Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23520 del 13/03/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23520 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
– BILARDI PASQUALE, n. 27/11/1966 a REGGIO CALABRIA

avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di MESSINA in data 18/05/2011;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite per il ricorrente le conclusioni dell’Avv. C. Politi, non comparso;
udite per l’Avvocatura Generale dello Stato le conclusioni – non comparsa;

Data Udienza: 13/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/05/2011, depositata in data 19/09/2011, la Corte
d’appello di REGGIO CALABRIA rigettava l’istanza di riparazione per l’ingiusta
detenzione presentata dal ricorrente per l’ingiusta custodia cautelare subita dal

mafioso, rapina ed altro.

2. Giova premettere, al fine di una migliore comprensione, che il BILARDI, con
istanza depositata il 16/02/2005, ha chiesto la liquidazione della somma di
350.000 euro a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione subita in carcere nei
periodi indicati nel paragrafo che precede, reati da cui era stato assolto
definitivamente con sentenza della Corte d’appello di Messina del 5/07/2004;
con ordinanza del 18/10/2006, la medesima Corte d’appello, rigettava la
domanda rilevando che l’assoluzione del ricorrente era stata determinata dal
fatto che i giudici di merito avevano dichiarato inutilizzabili le intercettazioni
ambientali le cui risultanze, tuttavia, sarebbero state utilizzabili al fine di ritenere
sussistente un comportamento doloso ostativo al riconoscimento del diritto
all’equa riparazione; l’ordinanza reiettiva veniva, però, annullata con sentenza di
questa Corte del 6/05/2008, per carenza di motivazione, con conseguente nuova
giudizio davanti alla Corte territoriale, la cui ordinanza è oggi oggetto di
impugnazione.

3. Ha proposto tempestivo ricorso il BILARDI, a mezzo del difensore fiduciario
cassazionista, impugnando l’ordinanza predetta e deducendo due motivi, che,
per la loro intima connessione logico – giuridica, possono essere enunciati nei
limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc.
pen.

3.1. Deduce, con ambedue i motivi, la nullità dell’ordinanza ai sensi dell’art. 606,
lett. b) c.p.p., per violazione di legge ed erronea applicazione della legge penale
in relazione agli artt. 314 e 315 c.p.p. nonché per violazione dell’art. 606, lett.
e), c.p.p. per mancanza ed assoluta illogicità della motivazione in relazione
all’esclusione del diritto ex art. 314, comma secondo, c.p.p. e 315 c.p.p.
Si duole il ricorrente per aver la Corte d’appello ritenuto utilizzabili le
intercettazioni in quanto la relativa questione, oggetto della precedente
impugnazione, sarebbe stata coperta dal giudicato, laddove, diversamente, non
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26/01/2000 al 5/01/2003 per i reati di associazione per delinquere di stampo

vi sarebbe stato alcun annullamento parziale ma con rinvio, che, pertanto,
dovrebbe estendersi a presupposti legittimanti il diritto alla riparazione,
dovendosi tenere conto del decisum delle Sezioni Unite che hanno affermato che
l’inutilizzabilità delle intercettazioni accertata nel giudizio penale di cognizione, si
estende anche al giudizio promosso per la riparazione dell’ingiusta detenzione;
del resto, la natura ordinatoria del provvedimento di merito che definisce il

