Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23365 del 06/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23365 Anno 2014
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Lotito Francesco, nato a Andria il 5/06/1969

avverso la ordinanza in data 23/12/2013 del Tribunale di Milano, in funzione di
giudice del riesame

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta in camera di consiglio dal consigliere Guglielmo Leo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del dott. Eugenio Selvaggi, che ha chiesto
il rigetto del ricorso;
udito il Difensore dell’indagato, avv. Domenico Di Terlizzi, che ha insistito per
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata l’ordinanza del 23/12/2013 con la quale il Tribunale di Milano,
in funzione di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento del Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale di Monza, in data 4/12/2013, di

Data Udienza: 06/05/2014

applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di
Francesco Lotito, per il delitto di cui all’art. 319 cod. pen.
Al Lotito si contesta in particolare di avere concordato, nella sua qualità di
assessore alle politiche ambientali del Comune di Andria, il pagamento in suo
favore della somma di un milione di euro da parte dei proprietari dell’impresa
Sangalli di Monza, affinché la procedura per l’assegnazione di servizi di raccolta
e trasporto di rifiuti urbani fosse organizzata e condotta in guisa da conferire
l’appalto alla stessa impresa Sangalli: accordo corruttivo seguito effettivamente
tranches della somma di euro 770.000. Ulteriore

vantaggio connesso all’accordo era consistito, sempre secondo la
prospettazione accusatoria, nell’assunzione ad opera dell’impresa Sangalli, per
la sede interessata dall’esecuzione del servizio appaltato, di 31 persone
nominativamente indicate dallo stesso Lotito.
1.1. Nella prima parte del provvedimento impugnato il Tribunale milanese
rende conto degli elementi di prova posti a sostegno dell’ordinanza cautelare, e
delle contestazioni difensive sviluppate nell’udienza di riesame, tra le quali una
eccezione concernente l’asserita incompetenza territoriale del Tribunale di
Monza. Va detto in effetti, fin d’ora, che 1’11/10/2012, in esecuzione
dell’accordo raggiunto tra esponenti della famiglia Sangalli ed il Lotito,
quest’ultimo si era incontrato con Giorgio Sangalli nella stazione Termini di
Roma, e qui aveva ricevuto una busta contenente del denaro.
L’eccezione di incompetenza territoriale è stata disattesa dal Tribunale
milanese in base all’assunto che «promessa corruttiva» o «accordo corruttivo»
avrebbero avuto luogo a Monza, così segnando la consumazione del reato ed il
/ocus commissi delicti.
Lo schema del reato progressivo, con eventuale variazione della
competenza, si realizza secondo il Tribunale solo nel caso in cui, a reato già
consumato, sopravviene l’integrale pagamento dell’utilità promessa dal
corruttore. Quando manchi la prova di tale pagamento, o vi sia (come nella
specie) soltanto quella di versamenti parziali, non potrebbe che aversi riguardo
al luogo «in cui si è formato l’accordo corruttivo». E nella specie tale luogo, «in
assenza di concreti elementi contrari», andrebbe individuato con riguardo alla
sede della «impresa promittente», cioè appunto Monza.
Se poi mancassero informazioni anche a tale ultimo proposito, ma solo in
questo caso, potrebbe essere invocato il disposto del comma 1 dell’art. 9 del
codice di rito.
1.2. In punto di esigenze cautelari, il Tribunale condivide la valutazione del
Giudice cautelare circa il rischio di reiterazione di reati della stessa indole, non
significativamente ridotto dalle intervenute dimissioni dall’incarico di assessore

2

[2.

dal versamento in più

ad Andria, poiché Lotito sarebbe persona ben inserita negli ambienti politici ed
istituzionali e potrebbe ottenere nuovi incarichi pubblici. Inoltre egli avrebbe
manifestato vera professionalità nella vicenda corruttiva, presumibilmente non
isolata, come dimostrerebbero ulteriori pendenze per fatti analoghi.
In punto di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, il Tribunale
rileva che i fatti sono in corso di accertamento, anche per l’individuazione dei
complici interni all’apparato amministrativo (la cui esistenza è dedotta dal
livello della tangente ricevuta), e che l’indagato potrebbe facilmente ostacolare

