Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23528 del 13/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23528 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GILOTTI ALESSANDRO N. IL 16/03/1955
avverso l’ordinanza n. 2154/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
03/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
lejett/sentite le conclusioni del PG Dott. 71
r3 C-

3

Uditi difensor Avv.;

p

_e_

Data Udienza: 13/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 3.12.2103, ha rigettato la richiesta
di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 13.11.2013
dal Giudice per le indagini preliminari di quella città, avente ad oggetto alcuni
serbatoi ed un’area all’interno dello stabilimento «KUPIT» della «KUWAIT» di

rappresentante legale della «KUWAIT PETRLEUM ITALIA s.p.a.», in concorso con
altri, il delitto di cui all’art. 260 d.lgs. 152\06 perché, a decorrere dal mese di
dicembre 2010, stoccava in maniera organizzata e continuativa, nonché
mediante allestimento di mezzi, acque oleose qualificate come rifiuti pericolosi,
identificati con codice CER 13.5.07, per un quantitativo pari a 42.011 mc,
all’interno di serbatoi installati all’interno del deposito fiscale KUPIT di Napoli serbatoi nr. 309, 316 e 319 – al fine di trarne profitto e, in particolare, di non
sostenere le spese per lo smaltimento (accertato in Napoli il 3 ottobre 2013,
condotta perdurante).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il
proprio difensore di fiducia.

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Premessa la testuale riproduzione del provvedimento del Pubblico

Ministero, del decreto del G.I.P. oggetto di riesame, della richiesta di riesame e
della memoria difensiva presentata, nonché del provvedimento del Tribunale ora
impugnato, il ricorrente, prese in esame singole parti dell’ordinanza, lamentava
la violazione di legge.
Segnatamente deduce:
con il primo, secondo e terzo motivo di ricorso la mancanza di
motivazione in ordine alla rilevata erroneità della qualificazione dei liquidi
stoccati nei serbatoi come rifiuto, avendo la difesa prospettato, con
articolate argomentazioni supportate da copiosa documentazione, la
riconducibilità di detti liquidi alla categoria delle acque reflue di scarico,
come tali sottratte alla disciplina generale dei rifiuti. Rileva, a tale
proposito, come la motivazione dell’impugnata ordinanza, sul punto, sia
meramente apparente e priva di riscontri alle deduzioni difensive e non
avrebbe, inoltre, spiegato le ragioni per le quali la permanenza dei liquidi
nei serbatoi rappresenterebbe il discrimine tra reflui e rifiuti;

— con il quarto motivo di ricorso la mancata considerazione, da parte dei

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Napoli (via delle Brecce), ipotizzandosi a carico di Alessandro GILOTTI, quale

giudici del riesame, degli aspetti tecnici;

con il quinto motivo di ricorso la erronea valutazione, effettuata
nell’ordinanza impugnata, circa la natura di rifiuto dei liquidi,
l’espletamento di attività di gestione di rifiuti da parte degli indagati e
l’inesistenza di atti abilitanti allo svolgimento di dette attività;

— con il sesto motivo di ricorso la inesistenza della motivazione in ordine alle

degli artt. 74, 183 e 185 del d.lgs. 152\06 secondo la lettura offerta dalla
giurisprudenza;

con il settimo, ottavo e nono motivo di ricorso la inesistenza della
motivazione ed il completo travisamento del fatto nella parte
dell’ordinanza in cui si afferma, senza ulteriori specificazioni, che i
serbatoi andavano lavati con acqua e contenevano una anomala quantità
di sostanze oleose, nonché sulla presenza di amianto;

con il decimo motivo di ricorso l’apoditticità dell’affermazione del
Tribunale con la quale, rinviando al giudizio sul merito l’approfondimento
di altre questioni, rileva la non incidenza delle deduzioni difensive sulla
base di non meglio precisati elementi e della loro sufficienza in sede
cautelare senza alcuna specificazione ulteriore;

con l’undicesimo motivo di ricorso l’inesistenza della motivazione in punto
di sussistenza del fumus del reato ipotizzato;

con il dodicesimo motivo di ricorso l’assenza di motivazione in punto di
valutazione della rilevanza della documentazione difensiva prodotta e,
segnatamente, dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) in
possesso della società «KUWAIT PETROLEUM ITALIA».
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
In data 7.5.2014 la difesa della «KUWAIT PETROLEUM ITALIA s.p.a.»,

soggetto interessato alla restituzione dei beni in sequestro, ha depositato
memoria con la quale richiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

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ragioni che avrebbero condotto i giudici del riesame alla disapplicazione

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
Va rilevato che il ricorrente sostanzialmente lamenta, con gli articolati motivi
formulati, l’assenza di motivazione in ordine a questioni rilevanti sollevate in
sede di riesame, che il Tribunale avrebbe tralasciato di esaminare. Nell’ambito di
tali rilievi, vengono peraltro posti in evidenza altri aspetti concernenti la corretta

Appare pertanto opportuno richiamare brevemente i principi già affermati
dalla giurisprudenza di questa Corte al fine di delineare l’ambito di operatività del
procedimento di riesame.

