJ XHAFERAJ SHPETIM N. IL 17/02/1970
avverso l’ordinanza n. 463/2013 TRIB. LIBERTA’ di L’AQUILA, del
13/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
PEZZELLA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Guh ritié2e. bco._?_2_ottct
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Data Udienza: 14/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 13.1.2014 il Tribunale del Riesame de L’Aquila ha
accolto la richiesta di riesame avanzata da DANAJ SHPETIM avverso l’ordinanza
con cui in data 9.9.2013 il Gip presso il medesimo tribunale aveva disposto nei
confronti dello stesso la misura cautelare della custodia in carcere, disponendone
per l’effetto l’immediata remissione in libertà se non detenuto per altra causa.
DANAJ SHPETIM era stato raggiunto dall’ordinanza custodiale in quanto
indagato, nell’ambito del proc. n. 2729/2012 R.G.N.R.:

n. 146 perché si associava con altri allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti di importazione -trasporto- acquisto- vendita e comunque illecita detenzione di sostanze stupefacenti del tipo eroina, in quantitativi assolutamente ingenti, ed in particolare allo scopo di commettere i vari reati fine indicati
e separatamente contestati, con il ruolo, con altri, di promotore ed organizzatore
del sodalizio, con lo scopo di reperire i vari canali di approvvigionamento dello
stupefacente dai Paesi d’origine e di inviarlo in Italia dove l’associazione poteva
contare su una serie di referenti connazionali stabilmente dimoranti in città chiave per la successiva rivendita ad altre organizzazioni. In Albania, Kossovo, Italia
e segnatamente a Pescara, Chieti, Teramo, Roma, Milano, Asti, Mantova, Ravenna ed altri luoghi del territorio nazionale da epoca antecedente al luglio 2005 almeno fino a tutto l’anno 2007. Con la recidiva specifica, reiterata.
• per sedici diverse imputazioni relative al delitto di cui agli artt. 81 cpv. ,
110 cod. pen, 73 co. 1 e 6, e 80 DPR 309/90 perché con più azioni esecutive di
un medesimo disegno criminoso e in tempi diversi, in concorso con altri e senza
l’autorizzazione di cui all’art. 17 e fuori dalle ipotesi di cui all’art. 75 del medesimo decreto, compravendevano ingenti quantità di eroina.
In Albania e in Italia in un arco temporale tra il 2 agosto 2005 e il 29 novembre 2006.

• per il delitto di cui all’art. 74 co. 1, 2, 3 e 4 Dpr 309/90 e 4 I. 16.3.2006

2. Ricorre per la Cassazione del provvedimento il Procuratore della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia de L’Aquila.
Il PM ricorrente lamenta che il tribunale del riesame abbia ritenuto insussistenti le esigenze cautelari poste a fondamento della misura applicata sul presupposto che occorresse specificamente argomentare in merito all’attualità, in
rapporto al tempo trascorso dalla commissione del reato e che abbia evidenziato
come sia il PM che il GIP siano risultati carenti nei confronti di tale obbligo di motivazione.
Dopo aver ricordato, ancora, come il Collegio abbia ritenuto che l’organo
inquirente e giudicante (di conseguenza) abbiano fatto riferimento soltanto alla

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i

gravità delle condotte e non all’attualità delle stesse, soprattutto se si osservano
le “condotte recenti sintomatiche della persistenza dell’inclinazione a delinquere
il rilevanti sotto il profilo prognostico” , il PM ricorrente afferma, invece, la tesi
che le esigenze cautelari, a fronte di un reato del genere, sarebbero evidenti.
Viene sottolineato, in primo luogo, che l’indagato risponde di numerosi
reati gravi di importazione di eroina per quantitativi ingenti, ma anche che è stato delineato quale promotore di una delle tre organizzazioni criminali che dall’Albania, tramite il Kossovo, portavano in Italia lo stupefacente.

