Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23488 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23488 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da

DARDIS Beatrice, nata a Pavia il 9/2/1974
avverso la sentenza del 13/6/2012 della Corte di appello di Milano, che ha
parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Milano del 9/2/2011,
confermando la condanna per il reato previsto dall’art.10-ter del d.lgs. 10 marzo
2000, n.74 e concedendo all’appellante il beneficio della non menzione nel
certificato del Casellario destinato ai privati;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Enzo Antonio Antonacci in sostituzione dell’avv.
Claudio Defilippi, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 9/2/2011 il Tribunale di Milano, previa concessione delle
circostanze attenuanti generiche, ha condannato la sig.ra Dardis, legale
rappresentante della “Global Engineering”, alla pena di quattro mesi di
reclusione, convertita nella pena pecuniaria sostitutiva di 4.200,00 euro, perché

Data Udienza: 09/04/2014

colpevole del reato previsto dall’art.10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 in
relazione all’imposta sul valore aggiunto dovuta per l’anno 2005.
2. Con sentenza del 13/6/2012 la Corte di appello di Milano ha parzialmente
riformato la sentenza del Tribunale di Milano, confermando la condanna per il
reato previsto dall’art.10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 e concedendo
all’appellante il beneficio della non menzione nel certificato del Casellario
destinato ai privati
3.

Avverso tale decisione la sig.ra Dardis propone ricorso in sintesi

errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. in relazione anche
all’art.117, connma l, Costituzione e all’art.7 CEDU per essere inesigibile la
condotta sottesa alla sanzione penale.
4.

Con memoria trasmessa il 15/5/2013, la sig.ra Dardis ribadisce che le

condotte omissive da lei tenute nell’anno 2005 non erano in allora previste come
illecito penale, come invece devono considerarsi a seguito della successiva
modifica legislativa entrata in vigore nell’anno 2006 a far data dal 4 di luglio. E’,
dunque, pacifico, che la volontà della ricorrente al momento della commissione
dei fatti non cadeva né sull’illiceità della condotta né sul superamento della soglia
di punibilità, così che difettava la consapevolezza di poter incorrere in una
sanzione penale. A ciò consegue che l’impossibilità di far fronte all’obbligo di
versamento sopravvenuto può essere ricondotta alle ipotesi previste dagli
artt.45 e 54 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso dev’essere rigettato alla luce dei principi fissati dalle Sezioni

Unite penali di questa Corte con le sentenze n.37424 e 37425 del 38 marzo 2013
emesse sui ricorsi Romano e Ferrato.
2. Risolvendo i contrasti giurisprudenziali emersi dopo la introduzione degli
artt.10-bis e 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 operata, rispettivamente, con
la legge 30 dicembre 2004, n.311 e col d.l. 4 luglio 2006, n.223, convertito in
legge 4 agosto 2006, n.248, le Sezioni Unite hanno chiarito che le nuove
fattispecie si pongono in rapporto di progressione rispetto alle previsioni in
vigore nel corso dell’anno 2004 e dell’anno 2005 che sanzionavano solo in via
amministrativa l’omesso versamento e che non sussiste alcuna violazione dei
principi costituzionali in quanto la sanzione penale opera in entrambi i casi con
riferimento a una scadenza successiva alla propria entrata in vigore; a ciò
consegue che la condotta omissiva risulta commessa successivamente alla
vigenza dell’ipotesi incriminatrice.
2

lamentando:

3. Tale successione nel tempo della legge e delle condotte penalmente
rilevanti non pone problemi neppure sotto il profilo dell’elemento soggettivo,
essendo pacifico che questo deve essere valutato non con riferimento alle
determinazioni assunte dalla debitrice I.v.a. nel corso dell’anno 2005 ma alla
scelta consapevolmente adottata al momento della scadenza del termine per
l’adempimento tributario; in tale momento la ricorrente ben conosceva l’importo
complessiva dell’imposta da versare ed era perfettamente in grado di raffrontarlo
con la soglia di punibilità fissata dalla fattispecie incriminatrice, così che non può

retroattiva della fattispecie incriminatrice e sulla esistenza di una inevitabile
assenza del dolo.
4.

Quanto, poi, alla invocata applicazione delle ipotesi di forza maggiore

previste dagli artt.45 e 54 cod. pen., non solo il ricorso risulta prospettato in
modo del tutto generico, ma devono richiamarsi i chiari principi fissati con la
sentenza n.5467/14, udienza del 5/12/2013, Mercutello, secondo i quali la
natura derogatoria delle fattispecie invocate avrebbe imposto alla ricorrente una
rigorosa dimostrazione della assoluta e incolpevole impossibilità di adempiere.
5. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere
respinto e la ricorrente condannata, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento
delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9/4/2014

convenirsi con la ricorrente stessa sulla esistenza di una sorta di applicazione

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