2. Con un primo gruppo di motivi – dedotti a norma dell’art. 606, comma 1,
lettere b) , c) ed e), cod. proc. pen. – i Difensori dell’indagato assumono difetto
di motivazione per travisamento del fatto, violazione della legge penale
sostanziale (relativamente all’art. 319 cod. pen.), violazione della legge penale
processuale (relativamente agli artt. 8, 9 e 291 cod. proc. pen).
Si ritiene, in sostanza, che il Tribunale di Milano avrebbe dovuto rilevare
l’incompetenza per territorio di quello monzese, ed assumere i conseguenti
provvedimenti.
Secondo i ricorrenti, in particolare, il Giudice del riesame avrebbe trascurato
una fonte di prova posta a sua conoscenza, cioè il verbale delle dichiarazioni
rese, pochi giorni prima dell’udienza camerale, da Giorgio Sangalli (verbale
formato il 18/12/2013 ed allegato in copia al ricorso). Nella ricostruzione di
Sangalli, l’accordo corruttivo era stato stipulato durante un incontro a Bari, ed i
pagamenti più recenti erano stati effettuati a Roma.
Ignorando tali indicazioni, e compiendo una affermazione priva del minimo
supporto probatorio (cioè che a Monza era stata effettuata la promessa
corruttiva), il Tribunale avrebbe compiuto un essenziale travisamento della
prova.
Per altro verso, sarebbe stato derogato l’insegnamento ormai consolidato
della giurisprudenza, per il quale tempo e luogo del commesso reato, nel delitto
di corruzione, vanno individuati con riferimento all’accordo, se allo stesso non
segue l’adempimento della promessa corruttiva, ed invece con riguardo
all’ultima prestazione effettiva, qualora la stessa faccia seguito al negozio.
I ricorrenti notano, per un verso, che l’accordo corruttivo s’era concluso a
Bari, e dunque la competenza non sarebbe stata comunque riferibile al Giudice
di Monza. Per altro verso rilevano come sia del tutto “innovativa”, e non
sostenibile, la tesi del Tribunale secondo cui i pagamenti successivi
rileverebbero solo se commisurati all’intero ammontare della prestazione
promessa. In realtà, alla luce della giurisprudenza corrente, la competenza

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9,,,

le indagini anche nell’ipotetica condizione di persona agli arresti domiciliari.

apparterrebbe al Tribunale di Roma, luogo delle ultime tre dazioni in favore del
Lotito.
Secondo i Difensori questa Corte dovrebbe annullare non solo l’impugnata
ordinanza, ma anche il provvedimento cautelare, emesso da Giudice
incompetente senza ragioni di urgenza e comunque senza motivazione in
proposito.

3. Ulteriori motivi di doglianza, dedotti a norma dell’art. 606, comma 1, lettere

3.1. Anzitutto il Tribunale avrebbe violato il divieto di reformatio in peius,
insito nella disciplina dell’art. 309 cod. proc. pen., confermando il
provvedimento restrittivo in base all’asserita esigenza di prevenire attività di
ostacolo alle indagini: esigenza non ritenuta dal Giudice cautelare, che si era
limitato a prospettare solo il rischio della reiterazione di comportamenti
delittuosi.
3.2. In secondo luogo vi sarebbe mancanza di motivazione, avuto riguardo
alla previsione di cui alla lettera a) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen.,
relativamente alla sussistenza in concreto di rischi per la genuinità del
procedimento di formazione della prova. Tali rischi sarebbero stati meramente
enunciati, mentre la giurisprudenza avrebbe chiarito la necessità di indicare
quali indagini dovrebbero essere preservate ed in che senso la misura disposta
sarebbe utile e necessaria allo scopo.
3.3. Ancora – in violazione degli artt. 274, comma 1, lettera a) e 292,
comma 2, lettera d), cod. proc. pen. – il Tribunale avrebbe omesso di fissare
una data di scadenza della misura confermata, in relazione all’asserita
necessità di tutela delle indagini.
3.4. Infine, derogando alla regola di adeguata motivazione in rapporto
all’art. 271, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., la necessità di prevenire
comportamenti delittuosi sarebbe stata affermata senza indicare la fonte di
prova utilizzata per la misurazione del rischio, tanto più necessaria quando,
come nella specie, l’interessato abbia dismesso la carica pubblica che avrebbe
consentito il suo comportamento criminoso. Sarebbe illogico per altro verso, se
riferito all’ipotizzata adeguatezza degli arresti domiciliari, il rilievo sul rischio
dell’assunzione di nuovi incarichi pubblici, non ragionevolmente prospettabile,
appunto, per una persona confinata nella propria abitazione.