Corte territoriale non poteva non tener conto del nuovo orientamento
giurisprudenziale sull’inutilizzabilità estesa delle intercettazioni anche nel giudizio
ex art. 314 c.p.p., in quanto la Corte territoriale ha recuperato, per negare il
diritto alla riparazione, materiale illegale in quanto inutilizzabile tout court.
In ogni caso, aggiunge il ricorrente, anche ove si ritenessero utilizzabili i risultati
delle intercettazioni ritenute inutilizzabili in sede di cognizione, la motivazione
dell’ordinanza impugnata sarebbe comunque affetta da vizi, non argomentando
in ordine ad eventuali e residue condotte ostative all’accoglimento della
domanda, limitandosi la Corte messinese a trarre elementi ostativi al
riconoscimento del diritto alla riparazione dalla motivazione resa dal GUP di
Reggio Calabria il 5/01/2001 con cui il ricorrente era stato condannato per
rapina, porto abusivo d’arma e furto di un ciclomotore, assolvendolo del reato di
associazione mafiosa; in sostanza, la Corte non avrebbe tenuto conto del
principio giurisprudenziale secondo cui la valutazione del giudice della
riparazione si svolge su un piano diverso ed autonomo da quello del giudice del
processo penale, operando la Corte non sul materiale intercettativo, ma sulla
motivazione del giudice di merito, senza svolgere alcuna autonoma valutazione
ma basandosi sulla motivazione del giudice di merito; inoltre, evidenzia il
ricorrente, il giudice della riparazione deve valutare se certe condotte si posero
come fattore condizionante la produzione dell’evento detenzione ed, in tal senso,
nessuna certezza potrebbe essere espressa sull’identificazione del ricorrente, in
quanto la Corte avrebbe dovuto frazionare gli elementi, escludendo quelli che
rendevano la custodia illegittima ed individuare quelli che, per dolo o colpa,
escludevano il diritto alla riparazione.

4. Con atto depositato in data 14/02/2013, il PG presso questa Corte, ha chiesto
rigettarsi il ricorso del BILARDI evidenziando, da un lato, come la Corte d’appello
avesse individuato condotte ascrivibili al ricorrente come ricavabili dall’apparato
intercettativo posto a fondamento della rapina (in particolare, conversazioni con
altri correi poco prima della rapina, frequentazioni con alcuni indagati,
indicazione da parte del Bilardi ad uno dei coimputati della presenza di un
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giudizio di riparazione si presta, per sua natura, ad essere modificato, ditalchè la

possibile ostacolo all’azione costituito da uno “zoppo”; esortazione ad un dei
correi ad indossare cappello ed occhiali da sole per non farsi riconoscere
fornendo altresì al medesimo minuziose indicazioni sul comportamento da
tenere); secondo il PG, tali condotte denoterebbero colpa grave tale da escludere
il diritto alla riparazione, avendo dato le stesse causa alla detenzione.

in data 28/02/2014 (e successivamente depositata in cancelleria il 7/03/2014), il
ricorrente nel richiamare quanto affermato dalle Sezioni Unite penali circa
l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni anche nel giudizio ex art. 314
c.p.p., ha ribadito l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale, ritenendo che la
sentenza di questa Corte 6/05/2008 vincolasse il giudice di rinvio al punto tale
da impedire di applicare il predetto

decisum delle Sezioni Unite, laddove,

diversamente, questa Corte avrebbe indicato il principio cui si sarebbe dovuto
attenere il giudice della riparazione, formulando implicitamente un criterio che
non deve utilizzare solo ed esclusivamente le intercettazioni, ma anche il
restante materiale probatorio per nulla analizzato ai fini dell’accoglibilità
dell’istanza, sicché pacifica sarebbe l’applicabilità in sede di rinvio del nuovo
orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite che esclude l’utilizzabilità in
sede di riparazione delle intercettazioni dichiarate inutilizzabili in sede di
cognizione, non essendosi formato alcun giudicato interno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Il ricorso dev’essere rigettato perché infondato.

7. Ed invero, al fine di meglio comprendere l’approdo cui è pervenuto questo
Collegio, giova ricordare che la Sez. IV” di questa Corte, con la sentenza n.
26674 del 2008, ebbe ad annullare con rinvio alla Corte d’appello di Messina
l’ordinanza del 18 ottobre 2006, che aveva respinto la domanda, dal BILARDI
proposta, di riparazione del danno derivante dall’ingiusta detenzione, sofferta dal
26 gennaio 2000 al 5 gennaio 2003, essendo stato raggiunto da ordinanza
restrittiva, emessa dal Gip presso il Tribunale di Reggio Calabria, nell’ambito di
un procedimento penale che lo aveva visto imputato ex artt. 416 bis e 628 c.p.
ed altro, delitti dai quali egli è stato, nei primi due gradi di giudizio, in parte
condannato ed, in seguito, assolto per insussistenza del fatto dalla stessa Corte
d’Appello di Messina, a seguito di rinvio disposto da questa Corte.