4. Detta giurisprudenza ha specificato che l’attività del giudice del riesame
riguarda la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, che non
può tradursi in anticipata decisione della questione di merito concernente la
responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di
investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie
concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla
sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi (SS. UU. n. 7, 4
maggio 2000 ed altre succ. conf.) pur permanendo l’obbligo di esaminare anche
le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza
sulla configurabilità e sulla sussistenza del “fumus” del reato contestato (Sez. III
n. 27715, 16 luglio 2010 ; Sez. III n. 18532, 17 maggio 2010).
Si è però affermato anche che compito del Tribunale del riesame è pure
quello di espletare il proprio ruolo di garanzia, non limitando la propria cognizione
alla astratta configurabilità del reato, dovendo invece considerare e valutare
tutte le risultanze processuali in modo coerente e puntuale esaminando,
conseguentemente, non solo le allegazioni probatorie del Pubblico Ministero ma
anche le confutazioni e gli altri elementi offerti dalla difesa degli indagati che
possano influire sulla configurabilità e sussistenza del fumus del reato ipotizzato
(ex pl. Sez. IV n. 15448, 20 aprile 2012; Sez. III n. 27715\ 2010 cit.; Sez. III n.
26197, 9 luglio 2010; Sez. III n. 18532\ 2010 cit., con ampi richiami ai
precedenti).
Si è pertanto chiarito che il sindacato del Tribunale del riesame non deve
estendersi ad ogni questione prospettata dall’indagato, restando in ogni caso
vincolato entro i ben precisi limiti segnati dalla effettiva influenza della questione
dedotta sulla fondatezza del fumus del reato.
Il principio di diritto è stato successivamente riaffermato più volte (Sez. III n.

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applicazione delle norme richiamate.

13038, 21 marzo 2013; Sez. III n. 19658, 24 maggio 2012, non massimata; Sez.
III n. 19331, 17 maggio 2011,non massimata; Sez. III n. 7242, 25 febbraio 2011,
non massimata), con l’ulteriore precisazione che la valutazione richiesta al
Tribunale del riesame non può ritenersi dovuta in presenza di qualsiasi
allegazione difensiva che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una
diversa lettura degli elementi acquisiti, ma solo quando la rilevanza dell’apporto
della difesa sia di immediata evidenza ed oggettivamente determinante in

5. Ciò posto, deve rilevarsi che il ricorrente, pur prospettando le proprie
deduzioni in maniera ridondante, talvolta con richiami ad atti e documenti il cui
accesso è precluso a questo giudice di legittimità e pervenendo a soluzioni
interpretative non sempre condivisibili, ha comunque colto nel segno laddove ha
stigmatizzato la assenza o mera apparenza dell’apparato motivazionale posto a
sostegno del provvedimento impugnato.
Occorre ricordare anche che la costante giurisprudenza di questa Corte si è
ripetutamente espressa nel senso che il ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio
o preventivo) può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non
anche con riferimento ai motivi di cui all’articolo 606 lettera e) cod. proc. pen.,
pur rientrando, nella violazione di legge, la mancanza assoluta di motivazione o
la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate
all’inosservanza di precise norme processuali (SS.UU. n. 5876, 13 febbraio 2004.
V. anche Sez. VI n. 6589, 11 febbraio 2013; Sez. V n. 35532, 1 ottobre 2010; Sez.
VI n. 7472, 20 febbraio 2009; Sez. V n. 8434, 28 febbraio 2007).

6. Date tali premesse, passando all’esame dell’ordinanza impugnata, deve
dirsi che la stessa non risponde ai principi dianzi delineati.
Invero il Tribunale, dopo un sommario richiamo ai compiti del giudice del
riesame ed ai fatti che avevano portato all’applicazione della misura reale si
limita ad affermare, per confutare le censure difensive, che la natura di rifiuto dei
reflui è dimostrata dalle stesse risultanze della consulenza prodotta dalla difesa,
laddove la soluzione di continuità tra il processo produttivo e lo scarico finale è
dato dal «ristagno» delle acque oleose nei serbatoi protrattosi per anni, rilevando
che la affermazione secondo la quale non vi sarebbe limite temporale alla
permanenza dei liquidi nei serbatoi si porrebbe in contraddizione con quanto
sostenuto dalla difesa medesima circa «la natura di rifiuto delle acque» ed in
contrasto con «le emergenze documentali attinenti al monitoraggio dell’impianto
di trattamento delle acque», senza null’altro aggiungere.