4. Nelle more del giudizio, in data 16/04/2014, il Difensori del Lotito hanno
depositato note difensive, di sostanziale conferma delle osservazioni svolte con
il ricorso.
4

(J2,-,

c) ed e), cod. proc. pen, attengono alla questione delle esigenze cautelari.

Quale che fosse il luogo in cui l’accordo corruttivo era stato raggiunto, la
competenza dovrebbe essere fissata, in piana applicazione della giurisprudenza
corrente, con riguardo al luogo dell’ultimo versamento, cioè Roma.
I Difensori, soprattutto, affermano che, una volta riscontrata l’incompetenza
del Giudice del provvedimento impugnato, il Giudice dell’impugnazione (cioè,
questa Corte) dovrebbe valutare se sussistessero, per l’applicazione della
cautela, le condizioni indicate all’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., e cioè
l’urgenza di dare assicurazione ad una delle esigenze cautelari indicate all’art.

condotta in base alla motivazione del provvedimento cautelare, chiudendola
negativamente ove, nella stessa, non siano indicate ragioni di urgenza atte a
legittimare l’applicazione della misura ad opera del giudice incompetente.
Proprio questa sarebbe la situazione nel caso di specie. Di conseguenza,
questa Corte non dovrebbe semplicemente dichiarare la incompetenza del
Tribunale di Monza. Dovrebbe, piuttosto, annullare senza rinvio tanto il
provvedimento di riesame che l’ordinanza genetica del trattamento cautelare,
disponendo nel contempo l’immediata liberazione del Lotito (che risulta al
momento in condizione di arresti domiciliari).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato, nella parte in cui censura la deliberazione assunta dal
Tribunale milanese in punto di competenza per territorio del Giudice che aveva
adottato la misura oggetto del ricorso per riesame.
1.1. Il ricorrente sollecita una valutazione della competenza territoriale certamente proponibile anche nel giudizio di legittimità (infra) – alla luce delle
dichiarazioni confessorie rese da Giorgio Sangalli nel corso di un interrogatorio
assunto dal Pubblico ministero in data 18/12/2003, poco prima dell’udienza
camerale di riesame.
In sintesi, Sangalli ha riferito che vi era stato un primo incontro a Monza
senza che venisse prospettata alcuna forma di corruzione. Solo in una
successiva occasione, presso un negozio di divani collocato a Bari, Lotito aveva
formulato una richiesta di denaro in vista del conferimento dell’appalto,
quantificando in un milione e mezzo di euro la propria pretesa. Vi erano stati,
sempre nelle Puglie, due ulteriori incontri, e nel secondo, dopo una certa
trattativa, si era concluso l’accordo al «prezzo» di un milione di euro. Il denaro
era stato versato in più rate. La prima, di 300.000 euro, era stata pagata nelle
mani dell’odierno ricorrente a Napoli. Ulteriori versamenti – almeno tre, per un

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274 cod. proc. pen. Nel giudizio di legittimità tale verifica dovrebbe essere

importo complessivo finale di 770.000 euro – erano stati effettuati a Roma, in
due casi alla stazione Termini ed in uno nei pressi di Monte Citorio.
1.2. Non v’è alcun riscontro dell’assunto che il Tribunale abbia preso visione
del verbale appena citato, per la verità formato immediatamente a ridosso
dell’udienza, e non menzionato tra gli atti «visti» ai fini della decisione
(l’epigrafe dell’ordinanza allude agli atti ricevuti dal Collegio il 16 dicembre
precedente). Sembra ovvio che, se fossero state apprezzate, le indicazioni
accusatorie del correo sarebbero state incluse tra gli elementi a sostegno della