personalità e sul fatto che in Italia sia già gravato da reati simili, tanto da avere
una recidiva specifica reiterata.
Nel ricorso si lamenta che il tribunale non abbia posto per nulla l’accento
sulla personalità dell’indagato e non abbia valutato assolutamente il quadro indiziario a suo carico, dimenticando che necessario motivare la carenza di esigenze
anche riferimento alla personalità e al tipo di reato per il quale si risponde.
Si evidenzia, per meglio chiarire il contesto accusatorio, che l’indagine ha
avuto un ampio respiro, con rogatorie internazionali e azioni sotto copertura, regolarmente autorizzate, da cui è emerso che il Danaj è da considerarsi il capo indiscusso dell’organizzazione criminale in Albania.
Si lamenta che la motivazione del tribunale sarebbe del tutto apparente.
Ciò, in primo luogo, perché, contrariamente a quanto affermato nel provvedimento impugnato, la condotta tenuta dall’indagato sarebbe ben descritta sia
per le singole ipotesi di reato che in relazione all’articolo 74 d.p.r. 309/90 e poi
perché il provvedimento impugnato basa la sua motivazione sulla mancanza di
pericolo di reiterazione dei reati della stessa specie di quelli per i quali si procede
solo in riferimento alla data del commesso reato; pertanto non vi è stata valutazione della gravità della condotta e della personalità desumibile dai precedenti
specifici.
Ci si duole che, nella scarna motivazione del tribunale, l’attualità sia confusa con la concretezza del pericolo di reiterazione di reati similari.
Viene anche ricordato che per gli indiziati di far parte del sodalizio di cui
all’articolo 74 d.p.r. 309/90, per il disposto dell’articolo 275 co.3 cod. proc. pen.
come modificato sul punto dalla sentenza 231/2011 della Corte Costituzionale, la
custodia in carcere si presume unica misura adeguata, salvo che siano acquisiti
elementi specifici relazionar caso concreto da cui risulti diversamente: elementi
che nella specie difetterebbero in modo assoluto.
Si pone all’attenzione di questa Suprema Corte il fatto che, proprio alla
luce del tempo trascorso dalla commissione dei fatti, esplicitamente rilevante per
il legislatore come si desume dall’articolo 292 co. 2 lett. c) cod. proc. pen. si è,

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Il PM ricorrente si duole che il tribunale avrebbe sorvolato anche sulla sua

ritenuto che le esigenze cautelari non necessitassero nella misura custodiate per
tutti i concorrenti marginali che hanno ruotato nell’orbita dello spaccio professionale, di ben maggiore gravità, posto in essere dai soggetti investigati.
Sono stati, pertanto, esclusi dall’applicazione della misura quei piccoli
spacciatori che hanno ricevuto quantità nell’ordine delle decine di grammi per
volta, per un periodo limitato, e che non fossero gravati da recidive ai sensi dei
commi 2, 3 e 4 dell’articolo 99 cod. pen.

Si chiede quindi a questa Suprema Corte di annullare il provvedimento
impugnato

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

2. Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame motiva in punto di assenza
di esigenze cautelari, premettendo che, ai sensi dell’ art. 292 lett. c) cod. proc.
pen., nell’ esposizione delle esigenze cautelari poste a fondamento della misura
applicata occorre specificamente argomentare in merito all’attualità di tali esigenze in rapporto al tempo trascorso dalla commissione del reato e poi ritenendo
“che la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare (nella
fattispecie la condotta criminosa contestata è cessata nel 2007 e quindi a distanza di 6 anni dall’applicazione della misura), giacché tendenzialmente dissonante
con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo
di motivazione sia in relazione a detta attualità sia in relazione alia scelta della
misura (cfr. per tutte Cass. n. 27865 del 10/06/2009)”.
Il Tribunale prosegue poi spiegando perché, evidentemente, non ritiene,
come pure avrebbe potuto, di integrare la motivazione, laddove evidenzia che
“nella fattispecie in esame l’esposizione della richiesta approfondita analisi di-

Viene, però, fatto notare che diversa è la posizione del Danaj.

fetta o e carente sia nella ordinanza cautelare che nella richiesta del Pubblico Ministero, ovvero fa riferimento alla gravita del fatto e non alla constatazione di
condotte recenti sintomatiche della persistenza dell’inclinazione a delinquere e
rilevanti sotto il profilo prognostico”.
In altri termini, il Tribunale del riesame di L’Aquila ritiene che la richiesta
di misura cautelare non poteva essere accolta, e perciò l’ordinanza del Gip viene
annullata, difettando di dati specifici circa l’attualità delle esigenze cautelari in
relazione alla specifica posizione anche la stessa richiesta del PM.
Osserva ancora il Tribunale che “gli enunciati diretti ad evidenziare l’attualità della misura (salve alcune posizioni specificamente evidenziate) sono
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Q-

formulati in via generale e privi di una analitica individuazione per ciascuno degli
indagati delle concrete circostanze riferibili a condotte attuate dal singolo indagato, che siano sintomatiche dell’irresistibile inclinazione ed attuale determinazione
(già maturata e non solo astrattamente possibile) di ciascuno a porre in essere
attività dirette ad alterare le risultanze istruttorie, sottrarsi all’ esecuzione della
pena o intraprendere nuove iniziative criminali della stessa specie
(l’indagine emergente dagli atti depositati appare specificamente finalizzata alli
esercizio dell’azione penale e non figurano al momento diramazioni specifica-

Peraltro, va qui aggiunto, anche nell’odierno ricorso per cassazione vengono sollecitate a questa Corte valutazioni certamente pertinenti alle esigenze
cautelari, qual è quella relativa alla capacità a delinquere dell’imputato desunta
dai suoi precedenti penali o al ruolo che si ipotizza lo stesso abbia avuto
nell’organizzazione criminale, ma nulla si deduce in via specifica e concreta per
poter affermare l’attualità delle esigenze cautelari.
Non vengono, in altri termini, specificati in alcun modo, nell’atto introduttivo di questo giudizio di legittimità, profili specifici di attualizzazione della condotta.