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k

5. Con memoria pervenuta a mezzo fax in presso la cancelleria di questa Corte

Nell’ordinanza all’epoca impugnata, la predetta Corte aveva rilevato che
l’assoluzione del Bilardi, dai gravi delitti dei quali era stato accusato, era stata
determinata dal fatto che i giudici di merito avevano ritenuto non utilizzabili le
conversazioni ambientali, intercettate nel corso delle indagini, per carenze
motivazionali dei relativi decreti esecutivi in relazione all’utilizzo di impianti
diversi da quelli installati nell’ufficio di procura. Tali conversazioni, osservava

essere utilizzate, nel caso di specie, dal giudice della riparazione poiché, al
tempo dell’adozione della misura cautelare (26.1.2000), la costante
giurisprudenza di legittimità riteneva che i vizi di motivazione dei predetti decreti
erano ininfluenti nella fase delle indagini preliminari, e dunque utilizzabili ai fini
dell’applicazione della misura stessa, contrariamente a quanto successivamente
avvenuto a seguito di un mutato indirizzo giurisprudenziale. In considerazione
dei contenuti di tali conversazioni, al tempo legittimamente disposte, la Corte
d’appello aveva quindi ritenuto sussistente un comportamento doloso, in capo al
Bilardi, ostativo al riconoscimento del diritto all’equa riparazione.
Avverso tale decisione aveva proposto ricorso il Bilardi, deducendo davanti alla
Sez. IV” l’inosservanza di norme processuali, specificamente degli artt. 314 e
315 c.p.p., mancanza ed illogicità della motivazione del provvedimento
impugnato. Con un primo motivo, sosteneva il ricorrente che la corte territoriale
non avrebbe potuto utilizzare i contenuti delle conversazioni telefoniche
intercettate, laddove il giudice del dibattimento ne aveva dichiarato
l’inutilizzabilità in ragione della loro illegittima acquisizione. Quantomeno, si
affermava nel ricorso originario, il giudice della riparazione avrebbe dovuto
dividere in due i periodi di osservazione e verificare se, e per quanto tempo, la
misura poteva ritenersi legittima sul piano processuale; ossia se, a seguito del
mutamento dell’indicato indirizzo giurisprudenziale, la misura avrebbe potuto
esser legittimamente mantenuta. Con un secondo motivo, deduceva il ricorrente
la totale assenza di motivazione dell’ordinanza impugnata, laddove non
sarebbero stati indicati gli elementi di prova, emergenti dalle conversazioni
intercettate, in relazione alle quali la condotta del Bilardi era stata ritenuta
ostativa, sotto il profilo del dolo, all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione.
La IV” sezione di questa Corte, con la richiamata sentenza n. 26674/2008,
nell’accogliere il secondo motivo di ricorso ravvisando l’invocato vizio
motivazionale, riteneva però infondato il primo motivo.
In particolare, osservava la Sez. IV” di questa Corte, del tutto legittimamente il
giudice della riparazione aveva ritenuto di utilizzare le conversazioni intercettate
ai fini della verifica della sussistenza dei presupposti legittimanti il
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ancora la predetta Corte, non utilizzabili nel giudizio di cognizione, potevano ben

riconoscimento del diritto all’indennizzo, alla stregua della giurisprudenza di
legittimità, correttamente richiamata nel provvedimento impugnato. “Ordunque
– si legge nella richiamata decisione di questa Corte – poiché al tempo
(26.1.2000) è stata legittimamente applicata la misura restrittiva in relazione ai
contenuti delle conversazioni intercettate, dalle quali il Gip ha ritenuto la
sussistenza di gravi indizi di responsabilità a carico del Biliardi, ritenendosi