Tuttavia può dirsi ugualmente che il Tribunale non avrebbe dovuto pervenire
ad un rigetto dell’eccezione difensiva, cui si è determinato in forza di
affermazioni indimostrate e dell’applicazione di erronei principi di diritto.
1.3. Nella prima prospettiva va considerata l’affermazione secondo la quale
«la promessa corruttiva è stata formulata a Monza», non rapportata ad alcuna
fonte di prova, e non giustificata dalla motivazione del provvedimento
impugnato, che trascura questo aspetto della questione. Tutto ciò senza dire
che la «promessa corruttiva» risulta per sé rilevante, a norma dell’art. 322 cod.
pen., solo quando non venga accolta, e cioè in casi pacificamente diversi da
quello di specie, ove l’offerta è stata invece accettata, dando luogo ad un
accordo corruttivo da qualificare ex art. 319 cod. pen. Non a caso, poche righe
più tardi, nell’escludere la rilevanza dei pagamenti effettuati in punto di
determinazione del /ocus commissi delicti, lo stesso Tribunale si è riferito ad un
«accordo corruttivo». E tuttavia, ammettendo la carenza di informazioni dirette
al proposito, la sua collocazione «nel luogo della sede dell’impresa» è stata
affermata nella «assenza di concreti elementi contrari».
La regola di esperienza implicitamente evocata dal Tribunale – per la quale
gli accordi corruttivi vengono di norma stipulati nella sede dell’impresa
corruttrice, anche quando si tratta di appalti rilevanti da conferire in tutt’altra
zona del Paese – appare davvero inaffidabile.
1.4. In ogni caso, lo stesso Tribunale ha dovuto prendere atto che, dopo
l’accordo corruttivo, erano intervenuti, in luoghi diversi da Monza, pagamenti
esecutivi della prestazione promessa dal privato. Si è affermata però la loro
irrilevanza, in applicazione del principio, enunciato senza alcuna giustificazione,
che solo atti di completo adempimento della promessa corruttiva varrebbero ad
integrare lo schema del reato progressivo e dunque ad incidere sul luogo (e,
dovrebbe ritenersi, anche sul tempo) del commesso reato.
Ora, anche dato che il Tribunale non contesta direttamente la giurisprudenza
ormai consolidata sulla rilevanza delle prestazioni successive all’accordo, può
ricordarsi sinteticamente come la stessa abbia trovato piena conferma ad opera
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(2,

misura confermata.

delle Sezioni unite di questa Corte, in una decisione relativamente recente
(Sez. U, Sentenza n. 15208 del 25/02/2010, Mills, rv. 246583): il pagamento
«cristallizza nel tempo la consumazione del reato, che assume caratteristiche
assimilabili a quelle del reato progressivo, verificandosi una sorta di passaggio
necessario da un minus (la promessa) ad un maius (la dazione), e risultando
offeso con gravità crescente un medesimo bene giuridico […] la prima diventa
un atto prodromico della seconda e ad essa si salda e con essa si confonde,
concorrendo sostanzialmente entrambe, in progressione, al completamento

legislatore ha inteso punire, in primo luogo, il fatto della dazione o effettiva
prestazione, come momento di maggiore concretezza dell’attività corruttiva nel
quale rimane assorbita e si confonde l’eventuale promessa preventiva, e
soltanto in via sussidiaria, ove l’anzidetto aspetto fattuale non si verifichi, la
promessa accettata». Inutile citare, nello stesso senso, le numerose pronunce
antecedenti e conformi.
Piuttosto va notato che le Sezioni unite, sia pure incidentalmente, avevano
preso in espressa considerazione l’ipotesi di pagamenti frazionati, in tutto
equiparandola a quella dell’adempimento in unica soluzione: «deve rifiutarsi
[•..] la tesi secondo cui la consumazione si collocherebbe al momento di
perfezionamento dell’accordo, relegando la dazione effettiva,
meno,

nell’area del

post factum

rateizzata o

non punibile» (nello stesso senso, in

precedenza, Sez. 6, Sentenza n. 33435 del 04/05/2006, rv. 234360).
Non erano mancate del resto, nella giurisprudenza antecedente, occasioni
utili ad affermare espressamente che la pluralità dei pagamenti esecutivi
comporta il progressivo spostamento in avanti (e dunque nello spazio) della
fase consumativa del reato, dovendosi dar rilevanza all’ultimo tra i versamenti
(ad esempio, Sez. 6, Sentenza n. 4300 del 19/03/1997, rv. 208886; Sez. 6,
Sentenza n. 23248 del 7/02/2003, rv. 225669; Sez. 6, Sentenza n. 35118 del
09/07/2007, rv. 237288).
La soluzione appare ineluttabile, alla luce della giustificazione sistematica
elaborata per sostenerla: se il pagamento è la forma “principale” del fatto
corruttivo, ed approfondisce l’offesa tipica del reato, non potendo quindi essere
degradato a post factum non punibile, sembra ovvia la necessaria rilevanza di
ogni adempimento parziale, compreso l’ultimo, per il progressivo aggravamento
che ne deriva della lesione recata al bene giuridico. La soluzione opposta
appare priva di ogni giustificazione razionale.
1.5. Alla luce dei rilievi che precedono deve concludersi che, sulla base degli
atti apprezzati dal Tribunale (e, in aggiunta, di quelli prodotti in allegato al
ricorso), la competenza territoriale ad emettere un provvedimento cautelare
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della fattispecie criminosa in tutti i suoi aspetti. Può quindi affermarsi che il