3. Sul punto va ricordato che questa Corte ha, in più occasioni, ricordato
come in tema di misure cautelari personali, qualora venga richiesta la custodia in
carcere per reati commessi dall’imputato in epoca non recente, il giudice, nell’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano la misura richiesta ai sensi dell’art. 292 comma 2 lett. c) cod. proc. pen., deve procedere ad individuare, in modo particolarmente specifico e dettagliato, gli elementi
concludenti atti a cogliere l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione
criminosa fronteggiabile soltanto con la permanenza in carcere, evidenziando il
perdurante collegamento dell’imputato con l’ambiente in cui il delitto è maturato
e, quindi, la sua concreta proclività a delinquere (così sez. 6, n. 10673 del
15.1.2003, Khiar M. Z. ed altro, rv. 223967).
Se il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la concretezza delle condizioni di cui all’art. 274 c.p.p.,
comma 1, lett. c) (come ricorda sez. 4, n. 6717 del 26.6.2007, Rocchetti, rv.
239019) tuttavia è indubbio la distanza temporale tra i fatti e il momento della
decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di motivazione sia in
relazione a detta attualità sia in relazione alla scelta della misura (così Sez. 6, n.
27865 del 10.6.2009, Scollo, rv. 244417 nell’esaminare una fattispecie dì intervenuta adozione della custodia cautelare in carcere per fatti risalenti a tre anni
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mente dirette all’ esercizio dell’azione cautelare)”.

prima proprio in relazione ad un caso in cui erano in contestazione i reati di cui
agli artt. 74 e 73 Dpr. 309/90).
Di recente è stato ribadito come in tema di misure cautelari, lo specifico
riferimento dell’art. 292, comma secondo, lett. c), cod. proc. pen. alla valutazione del “tempo trascorso dalla commissione del reato”, implica che la pregnanza
del pericolo di recidiva si “attualizza” in proporzione diretta con il “tempus commissi delicti”, in quanto alla maggior distanza temporale dei fatti corrisponde, di
regola, un proporzionale affievolimento delle esigenze di cautela. (Sez. 6, n.

fatti contestati, integranti reati contro la P.A., erano anteriori di circa tre anni rispetto all’adozione della misura degli arresti domiciliari; conf. sez. 2, n. 47416
del 30.11.2011, Pantano, rv. 252050).

4. Nel caso che ci occupa il Tribunale del Riesame ritiene che i dati che attualizzino le esigenze cautelari manchino, come detto, anche nella richiesta del
pm.
E il pni ricorrente, a fronte peraltro di un reato associativo che risulta contestato con una data finale (individuata “almeno fino a tutto l’anno 2007”) e a
dei reati fine datati, in ultimo al 29.11.2006, nulla dice su cosa sia accaduto nei
sei anni successivi che hanno preceduto la richiesta della misura.
Sembra quasi che dalla gravità dei fatti in contestazione il Pm ricorrente
desuma una sorta di presunzione di esigenze cautelari.
Anche il richiamo alla previsione di cui all’art. 275 co. 3 cod. proc. pen.
come modificato dalla sentenza 231/2011 della Corte Costituzionale non pare
conferente con l’odierno thema decidendi.
La norma in questione, infatti, prevede una presunzione di adeguatezza
della custodia in carcere. Ma occorre pur sempre che ci siano le esigenze cautelari.
Ebbene, come rileva il tribunale aquilano, con una motivazione logica e

20112 del 26.2.2013, P.M. in Proc. Strassil e altro, rv. 255725, fattispecie in cui i

coerente, e pertanto immune da vizi di legittimità “i dati sintomatici, in forza dei
quali era presumibile attendersi nel 2007 la reiterazione della condotta criminosa, appaiono svalutati in ragione del decorso del lasso temporale (mediamente
un anno) nel corso del quale l’esigenza cautelare è attuale (opera nell’immediatezza in coordinazione con il compito di interruzione dell’attività criminosa, anziché nel futuro), senza che siano state registrate a carico del prevenuto nuove
notizie di reato per fatti sopravvenuti, soprattutto ove si consideri che la
sua attivita relazionale e stata soggetta a sorveglianza investigativa”.
Va peraltro ricordato che nel sistema processualpenalistico vigente, così
come non è conferita a questa Corte di legittimità alcuna possibilità di revisione
6

vi

degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli
indizi, non è dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche
del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle
stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e
delle misure ritenute adeguate.
Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.

Rigetta il ricorso del PM.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2014

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P.Q.M.

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