altrettanto legittimamente il giudice della riparazione ha desunto, dalle stesse
conversazioni, elementi idonei a delineare una condotta dolosa dell’odierno
ricorrente che ha contribuito all’emissione del provvedimento restrittivo, e quindi
ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione. La tesi del ricorrente,
secondo cui il periodo di custodia cautelare sofferto dovrebbe essere diviso in
due parti, quello precedente e quello successivo al mutamento giurisprudenziale,
non può essere condivisa, posto che ciò che conta in questa sede è l’originaria
legittimità del provvedimento restrittivo, dal quale il giudice della riparazione è
legittimato a desumere elementi utili dai quali apprezzare la sussistenza di
comportamenti che abbiano contribuito alla sua emissione. Mentre non risulta in
atti, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, che, in vista di quel mutato
indirizzo, sia stata formulata richiesta di revoca del provvedimento restrittivo, ne’
che la stessa sia stata respinta dal giudice competente”.

8.

La Corte d’appello di Messina, decidendo quale giudice di rinvio, con

l’ordinanza qui impugnata, ha ritenuto che il

decisum di cui alla sentenza n.

26674/2008 di questa Corte, essendo divenuto irrevocabile quanto al primo
motivo, non fosse più modificabile da parte della stessa Corte di merito, non
rilevando nel caso sottoposto al suo esame l’intervenuto mutamento
giurisprudenziale di legittimità operato con la sentenza delle Sezioni Unite Racco,
che affermarono il principio secondo cui l’inutilizzabilità dei risultati delle
intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti anche nel
giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione (Sez. U, n.
1153 del 30/10/2008 – dep. 13/01/2009, Racco, Rv. 241667).
Ed invero, come sostenuto dal ricorrente in questa sede, la Corte territoriale
avrebbe erroneamente ritenuto tale decisum vincolante al punto tale da non
poter applicare l’orientamento delle predette Sezioni Unite, intervenuto a pochi
mesi di distanza dalla decisione (la sentenza n. 26674/2008 venne decisa dalla
Sez. IV” nella camera di consiglio del 6/05/2008 e depositata il successivo
2/07/2008; la sentenza Racco, come visto, venne decisa nell’udienza delle
Sezioni Unite del 30/10/2008).
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ininfluenti, nella fase delle indagini, i vizi motivazionali dei decreti intercettativi,

9.

La soluzione offerta dalla Corte territoriale nell’ordinanza impugnata è

corretta, inserendosi in un filone giurisprudenziale di legittimità ormai
consolidato, cui questa Corte ritiene di dover dare continuità.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (sin dall’arresto delle
Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994 – dep. 19/04/1994, Cellerini ed altri, Rv.

Corte di cassazione, il giudice è vincolato al principio di diritto enunciato dalla
corte con riferimento al caso specifico ed è del tutto irrilevante che la cassazione,
a Sezioni Unite, abbia nel frattempo indicato un orientamento del tutto opposto
(Sez. 3, n. 4611 del 20/12/1995 – dep. 29/02/1996, Capogrossi, Rv. 204568,
principio affermato in relazione proprio ad una fattispecie in tema di criteri di
quantificazione delle riparazioni per ingiusta detenzione; da ultimo, in senso
conforme: Sez. 1, n. 4049 del 10/04/2012 – dep. 25/01/2013, Licata ed altri,
Rv. 254217).
A giustificazione di tale assunto si è, in particolare, osservato che la statuizione
giurisdizionale più elevata, come quella delle sezioni unite, assolve per legge ad
una specifica funzione nomofilattica, ma non assurge mai al livello di vincolo
giuridico vero e proprio, e soprattutto non può modificare la regiudicata che si è
già perfezionata sul punto di diritto deciso nella sentenza di annullamento della
Cassazione, per effetto del combinato disposto degli artt. 627 e 628 cod. proc.
pen. Infatti, il principio di diritto affermato dalla sentenza di annullamento, in
quanto immodificabile da parte del giudice e sottratto a ulteriori mezzi di
impugnazione, acquista autorità di giudicato interno per il caso di specie (v., in
termini: Sez. 3, n. 12947 del 29/10/1998 – dep. 11/12/1998, Schiavone M, Rv.
212423).
Tale esegesi giurisprudenziale di legittimità ha, del resto, ricevuto un autorevole
avallo da parte dello stesso Giudice delle leggi, che ha, infatti, chiarito che il
profilo concernente l’interpretazione della norma alla quale il giudice di rinvio è
vincolato, per essere il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione,
non è più contestabile in quella sede (Corte cost., sentenza 1/04/1993, n. 130).
Infine, non ricorre, nel caso in esame, l’ipotesi eccezionale in cui, nelle more del
giudizio, sia sopravvenuta una sentenza della Corte di Giustizia europea che
abbia dichiarato l’incompatibilità con il diritto comunitario della norma nazionale
da cui dipenda l’applicazione della norma incriminatrice (Sez. 6, n. 18715 del
19/04/2012 – dep. 16/05/2012, Ignazzi, Rv. 252503).
Il relativo motivo di ricorso dev’essere pertanto rigettato.