per il fatto ascritto al Lotito non apparteneva al Tribunale di Monza (e dunque,
per il riesame, a quello di Milano), quanto piuttosto all’omologo Ufficio di Roma.
È appena il caso si rilevare, per chiudere sul punto, che in senso contrario
non potrebbe invocarsi la centralità dei Sangalli, che operavano a Monza, in un
contesto che comprende diversi altri episodi corruttivi. Quand’anche per taluno
dei coimputati la competenza territoriale per i fatti concernenti l’appalto
riguardante il comune di Andria dovesse essere determinata in applicazione
dell’art. 12, comma 1, lettera

b),

cod. proc. pen., e dunque in forza

commessi, l’evenienza sarebbe irrilevante per il Lotito. Si afferma ormai
comunemente, infatti, che la competenza per connessione determinata in base
alla continuazione, nel caso di concorso di più persone nel reato, opera solo
per coloro che abbiano preso parte anche all’illecito che dovrebbe esercitare la
vis actractiva (da ultimo, Sez. 1, Sentenza n. 8526 del 09/01/2013, rv.
254924).

2. Stabilito allora che sono fondati i rilievi difensivi sull’incompetenza territoriale
del Giudice della cautela, e che la competenza a conoscere del fatto contestato
al ricorrente appartiene al Tribunale di Roma, occorre verificare se la questione
possa essere posta nella sede presente, e quali debbano essere, in caso
affermativo, le valutazioni ed i provvedimenti spettanti a questa Corte.

3. Da lungo tempo, ormai, non si discute la sindacabilità della competenza
territoriale nel procedimento incidentale de libertate, anche con riguardo alla
fase di legittimità. Sembra stabilizzarsi, inoltre, la giurisprudenza concernente
l’oggetto e la struttura dei provvedimenti che spettano alla Corte di cassazione
quando riscontra una violazione delle norme sulla competenza ad opera dei
giudici della cautela.
3.1. Come ebbero a rilevare le Sezioni unite (Sentenza n. 19 del
25/10/1994, De Lorenzo, rv. 199391), sarebbe singolare se si ammettesse un
controllo sul provvedimento emesso dal giudice a norma dell’art. 291, comma
2, cod. proc. pen. – controllo che investirebbe tanto la ricorrenza di gravi indizi
ed esigenze cautelari, tanto l’urgenza della relativa assicurazione – e si
disconoscesse invece l’ammissibilità dell’analogo controllo nel caso che il
giudice non abbia rilevato la propria incompetenza. Fu anche aggiunto che la
declaratoria negativa sulla competenza che intervenga ad opera del giudice
dell’impugnazione non può che produrre gli stessi effetti di quella «originaria»:
non cioè l’illegittimità del provvedimento cautelare, e dunque il suo

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LG,

dell’appartenenza ad un disegno criminoso unitario comprendete delitti altrove

annullamento, ma la destabilizzazione dei suoi effetti, cioè la limitata (ulteriore)
efficacia nel tempo, cui si riferisce l’art. 27 del codice di rito.
Nello stesso contesto le Sezioni Unite avevano chiarito, in base ad un
generalissimo principio di devoluzione del potere cautelare, ed in ossequio ad
una esigenza di continuità del controllo sulla legalità dei trattamenti restrittivi,
che il giudice dell’impugnazione conserva il potere-dovere di verifica dei
presupposti legittimanti la compressione della libertà: «anche la Corte di
cassazione, nei limiti del sindacato di legittimità consentitole, pur quando non

