Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23480 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23480 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Diglaudi Romano, nato in Moncalieri il 23/03/1970
Diglaudi Maddalena, nato in Torino il 03/11/1971
avverso la sentenza del 17/05/2013 della Corte di appello di Torino
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per il capo b)
e, qualificata l’impugnazione quale ricorso per cassazione, l’inammissibilità del
ricorso per il capo b) in relazione alla sentenza di primo grado, dichiarare
inammissibile il ricorso per il capo a) ;
udito per l’imputato

Data Udienza: 20/02/2014

RITENUTO IN FATTO
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1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino ha dichiarato
inammissibile l’appello proposto da Maddalena Diglaudi in relazione al capo b)
della rubrica (art. 4 legge 18 aprile 1975, n. 110) ed ha confermato nel reato
l’appello proposto da Romano e Maddalena Diglaudi avverso la sentenza del
Tribunale di Torino – sezione distaccata di Ciriè – con riferimento al capo a) della
rubrica (artt. 110 e 256, lett. a) e b), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152).

proprio difensore, affidando il gravame ai seguenti motivi:
1) Maddalena Diglaudi denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett.
b) cod. proc. pen. dolendosi del fatto che la Corte territoriale, in considerazione
dell’assoluta inconsistenza dell’accusa, non abbia prosciolto l’imputata ai sensi
dell’art. 129 cod. proc. pen., norma applicabile, secondo la ricorrente, a
prescindere dall’ammissibilità o meno del gravame;
2) Romano e Maddalena Diglaudi denunciano la violazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. deducendo la nullità dell’impugnata sentenza,
con riferimento al capo a) della rubrica, per assoluta mancanza della motivazione
quanto al trattamento sanzionatorio, in quanto la Corte di appello avrebbe
pedissequamente ripetuto le motivazioni del primo Giudice senza rilevare la
contraddizione insita nell’impugnata sentenza che, da un lato, ha applicato i
minimi di pena ed ha concesso le attenuanti generiche e, dall’altro,
inspiegabilmente non ha riconosciuto l’aumento minimo per la ritenuta
continuazione non motivando in ordine a tale statuizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è parzialmente fondato quanto a Maddalena Diglaudi e deve
essere dichiarato inammissibile quanto a Romano Diglaudi.

2. Va premesso che, in ordine al capo a), i ricorrenti sono stati condannati,
in concorso tra loro, per il reato di trasporto di rifiuti speciali pericolosi e non
pericolosi ed è stata ritenuta, sulla base dell’unicità della condotta, il concorso
formale dei reati (non la continuazione) in ordine alle plurime violazioni della
medesima disposizione di legge.
Va chiarito che non sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli
aumenti di pena a titolo di continuazione o di concorso formale, valendo a questi
fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (Sez. 5, n. 27382
del 28/04/2011, Franceschin ed altro, Rv. 250465).
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2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, ricorrono gli imputati tramite il

Nel caso di specie, il motivo di ricorso, oltre a farsi apprezzare per la sua
genericità, non tiene conto che la Corte territoriale ha specificamente motivato
rilevando come nella dosimetria della pena il primo Giudice si sia ispirato a criteri
di particolare mitezza stabilendo la pena base nel minimo edittale, riconoscendo
le attenuanti generiche nella massima estensione ed operando un aumento assai
contenuto per il concorso formale di reati.
In assenza di specifica critica sul punto, il motivo di ricorso deve ritenersi
manifestamente infondato.

all’art. 4 della legge n. 110 del 1975 e, riconosciuta l’ipotesi lieve, è stata
condannata, ratione temporis, alla pena di euro 50,00 di ammenda.
La Corte di appello ha ritenuto inammissibile l’impugnazione in quanto
proposta avverso senza inappellabile ma solo ricorribile per cassazione, in
considerazione della pena inflitta, ed ha altresì ritenuto di non applicare il
principio di conversione del mezzo di impugnazione, previsto dall’art. 568,
comma 5, cod. proc. pen. sul rilievo che l’appello erroneamente proposto
avverso la sentenza di condanna a pena pecuniaria non si converte
automaticamente in ricorso per cassazione, stante la necessità di avere riguardo
– al di là dell’apparente “nomen juris” – alle reali intenzioni dell’impugnante ed
all’effettivo contenuto dell’atto di gravame, con la conseguenza che ove
dall’esame di tale atto si tragga la conclusione che l’impugnante abbia
effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di impugnazione non
consentito dalla legge, l’appello deve essere dichiarato inammissibile (Sez. 5, n.
8104 del 25/01/2007, Parma, Rv. 236521).
Al di là di tale controverso orientamento, espressamente citato nella
sentenza impugnata, si osserva come il caso di specie sia del tutto diverso da
quello previsto dall’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in base al quale si
innesca o meno il meccanismo della conversione dell’impugnazione previsto
dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. qualora sia stata impugnata con l’appello
una sentenza che applica la «sola» pena dell’ammenda.
Ciò in quanto nei confronti della ricorrente si è proceduto con il simultaneus
processus e nei suoi confronti, sebbene per un reato diverso ma con la
medesima pronuncia, era stata applicata la pena detentiva e dunque non la
«sola» pena dell’ammenda, con la conseguenza che il mezzo di impugnazione
avverso la “sentenza” era l’appello e non il ricorso per cassazione, sia per il reato
di cui al capo a) e sia per il reato di cui al capo b), per il quale era stata inflitta
«anche» la pena dell’ammenda.
La scissione delle regiudicande, nel caso del simultaneus processus contro la
medesima persona, conduce a risultati paradossali, esclusi dalla lettera e dalla

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3. Maddalena Diglaudi è stata poi ritenuta responsabile del reato di cui

ratio legis, contrari peraltro al principio di cui all’art. 580 cod. proc. pen.,
costringendo l’imputato a due separate impugnazioni contro la medesima
sentenza innanzi ad organi giudiziari diversi.
Nel caso di specie, dunque, la Corte di appello avrebbe dovuto esaminare
anche l’altra regiudicanda, in ordine alla quale non doveva né dichiarare
l’inammissibilità e né convertirla in ricorso per cassazione, scrutinandola anche
nel merito in quanto, anche per essa (siccome la sentenza impugnata
comminava una pena detentiva sebbene per altro reato), il rimedio proponibile
era l’appello e non il ricorso per cassazione.

sezione Corte di appello di Torino limitatamente al capo b) della rubrica con le
conseguenti statuizioni in ordine alle spese processuali come da pedissequo
dispositivo.
Alla pronuncia di inammissibilità segue la condanna di Romano Diglaudi al
versamento della somma – ritenuta congrua – di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende, trovandosi lo stesso in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, nei confronti di Maddalena Diglaudi
limitatamente al capo b) della rubrica, con rinvio ad altra sezione Corte di
appello di Torino.
Rigetta nel resto il ricorso della Diglaudi.
Dichiara inammissibile il ricorso di Romano Diglaudi e condanna il ricorrente
al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.

Così deciso il 20/02/2014

La sentenza impugnata va pertanto annullata in parte qua con rinvio ad altra

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