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relazione al “fumus commissi delicti”.

Quanto alla configurabilità, nella fattispecie, del reato «di traffico illecito di
rifiuti di all’art. 260 dell’imputazione provvisoria», pure contestata dal ricorrente,
evidenza la inconsistenza del rilievo difensivo «…essendo chiaro che qui ricorre
la più ampia ipotesi della ‘gestione’» rinviando al giudizio di merito ogni ulteriore
approfondimento.

7. Si tratta, ad avviso del Collegio, di una motivazione che non va oltre la
mera apparenza, avendo trascurato di affrontare, seppure sommariamente ed

segnatamente, quelle concernenti la natura di rifiuto dei liquidi rinvenuti nei
serbatoi e la riconducibilità della condotta entro la fattispecie delineata dall’art.
260 d.lgs. 152\06.
Tale valutazione, che non avrebbe potuto certo sconfinare in una puntuale
analisi tecnica e nell’approfondimento di dati fattuali, attività pacificamente
riservate al giudice del merito, avrebbe dovuto comunque tenere conto delle
prospettazioni della pubblica accusa, esaminandone la fondatezza sul piano
giuridico, verificando se le stesse non fossero eventualmente contraddette in
modo inconfutabile dalle argomentazioni della difesa e non risolversi, come
invece è avvenuto, in apodittiche affermazioni che risultano anche di difficile
comprensione laddove affermano la natura di rifiuto dei reflui presenti nei
serbatoi e qualificano la condotta, con riferimenti al traffico illecito ed alla
gestione dei rifiuti che appaiono impropri.

8. Occorre rilevare, quanto al primo punto, che dal capo di imputazione
riportato nel provvedimento di sequestro del Pubblico Ministero riportato
testualmente in ricorso, emerge che le «acque oleose», per un quantitativo pari a
42.011 mc, risultavano «stoccate» in alcuni serbatoi e che le stesse
«…provenienti dalle operazioni di pulitura dell’oleodotto di interconnessione tra il
deposito e il terminale marittimo Vigliena, avrebbero dovuto essere stoccate
momentaneamente per la decantazione e, successivamente, inviate all’impianto
per il trattamento dei rifiuti reflui WWT». Aggiunge l’Ufficio di Procura che gli
indagati, consapevoli dell’impossibilità di procedere ad una efficace decantazione
per l’elevata presenza di COD nelle acque e per evitare l’oneroso ricorso dello
smaltimento presso terzi, avrebbero deciso di stoccare i liquidi per tre anni nei
serbatoi sequestrati.
Analoghe affermazioni sono contenute nel provvedimento del G.I.P., il quale
evidenzia anche la pericolosità della situazione, rappresentata dalla
contaminazione dei suoli circostanti a causa di cedimenti strutturali dei serbatoi.
Si tratta, a ben vedere, di una descrizione che, sebbene sommaria, evidenzia

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entro i limiti in precedenza indicati, le questioni prospettate dalla difesa e,

chiaramente la destinazione dei liquidi allo smaltimento e la loro natura di rifiuto,
se non fosse che la difesa/contesta tale qualificazione affermando la
sussistenza, nella fattispecie, di uno scarico, stante la movimentazione delle
sostanze attraverso sistemi stabili di connessione senza soluzioni di continuità
dalla produzione del refluo fino al corpo ricettore.

9. Va ricordato, a tale proposito, che l’art. 185, comma 2, lettera a) d.lgs.
152\06 sottrae alla normativa sui rifiuti “le acque di scarico”.

quale a sua volta rinvia all’articolo 74, comma 1, lettera ff) il quale definisce lo
scarico come

“qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un

sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo
di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali, sul suolo, nel
sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura
inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione. Sono
esclusi i rilasci di acque previsti all’articolo 114”.
Dunque la disciplina delle acque trova applicazione in tutti quei casi nei quali
si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o
occasionale di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed
effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile, mentre in ogni
altro caso nel quale venga a mancare il nesso funzionale e diretto delle acque
reflue con il corpo recettore si applicherà la disciplina in tema di rifiuti.
Si è pertanto ritenuta applicabile la disciplina dei rifiuti con riferimento, ad
esempio, a reflui stoccati in attesa di successivo smaltimento (Sez. III n. 35138,
10 settembre 2009, con richiami ai precedenti. Nello stesso senso, Sez. III
n.25037, 22 giugno 2011; Sez. III n.15652, 20 aprile 2011; Sez. III n. 22036, 10
giugno 2010).
In precedenza, nel corso di un amplissimo dibattito sviluppatosi nel corso
degli anni in relazione ai diversi contenuti della normativa vigente in determinati
periodi e che non è il caso di riproporre in questa sede, il rapporto tra la disciplina
delle acque e quella dei rifiuti è stato ripetutamente esaminato, pervenendo poi
alla conclusione che il confine dell’ambito di applicazione delle due discipline va
individuato considerando l’esclusione, già contenuta nell’art. 8 del d.lgs. 22/97 e
poi sostanzialmente riprodotta nel d.lgs.152\06, come deroga parziale per il
vastissimo campo dei rifiuti liquidi limitata alle sole “acque di scarico” dirette, le
quali restano disciplinate dalla normativa di settore che si applicherà, pertanto, a
tutte le acque reflue di processo o di scarico diretto (Sez. III n. 8890, 8 marzo
2005)
La decisione richiamava anche una precedente pronuncia (Sez. III n. 1383,

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Per la nozione di scarico, occorre fare riferimento all’art. 183, lettera hh) il

29 marzo 2000) nella quale si evidenziava che

«la nozione di scarico (…)

costituisce il parametro di riferimento per stabilire, per le acque di scarico e per i
rifiuti liquidi, l’ambito di operatività delle normative in tema di tutela delle acque
e dei rifiuti, sicché solo lo scarico diretto di acque reflue liquide, semiliquide e
comunque convogliabili in corpi idrici ricettori, specificamente indicati, rientra in
tale normativa; per contro, i rifiuti allo stato liquido, costituiti da acque reflue di
cui il detentore si disfi senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole
cioè allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto su strada

smaltimento deve essere autorizzato».

10. Nel caso di specie, dunque, si sarebbe dovuto verificare, sulla base della
documentazione in atti e, lo si ripete, sempre entro il contenuto ambito di
cognizione attribuito al giudice del riesame, se la permanenza delle «acque
oleose» all’interno dei serbatoi fosse da collocarsi, come sostenuto dalla difesa,
nell’ambito della nozione di «scarico» come in precedenza delineata, costituendo
il serbatoio un luogo di mero transito dei reflui per il necessario processo di
decantazione e se l’immissione dei reflui all’interno dei serbatoi medesimi
avvenisse senza soluzione di continuità mediante un sistema stabile di
collettamento il quale, proseguendo direttamente dal serbatoio, conduce i liquidi
al corpo ricettore finale.
Tale dato fattuale, desumibile, eventualmente, dalla documentazione in atti
e, segnatamente, dai titoli abilitativi che la difesa assume esistenti e che devono
necessariamente individuare l’intero percorso dello scarico, poteva peraltro
essere escluso, così riconoscendo immediatamente la validità della qualificazione
come rifiuto operata dal Pubblico Ministero procedente, dall’esistenza di una
qualsiasi interruzione della necessaria continuità della condotta, dalle modalità e
tempi di permanenza dei reflui nei serbatoi e da altri elementi sintomatici di un
processo di trattamento e smaltimento diverso da quello tipico dello scarico di
acque reflue quali, ad esempio, la movimentazione del liquido con modalità
diverse, la permanenza nei serbatoi per ragioni diverse dal processo di
decantazione, lo stato di conservazione dei liquidi e dei serbatoi che li
contengono etc.
Si tratta, a ben vedere, di circostanze che il provvedimento di sequestro e la
richiesta del Pubblico Ministero in parte evidenziano chiaramente, con richiami,
ad esempio, alla impossibilità della decantazione per presenza di COD, alla
necessità di smaltimento presso terzi, alla sostanziale finalità di definitivo
stoccaggio dei reflui nei serbatoi perseguita dagli indagati, alla presenza di
problemi strutturali dei serbatoi medesimi ed alla fuoriuscita dei liquidi con