proc. pen., ha l’intrinseca e potenziale capacità di verificare la legittimità del
provvedimento cautelare attraverso la ricognizione che è stata compiuta o è
stata trascurata dal tribunale, in appello o in sede di riesame. Per l’esecuzione
di tale verifica sono utilizzabili i parametri normativi di riferimento, in questi
compresi quelli che regolano il presupposto di primario ed essenziale di
qualsiasi provvedimento del giudice, la sua competenza». Ricordavano le
Sezioni unite, evocando la disposizione oggi inserita nel settimo comma dell’art.
111 Cost., che la Carta fondamentale abilita direttamente la Cassazione a
sindacare la legittimità dei provvedimenti sulla libertà personale, la quale è
certamente condizionata anche dall’osservanza delle regole in materia di
competenza.
3.2. Dopo le statuizioni sommariamente richiamate si sono manifestate,
nella giurisprudenza di questa Corte, tendenze non omologabili.
Si collocano su un primo versante diverse decisioni concernenti i poteri del
tribunale del riesame che riconosca, in difformità dalla valutazione compiuta dal
giudice cautelare, la violazione delle regole sulla competenza. In sintesi, tali
decisioni esprimono il concetto che, proprio a cagione della rilevata
incompetenza, il tribunale dovrebbe fare mera applicazione dell’art. 27 cod.
proc. pen., senza potere di annullamento del provvedimento impugnato e
quindi, in sostanza, senza valutazione circa il merito delle condizioni
legittimanti l’adozione della cautela (Sez. 1, Sentenza n. 5968 del 30/11/1998,
rv. 212196; Sez. 3, Sentenza n. 2787 del 07/09/1999, rv. 214519; Sez. 6,
Sentenza n. 22480 del 16/05/2005, rv. 232237; Sez. 6, Sentenza n. 41006
del 05/12/2006, rv. 235443; Sez. 6, Sentenza n. 8971 del 17/01/2007, rv.
235919; Sez. 6, Sentenza n. 6858 del 17/01/2007, rv. 235629; Sez. 6,
Sentenza n. 14649 del 19/03/2007, rv. 236486; Sez. 2, Sentenza n. 48734
del 29/11/2012, rv. 254160).
Altra parte della giurisprudenza, però, ha considerato paradossali le
conseguenze dell’orientamento indicato, ove si nega il sindacato sull’urgenza
che pacificamente si ammette quando il giudice della cautela ha emesso la

9

L,_,

sia stata direttamente investita dal ricorso proposto ai sensi dell’art. 311 cod.

misura ex art. 291 cod. proc. pen., ritardando il controllo di legittimità della
misura proprio in una situazione già segnata da aspetti patologici. Si è quindi
affermato un concomitante orientamento per il quale, rilevando l’incompetenza
non dichiarata dal giudice della cautela, il giudice dell’impugnazione deve
verificare il presupposto dell’urgenza. Con la precisazione, più volte ribadita,
che la verifica in questione va operata in base alle risultanze processuali
quando si tratti del riesame o dell’appello cautelare, e sulla base della
motivazione dei provvedimenti di merito nell’ambito del giudizio di legittimità

30328 del 21/06/2005, rv. 232027; Sez. 4, Sentenza n. 30027 del
13/07/2006, rv. 234825; Sez. 2, Sentenza n. 2076 del 18/12/2009, rv.
246258; Sentenza n. 17205 del 14/04/2010, rv. 246994). E con la
conseguenza, tratta talvolta in modo esplicito, che la carenza delle ragioni
urgenti di assicurazione della cautela comporta un potere-dovere di
annullamento dell’ordinanza applicativa, contestualmente alla dichiarazione di
incompetenza (si veda ancora, ad esempio, Sez. 5, Sentenza n. 2242 del
12/12/2005, rv. 233025).
3.3. V’è per altro da segnalare un’ulteriore evoluzione della giurisprudenza
sul tema, che appare meglio compatibile con i

dicta dell’ormai risalente

pronuncia delle Sezioni unite, e soprattutto con le esigenze di rango
costituzionale che occorre garantire nella disciplina della materia, prima fra
tutte quella della continuità del controllo sulla legalità dei trattamenti restrittivi.
In alcune decisioni si è stabilito, appunto, che il giudice della impugnazione,
quand’anche riscontri in astratto l’urgenza del provvedimento cautelare, non
può prescindere da una verifica delle relative esigenze.

