Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23371 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 23371 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TROTTA GIANCARLO N. IL 18/01/1974
ARTUSI DOMENICO N. IL 10/02/1965
SARRO ROBERTO N. IL 18/02/1964
avverso la sentenza n. 14265/2012 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 07/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;
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Data Udienza: 23/04/2013

Ritenuto in fatto

Ricorre per cessazione ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p. il difensore di fiducia di Trotta
/
Giancarlo, Artusi Domenico e Serro Roberto avverso la sentenza emessa dalla terza
sezione penale di questa Corte di Cassazione in data 7.6.2012 che aveva dichiarato
l’inammissibilità dei ricorsi presentati, tra gli altri, dai predetti nei confronti della
sentenza della Corte di Appello di Catanzaro del 19.7.2011 che rideterminava la pena
Inflitta al medesimi per vari reati dalla sentenza del 18.2.2011 del Tribunale di
Deduce che era la Suprema Corte era incorsa in un errore di fatto laddove non aveva
rilevato la prescrizione dei reati contestati ai predetti e laddove aveva fornito sul
punto una motivazione scarna che si fondava su dati del tutto errati.
E’ stata depositata una memoria difensiva nell’interesse dei ricorrenti.
Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile essendo basato su motivi manifestamente infondati.
E’ vero che la sentenza impugnata a pag. 19 recita: “I ricorsi esaminati devono
pertanto essere dichiarati inammissibili. L’inammissibilità, originaria, preclude la
rilevazione della prescrizione (v., per tutte. Cass. Sez. 3, 8 agosto 2009 n. 42839, ric.
Imperato), seppure sussistente dal momento che è stata eccepita da ciascuno degli
imputati per tutti i reati senza la specifica indicazione del calcolo del termine
prescrittivo per ciascun reato in relazione alla data di commissione di esso e, quindi,
con motivo di per sé inammissibile per genericità”. Ma l’avverbio “seppure” adoperato
rappresenta un rafforzativo della precedente affermazione comunque risolutiva sicchè
l’argomentazione ad esso conseguente risulta del tutto superflua.
Infatti, essendo stata dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi, è comunque preclusa la
dichiarazione dell’intervenuta prescrizione, in quanto non può essere dichiarata, in
sede di legittimità, la prescrizione del reato, laddove il ricorso, come nel caso di
specie, sia ritenuto affetto da inammissibilità originaria per mancanza di specificità o
manifesta infondatezza dei motivi; invero, in tal caso, il gravame non è idoneo ad
introdurre un nuovo grado di giudizio poiché l’inammissibilità per qualunque causa
intervenuta non consente il formarsi di un valido rapporto processuale (Cass. pen.
Sez. V, 4.6.1999, n. 10379, Rv. 214190; Sez. Un. 22.11.2000 n. 32, Rv. 217266;
Sez. III, n. 42839 del 8.10.2009, Rv. 244999, citata nella sentenza impugnata).
Inoltre, per tutti i capi d’imputazione, ad eccezione della prima parte di quello sub n.
1) (per tutti i ricorrenti) e di quello sub n. 6) (per il solo Trotta), il termine
prescrizionale (tenuto conto delle sospensioni per un periodo complessivamente pari a
gg. 135, cioè 4 mesi e 15 giorni) risulta maturato dopo la sentenza di appello.
Ma nessuno dei ricorrenti ha eccepito l’intervenuta prescrizione nei motivi di appello in
relazione ad alcuno dei reati contestati. Benchè non si possa ravvisare una vera e
propria implicita rinuncia alla prescrizione che, secondo il testuale dettato dell’art.
2

Cosenza.

comma 7, c. p., così come novellato dall’art. 6 legge 5 dicembre 2005 n. 251, richiede
una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti (Cass.
pen. Sez. Un., n. 43055 del 30.9.2010, Rv. 248379), al riguardo trova comunque
applicazione il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo il quale
l’inammissibilità del ricorso per cassazione (nella specie, per assoluta genericità delle
doglianze) preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, al sensi
dell’art. 129 cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione, pur maturata in
quel giudice” (n. 23428 del 22.3.2005, Rv. 231164, Bracale e successive conformi).
Infatti, nel caso di specie si è verificata la formazione del giudicato sostanziale
derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché
contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma, 1, con eccezione
della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; art. 606, comma 3), che preclude
ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata
sia di rilevarla di ufficio.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali.
Non si ritiene di addivenire alla condanna alla pena pecuniaria in favore della cassa
delle ammende in considerazione del decorso del termine prescrizionale anteriore alla
sentenza di appello per i due reati sopra indicati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 23.4.2013

data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata da

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