Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23492 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23492 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANTORO BARBARA N. IL 27/06/1958
avverso la sentenza n. 1808/2013 CORTE APPELLO di GENOVA, del
06/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LORENZO ORILIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
t
ck, CL
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 09/04/2014

RITENUTO IN FATTO
Il difensore di Santoro Barbara, legale rappresentante della “The Shenker Institute
of English” con sede in Genova, ricorre contro la sentenza 6.11.2013 della Corte d’Appello di
Genova che ne ha confermato la colpevolezza in ordine al reato di omesso versamento di
ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti per i
mesi compresi tra febbraio e giugno 2006 (art. 2 D.L. n. 463/1983 convertito in legge
638/1983).
Con un primo motivo denunzia, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) e lett. e)

motivazione in relazione agli stessi articoli: Rileva in particolare la ricorrente che nessun
profilo di dolo è rilevabile, neppure eventuale, perché essa si occupava del marketing della
Scuola, mentre il ramo finanziario contabile era di competenza del sig. Pennino, titolare di
una espressa delega, quale membro del CDA in ordine alla gestione amministrativa,
contabile e fiscale, delega che aveva esercitato fin dal 2000 senza dare adito a dubbi di
professionalità: pertanto, l’attribuzione di responsabilità all’imputata contrasta col principio
generale di causalità contemplato negli artt. 40 e 43 cp.
Richiama una sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Milano per gli stessi
reati proprio per difetto dell’elemento psicologico.
Con un secondo motivo, dedotto in via subordinata, la ricorrente lamenta, ai sensi
dell’art. 606 comma 1 lett. b) e lett. e) cpp, l’erronea applicazione degli artt. 157, 161 e 133
cpp nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione osservando che la Corte
d’Appello ben avrebbe potuto diminuire la pena irrogata dal primo giudice, posto che tre
degli illeciti denunciati (febbraio, marzo e aprile 2006) si sono già estinti per intervenuta
prescrizione già nella fase di merito e gli altri due (maggio e giugno 2006) non raggiungono
neanche i 1.000 C. di importo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza sotto entrambi i profili.
Quanto al tema dell’elemento psicologico, va osservato che il reato di omesso
versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali, di cui all’art. 2 del decreto legge 12
settembre 1983 n. 463, convertito in legge 11 novembre 1983 n. 638, non richiede il dolo
specifico, ma, esaurendosi con la coscienza e volontà della omissione o della tardività del
versamento delle ritenute, il dolo generico, che, peraltro, non viene meno per il fatto che il
datore di lavoro abbia demandato a terzi, anche professionisti in materia, l’incarico di
provvedere, atteso che obbligato al versamento è il titolare del rapporto di lavoro, sul quale
grava l’onere di vigilare che il terzo adempia l’obbligazione. A questo principio,
costantemente affermato da questa Corte (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 5416 del 07/11/2002
Ud. dep. 05/02/2003 Rv. 223372; Sez. 3, Sentenza n. 34619 del 23/06/2010 Ud. dep.
24/09/2010 Rv. 248332; Sez. 3, Sentenza n. 2354 del 18/11/2009 Ud. dep. 19/01/2010
Rv. 245909) il Collegio intende dare senz’altro continuità.

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cpp, l’erronea applicazione degli artt. 40 e 43 cp nonché la manifesta illogicità della

Ebbene, venendo al caso di specie, premesso che la delega al Pennino non risulta
?

neppure allegata al ricorso, (il che rende già sotto questo profilo la censura priva del
requisito di specificità ex artt. 581 lett. c e 591 lett. c cpp), la Corte territoriale,
premettendo che l’obbligo di versamento grava sul datore di lavoro, cioè sul soggetto al
quale spetta la responsabilità dell’impresa, e che il reato richiede il dolo generico, ha
ritenuto che esso non viene meno per il fatto che il datore di lavoro abbia affidato a terzi
l’incarico di provvedere, posto che il titolare del rapporto di lavoro ha l’obbligo di vigilare sul
terzo affinché questi adempia l’obbligazione. Ha precisato inoltre che l’affidamento

del dovere diretto di vigilanza potevano essere soddisfatte con la massima celerità
dovendosi solo verificare l’effettuazione del pagamento, mentre il completo disinteresse
significava accettazione di ogni conseguenza negativa dell’inerzia del delegato, che peraltro
lavorava a Roma e quindi non poteva fornire garanzie maggiori.
Trattasi di percorso argomentativo esauriente e logicamente coerente oltre che in
linea con la giurisprudenza di legittimità e pertanto insindacabile in questa sede.

2. Quanto alla censura relativa al trattamento sanzionatorio, va subito chiarito che
al momento della pronuncia della Corte d’Appello (6.11.2013) la prescrizione non era
maturata per nessuna delle condotte: infatti, l’omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali ha natura di reato omissivo istantaneo per il quale il momento
consumativo coincide con la scadenza del termine utile concesso al datore di lavoro per il
versamento ed attualmente fissato, dall’art. 2, comma primo, lett. b) del D.Lgs. n. 422 del
1998, al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi (v., tra le
varie, Sez. III n. 20251, 14 maggio 2009). Va poi considerato il periodo di sospensione
legale di tre mesi (ai sensi del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1 quater,
convertito nella L. 11 novembre 1983, n. 638). Pertanto, il primo dell’illecito (l’omesso
versamento relativo alla mensilità di febbraio 2006 si sarebbe prescritto solo il 16.12.2013).
Ciò posto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui venga irrogata
una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talché
è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli
elementi di cui all’art. 133 cod. pen.(Sez. 2, Sentenza n. 28852 del 08/05/2013 Ud. dep.
08/07/2013 Rv. 256464; Sez. 4, Sentenza n. 21294 del 20/03/2013 Ud. dep. 17/05/2013
Rv. 256197).
Nel caso di specie all’imputata è stata inflitta dal giudice di primo grado la pena di
mesi due di reclusione ed C. 240,00 di multa, certamente prossima ai minimi edittali
considerato che l’art. 2 del Decreto Legge 12 settembre 1983, n. 463 convertito con
modificazioni dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, prevede la reclusione fino a tre anni e la
multa fino a lire 2.000.000 (C 1032,91).
Il Tribunale aveva giustificato la scelta partendo da una pena base di mesi due di
reclusione e C. 300,00 di multa, ridotta ex art. 62 bis a gg. 40 di reclusione e C. 200,00 di

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sull’attività del delegato costituiva un atto interno e che invece le modalità di esplicazione

multa, ed aumentata, per la continuazione, di gg. 5 di reclusione e C. 10,00 di multa per
ogni violazione ed ha ritenuto tale pena “equa”.
Motivazione senz’altro sufficiente, dunque. Ed anche la motivazione del giudice di
appello appare esauriente, ed in linea con i principi di diritto esposti, laddove, nel
confermare il trattamento sanzionatorio, ha considerato appunto, l’entità della pena, il
numero di mensilità non versate e l’assenza di pagamenti nel corso del processo, elementi
attinenti alla gravità del reato desunta dalla natura dell’azione e dalla gravità del danno (art.
133 cp).

rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. (cass. sez. 3, Sentenza n. 42839 del
08/10/2009 Ud. dep. 10/11/2009; cass. Sez. 4, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Ud.
dep. 22/04/2004; sez. un., Sentenza n. 32 del 22/11/2000 Cc. (dep. 21/12/2000): il tema
della prescrizione non può dunque essere affrontato in questa sede.
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione
pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9.4.2014.

2. L’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido

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