Ed il ragionamento si

estende «naturalmente» ad un controllo circa la tenuta del quadro indiziario,
senza la quale mancherebbe una effettiva necessità cautelare. La
preoccupazione, più o meno esplicitamente espressa, è quella di evitare che
proprio l’anomalo comportamento tenuto dal giudice cautelare (emettere un
provvedimento senza riconoscere la propria incompetenza) finisca con il
comportare un (ulteriore) rinvio della verifica di legalità della restrizione in atto.
Dunque devono «essere presi in esame anche i gravi indizi di colpevolezza […]
ritenendo che, pur nell’assenza di una specifica previsione normativa sul tema
nell’art. 291 cod. proc. pen., quest’ultima disposizione implicitamente preveda
questa soluzione, che è conforme al dettato costituzionale dell’art. 111 Cost.».
E la necessità si pone anche in fase di legittimità, sebbene il controllo, in tal
caso, debba «essere svolto nei limiti di una indagine condotta sulla base dei
due provvedimenti di merito, che vanno considerati congiuntamente, al solo

10

(Sez. 5, Sentenza n. 12944 del 18/02/2003, rv. 224250; Sez. 4, Sentenza n.

fine di stabilire se il quadro indiziario sia sussistente» (Sez. 2, Sentenza n.
26286 del 27/06/2007, rv. 237268).
Occorre naturalmente valutare quali siano le conseguenze, nella specifica
prospettiva del giudizio di cassazione, dei vari possibili esiti del sindacato.
Secondo l’innovativa decisione fin qui citata, la mancanza dei requisiti
fondamentali indicati deve comportare l’annullamento (dell’ordinanza di
riesame e) dell’ordinanza cautelare, con liberazione dell’interessato e
trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente. Nel caso invece vi sia

della motivazione del provvedimento di riesame), non vi dovrebbe essere
annullamento, ma solo l’indicata trasmissione degli atti, affinché il giudice
competente possa compiere le valutazioni di propria pertinenza (compreso il
sindacato su eventuali carenze motivazionali dell’ordinanza di riesame).
Il «sistema» è stato ripreso ed ulteriormente definito con una recente
decisione sugli stessi temi. A proposito del requisito di urgenza, in particolare,
si è notato come non possa bastare l’ovvia considerazione che ogni cautela è
per se stessa urgente, dovendo trovare legittimazione il fatto che il
provvedimento restrittivo sia stato emesso da un giudice diverso da quello
competente. L’urgenza – si è detto – deve essere valutata in Cassazione sulla
base degli elementi che emergono dal provvedimento impugnato (Sez. 5,
Sentenza n. 10208 del 31/01/2013, rv. 255064).
Una distonia si rileva, tra i due provvedimenti citati da ultimo, solo quanto
alle conseguenze che il giudice di legittimità deve trarre – in presenza delle
condizioni «sostanziali» per la prosecuzione «provvisoria» della cautela – dalla
constatata erroneità del giudizio del tribunale del riesame circa la competenza
del giudice cautelare. La sentenza più recente ha infatti provveduto ad un
annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, non esteso al
provvedimento applicativo, dichiarando la competenza di un diverso tribunale
ed ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice
ritenuto competente.
3.4. Il Collegio ritiene di aderire ai più recenti approdi della giurisprudenza di
questa Corte, per le ragioni già sostanzialmente esposte e con le precisazioni
che seguono.
Non v’è dubbio, anche in base alla lettera dell’art. 27 cod. proc. pen., che
l’incompetenza del giudice della cautela possa essere riconosciuta anche
successivamente all’adozione della misura ed anche nell’ambito dei giudizi
impugnatori. Quando si verifica tale ultima eventualità, la constatazione
dell’incompetenza non implica una accertata invalidità del provvedimento
genetico, ma solo una sua «destabilizzazione»: una scelta legislativa di
11

ul,

«tenuta» della decisione cautelare (anche ed eventualmente in presenza di vizi

bilanciamento tra la necessità che la questione sia apprezzata entro tempi brevi
dal suo giudice naturale e l’esigenza che interessi primari della collettività non
subiscano un pregiudizio eventualmente irreparabile (si vedano, in proposito, i
perspicui rilievi svolti dalle Sezioni unite con la già citata sentenza n. 19/1994).
Occorre, per altro, che la prosecuzione pur «provvisoria» del trattamento
restrittivo trovi legittimazione in tutte le condizioni che autorizzano il giudice
incompetente alla relativa instaurazione, muovendo dai gravi indizi per
approdare ad esigenze di cautela qualificate da una particolare urgenza.