lit(
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196893), che, nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento da parte della

10. Resta, quindi, da affrontare l’ulteriore motivo con cui il ricorrente censura
l’impugnata ordinanza sotto il profilo motivazionale, dolendosi per essersi la
Corte d’appello limitata a trarre elementi ostativi al riconoscimento del diritto alla
riparazione dalla motivazione resa dal GUP di Reggio Calabria il 5/01/2001 con
cui il ricorrente era stato condannato per rapina, porto abusivo d’arma e furto di
un ciclomotore, assolvendolo del reato di associazione mafiosa. In sostanza, la

motivazione del giudice di merito, senza valutare nemmeno se certe condotte si
posero come fattore condizionante la produzione dell’evento detenzione: in tal
senso, secondo il ricorrente nessuna certezza potrebbe essere espressa sulla sua
identificazione, in quanto la Corte avrebbe dovuto frazionare gli elementi,
escludendo quelli che rendevano la custodia illegittima ed individuare quelli che,
per dolo o colpa, escludevano il diritto alla riparazione.
Anche tale doglianza è del tutto infondata. Ed invero, come condivisibilmente
dedotto dal PG di udienza e sottolineato dalla Corte d’appello nell’impugnata
ordinanza, quegli elementi desunti dalle conversazioni intercettate, utilizzabili per
le ragioni in precedenza esposte, rendevano assolutamente legittima la
valutazione ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione del ricorrente.
La Corte d’appello ha, infatti, individuato condotte ascrivibili al ricorrente come
ricavabili dall’apparato intercettativo posto a fondamento della rapina (in
particolare, conversazioni con altri correi poco prima della rapina, frequentazioni
con alcuni indagati, indicazione da parte del Bilardi ad uno dei coimputati della
presenza di un possibile ostacolo all’azione costituito da uno “zoppo”;
esortazione ad un dei correi ad indossare cappello ed occhiali da sole per non
farsi riconoscere fornendo altresì al medesimo minuziose indicazioni sul
comportamento da tenere: v.,

amplius,

quanto esposto alle pagg. 4 e 5

dell’ordinanza impugnata). Tali condotte sono indubbiamente connotate da
quella colpa grave tale da escludere il diritto alla riparazione, avendo dato le
stesse causa alla detenzione, dovendosi ritenere come gravemente colposa la
condotta caratterizzata da noncuranza, negligenza, imprudenza, indifferenza per
quanto possa da essa prevedibilmente derivare sul piano penale (v., in termini:
Sez. 4, n. 596 del 22/02/1996 – dep. 20/04/1996, Ercole, Rv. 204624).
In definitiva, dunque, il comportamento del Bilardi era tale da integrare
senz’altro la condotta gravemente colposa nei termini indicati, e le
argomentazioni contenute nel ricorso non sono idonee ad intaccare la congruità,
la logicità e la correttezza del percorso motivazionale del giudice di merito che,
pertanto, non appare censurabile in sede di legittimità.

8

ii-

Corte non avrebbe svolto alcuna autonoma valutazione, basandosi invece sulla

I

11. Al rigetto del ricorso segue, pertanto, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il Con igliere est.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2014

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