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o comunque non canalizzato, rientrano nella disciplina dei rifiuti e il loro

conseguente spandimento sul terreno evidentemente incompatibili con la
delineata nozione di scarico che il Tribunale ha, però, completamente ignorato,
come ha pure ignorato i rilievi difensivi di segno diametralmente opposto.
In altre parole, una così complessa situazione e la ricchezza di argomenti
sviluppati nel decreto di sequestro e nella richiesta di riesame non possono
liquidarsi con il mero richiamo al «ristagno» delle acque oleose nei serbatoi ed il
generico richiamo ad un non meglio specificato contrasto tra le argomentazioni

11. La laconicità della motivazione, che ne dimostra la mera apparenza,
risulta ancor più evidente nella parte in cui si respingono le obiezioni della difesa
circa la corretta qualificazione giuridica della condotta con richiami altrettanto
generici all’art. 260 d.lgs. 152\06 ed alla gestione dei rifiuti in genere.
Come è noto il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti è
ascrivibile a «chiunque», assumendo così la natura di reato comune. Quale
elemento soggettivo si richiede il dolo specifico e si tratta di reato di pericolo
presunto.
I requisiti della condotta sono stati così individuati, in primo luogo, nel
compimento di più operazioni, allestimento di mezzi e attività continuative
organizzate che con l’attività predetta devono essere strettamente correlate,
posto che il legislatore utilizza la congiunzione “e” (v. Sez. III 17 gennaio 2002). Si
è anche precisato (Sez. III n. 40827 del 10 novembre 2005) che tale requisito può
sussistere a fronte di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale, idonea
ed adeguata a realizzare l’obiettivo criminoso preso di mira, anche quando la
struttura non sia destinata, in via esclusiva, alla commissione di attività illecite,
cosicché il reato può configurarsi anche quando l’attività criminosa sia marginale
o secondaria rispetto all’attività principale lecitamente svolta (conf. Sez. III
n.47870, 22 dicembre 2011).
Si tratta, inoltre, di reato abituale in quanto integrato necessariamente dalla
realizzazione di più comportamenti della stessa specie (Sez. III n. 46705 del 3
dicembre 2009) e rispetto al quale l’apprezzamento circa la soglia minima di
rilevanza penale della condotta deve essere effettuato non soltanto attraverso il
riferimento al mero dato numerico, ma, ovviamente, anche considerando gli
ulteriori rimandi, contenuti nella norma, a «più operazioni» ed all’«allestimento di
mezzi e attività continuative organizzate» finalizzate alla abusiva gestione di
ingenti quantità di rifiuti (Sez. III n. 47229 del 6 dicembre 2012).
Il reato riguarda l’espletamento di attività di cessione, ricezione, trasporto,
esportazione, importazione, o comunque gestione abusiva di rifiuti le quali, già
sanzionate penalmente nella Parte Quarta del d.lgs. 152\06, vengono agevolate

8

della difesa e le emergenze documentali.

t

dalle azioni propedeutiche descritte in precedenza e deve avere ad oggetto un
quantitativo «ingente» di rifiuti (rispetto alla determinazione del quale v. Sez. III
n. 47229 del 6 dicembre 2012, cit.) oltre che essere finalizzata al perseguimento
di un ingiusto profitto, non necessariamente consistente in un ricavo
patrimoniale, potendosi ritenere integrato anche dal mero risparmio di costi o dal
perseguimento di vantaggi di altra natura senza che sia necessario, ai fini della
configurazione del reato, l’effettivo conseguimento di tale vantaggio (Sez. III n.
40827 del 10 novembre 2005 V. anche Sez. III n. 40828 del 10 novembre 2005)

incolumità.

12. Ciò posto, deve rilevarsi che il Tribunale avrebbe dovuto verificare, ai fini
della sussistenza del fumus del reato oggetto di provvisoria incolpazione, negata
dalla difesa, la esistenza dei requisiti richiesti per la sua configurabilità, che
richiede il porre in essere condotte pacificamente rientranti nell’ampio concetto
di gestione di rifiuti caratterizzate, però, dalla compresenza degli altri requisiti
richiesti dall’art. 260 d.lgs. 152\06, in ciò distinguendosi il delitto dalla
contravvenzione di illecita gestione di cui all’art. 256 del medesimo decreto.
Anche in questo caso si trattava di una agevole verifica che avrebbe potuto
essere compiuta sulla base della documentazione in atti e tenendo presenti le
obiezioni della difesa.

13. Nel caso oggi sottoposto all’attenzione di questa Corte il Tribunale del
riesame è dunque giunto alla conclusione censurata dal ricorrente senza una
valida motivazione, il che impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata con
rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli.
Così deciso in data 13.5.2014

Il bene giuridico protetto va inoltre individuato nella tutela della pubblica

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