Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23529 del 05/04/2013
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23529 Anno 2013
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: TARDIO ANGELA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LA CORTE SALVATORE, nato il 16/09/1975
avverso l’ordinanza n. 387/2012 TRIBUNALE di PALERMO, del
20/12/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale dott. Carmine Stabile,
che ha chiesto rigettarsi il ricorso con le conseguenti statuizioni.
Data Udienza: 05/04/2013
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 20 dicembre 2011 il Tribunale di Palermo, in funzione
di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da La Corte Salvatore,
volta a ottenere l’applicazione della disciplina del reato continuato, ai sensi
dell’art. 671 cod. proc. pen., tra i reati oggetto di alcune sentenze di condanna
divenute definitive.
Il Giudice, a ragione della decisione, rilevava, dopo aver richiamato i principi
condotte e in assenza di ulteriori dati positivi, i reati, nonostante l’omogeneità
delle violazioni, apparivano espressione di singole volizioni criminali non
collegate e corrispondevano a uno stile di vita criminale del condannato non
compatibile con il chiesto riconoscimento del vincolo della continuazione.
2.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione
personalmente La Corte, che ne chiede l’annullamento sulla base di unico
motivo, con il quale denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge
penale in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, la richiesta doveva essere accolta in presenza dei
presupposti di legge, poiché i reati accertati hanno riguardato fattispecie di
aggressioni contro il patrimonio, tra l’altro commesse in “arco temporale
serrato”.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria
scritta, concludendo per il rigetto del ricorso per la coerenza della ordinanza al
dato normativo e ai criteri ermeneutici in ordine alla disciplina della
continuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. I fatti, cui è riferita la richiesta di applicazione della disciplina della
continuazione, sono stati presi in esame dal Giudice dell’esecuzione che ha
escluso che i comportamenti criminosi oggetto delle sentenze definitive, emesse
a carico dell’istante, fossero ricollegabili a una loro progettazione originaria.
A tal fine il Giudice ha valorizzato l’intervallo temporale intercorso tra i vari
fatti, lo stesso ritenendo circostanza ostativa alla riferibilità di tutti i
comportamenti criminosi, pur omogenei, a un “medesimo”, dunque originario,
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di diritto in materia, che, avuto riguardo all’intervallo temporale tra le singole
disegno criminoso, e ha rimarcato il rilievo della mancanza di diversi e ulteriori
elementi unificanti e la considerazione della non confondibilità del medesimo
disegno criminoso, rilevante ai sensi degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc.
pen., con la generica ricaduta nel reato o con la scelta di uno stile di vita fondato
sul delitto.
3. La valutazione condotta è assolutamente corretta in diritto, in quanto,
secondo principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, per la
preventiva, alla quale segua, per ogni singola azione, una deliberazione specifica,
mentre deve escludersi che un programma solo generico di attività
delinquenziale o un mero sistema di vita siano idonei a far riconoscere la
continuazione tra diversi reati, perpetrati con intervallo temporale, qualora non
venga a risultare, in qualche modo, che essi, tutti o in parte, siano ricompresi,
effettivamente, in un piano criminoso già deciso all’inizio (tra le altre, Sez. 1, n.
44862 del 05/11/2008, dep. 02/12/2008, Lombardo, Rv. 242098; Sez. 5, n.
49476 del 25/09/2009, dep. 23/12/2009, Notar°, Rv. 245833; Sez. 1, n. 12905
del 17/03/2010, dep. 07/04/2010, Bonasera, Rv. 246838).
Le argomentazioni del Giudice della esecuzione, coerenti con il parametro
normativo di cui all’art. 81 cod. pen., sono anche logiche e congrue rispetto agli
elementi fattuali esaminati, a fronte dei quali plausibilmente si è rilevato che
nessun elemento diverso, né desumibile dagli atti, né prospettato, poteva
portare a valutazioni diverse.
4. Le linee argomentative dell’ordinanza resistono alle censure formulate dal
ricorrente, che sono generiche nella parte in cui richiamano gli elementi di
carattere generale indicativi della identità del disegno criminoso, sono invasive,
inammissibilmente, del merito, laddove propongono una sostanziale rilettura e
valutazione del dato fattuale, relativo alla distanza temporale tra i reati, e sono
del tutto prive di fondatezza ove affidano alla omogeneità delle “fattispecie di
aggressioni contro il patrimonio” la prova del dato progettuale sottostante alle
singole condotte, che invece si identifica “con l’ideazione complessiva, con il
piano criminoso generale, di cui ciascun reato è un momento attuativo” (Corte
cost. n. 115 del 1987).
5. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
A tale dichiarazione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di
elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di
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configurabilità della continuazione è necessaria un’unica complessa deliberazione
inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta adeguata, di euro
1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Il Consigliere estensore
Il Presidente
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2013