Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23430 del 25/03/2013
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23430 Anno 2013
Presidente: GRASSI ALDO
Relatore: SAVANI PIERO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TASSONE VINCENZO N. IL 19/07/1965
MURIALE ROSARIA ORNELLA N. IL 01/12/1947
avverso la sentenza n. 18/2007 GIUDICE DI PACE di STILO, del
27/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERO SAVANI;
Data Udienza: 25/03/2013
IN FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe il Giudice di pace di Stilo ha dichiarato TASSONE Vincenzo e MURIALE Rosaria Ornella responsabili, rispettivamente, dei delitti di ingiuria e percosse, il primo, e
di lesioni, la seconda, commessi il 30 marzo 2007.
Hanno proposto appello gli imputati deducendo vizio di motivazione sulla responsabilità che sarebbe basata su erronea valutazione delle risultanze processuali e in particolare delle dichiarazioni della p.l. e della certificazione medica.
Il Tribunale di Locri, Sezione distaccata di Siderno, ha trasmesso gli atti a questa Corte qualificando il gravame come ricorso per cassazione essendo stata applicata la sola pena pecuniaria e
non essendo stata pronunciata alcuna condanna al risarcimento del danno, per mancato deposito
delle conclusioni scritte da parte della costituita parte civile.
Osserva il Collegio che l’impugnazione è inammissibile in quanto, conformemente alla natura
dell’impugnazione prescelta dagli imputati, prospetta censure che tendono a sottoporre al giudizio di impugnazione aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale
probatorio rimessi all’esclusiva competenza del giudice di merito e già adeguatamente valutati
dal Giudice di pace.
Nel caso in esame, difatti, il giudice di merito ha ineccepibilmente osservato che la prova del fatto ascritto all’imputato riposava nella testimonianza della persona offesa, la cui credibilità è adeguatamente e sufficientemente argomentata, anche con riferimento alle altre emergenze processuali (documentali e testimoniali) atteso che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che l’affermazione di responsabilità può essere basata sulle sole dichiarazioni della parte offesa, la cui testimonianza, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e
propria fonte di prova (cfr. pure C. cost. ordinanze n. 82 del 2005, n. 115 del 1992, n. 374 del
1994, e sentenze n. 2 del 1973 e n. 190 del 1971), purché la relativa valutazione sia adeguatamente motivata.
La sentenza impugnata non è quindi sindacabile in questa sede perché la Corte di cassazione non
deve condividere o sindacare la decisione, ma verificare se la sua giustificazione sia, come nel
caso in esame, sorretta da validi elementi dimostrativi e non abbia trascurato elementi in astratto
decisivi, sia compatibile con il senso comune e, data come valida la premessa in fatto, sia logica:
insomma, se sia esauriente e plausibile.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 C.P.P., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e — per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione — di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in C. 1.000,00# per ognuno.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di E. 1.000,00# in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 25 marzo 2013.