dell’incompetenza valesse a rinviare, nella procedura di impugnazione, la
verifica delle condizioni fondamentali per la legalità della cautela. Ed il
ragionamento non può che valere anche per il giudizio di legittimità, con la
precisazione che il controllo può essere condotto solo secondo il suo schema
tipico, cioè attraverso una valutazione degli elementi prospettati nella
motivazione dell’ordinanza applicativa e/o del provvedimento di riesame.
A proposito del sindacato circa l’urgenza, deve convenirsi che non ogni
misura cautelare è urgente in quanto tale. Ma neppure può essere pretesa, a
fini di verifica positiva del requisito, l’esistenza di una motivazione esplicita
circa un’urgenza rilevante a norma dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen.
(come invece si suggerisce dal ricorrente). Proprio l’errore in punto di
competenza commesso dal giudice della cautela e da quello del riesame, nelle
ipotesi allo studio, implica che costoro non abbiano avvertito la necessità di
giustificare i provvedimenti assunti in base ad una urgenza qualificata. Si
tratterà dunque di valutare, sia pure sulla scorta dei soli elementi valorizzati da
quei giudici, se emergano nel caso concreto ragioni utili a legittimare una pur
breve dilazione del trattamento in attesa dell’intervento ad opera del giudice
competente.
Il Collegio concorda sul fatto che, conclusa negativamente la verifica in
punto di gravi indizi o esigenze cautelari ad assicurazione urgente, la Corte di
legittimità dovrebbe annullare il provvedimento di riesame e quello genetico,
così interrompendo immediatamente l’esecuzione della cautela. Nel caso
contrario, ferma restando la dichiarazione di incompetenza produttiva degli
effetti di cui all’art. 27 cod. proc. pen., non si ritiene debba essere annullato
l’impugnato provvedimento di riesame (così come invece stabilito dal più
recente tra gli arresti sul tema).
L’annullamento non potrebbe essere disposto con rinvio, per l’ovvia ragione
che rimetterebbe al giudice già dichiarato incompetente una determinazione
che non gli spetta. Ma neppure sembra necessario o comunque richiesto un
annullamento senza rinvio, che eliminerebbe un passaggio rilevante della

12

Sarebbe un paradosso, come si è già notato, se la constatazione

procedura

de libertate,

produttivo di effetti nella determinazione della

fattispecie processuale di efficacia «prorogata». Detto annullamento sarebbe
disposto in eccedenza rispetto alla conseguenza tipica ed esclusiva
dell’accertamento di incompetenza, cioè la destabilizzazione dell’efficacia nel
tempo del provvedimento impositivo. Ciò che conta, quando il giudice
dell’impugnazione afferma per primo l’incompetenza, è che si creino le
condizioni di operatività dell’art. 27 cod. proc. pen., affinché il giudice
competente possa nei termini reiterare la cautela o, in mancanza, si determini

Non a caso, all’esito di entrambe le sentenze cui finora si è fatto riferimento,
il procedimento è «ricominciato» con la diretta investitura del pubblico
ministero presso il giudice dichiarato competente, affinché la misura venisse da
questi eventualmente reiterata, prima d’una rinnovata e solo eventuale
procedura di riesame innanzi al tribunale distrettuale.

4. Alla luce dei principi enunciati nel paragrafo che precede, va rapidamente
osservato come, nel caso di specie, non sussistano le condizioni per un
annullamento del provvedimento impugnato e dell’ordinanza cautelare, pur
dovendosi dichiarare l’incompetenza del giudice che procede a favore del
Tribunale di Roma.
4.1. Dalla motivazione dei provvedimenti de quibus emergono ampiamente,
ed in primo luogo, gravi indizi di responsabilità del Lotito per il reato ascrittogli.
Le prime ed inequivoche notizie sulla tangente «barese» erano emerse da un
colloquio tra Giancarlo Sangalli e la figlia Patrizia, tenuto il 13/06/2012 a
proposito della preparazione della provvista per il pagamento di tangenti,
durante il quale si era fatto riferimento ad un milione di euro «di Bari». Nei
giorni successivi vi erano stati riferimenti al procedimento aperto a Trani per
fatti analoghi a quelli odierni (che ha coinvolto anche Lotito), allo «assessore»
(mai contattato direttamente con mezzi che lasciassero tracce) e ad Andria.
L’ordinanza cautelare, alle pp. 106 e seguenti, descrive in dettaglio le ulteriori
conversazioni pertinenti alla vicenda, fino a giungere alla data dell’11/10/2012,
allorquando Giorgio Sangalli aveva personalmente incontrato l’odierno
ricorrente alla stazione Termini di Roma, consegnandogli tra mille cautele una
busta con il denaro: del che è rimasta amplissima traccia documentale tanto in
forza di intercettazioni telefoniche ed ambientali, tanto in ragione dei controlli
sullo spostamento dei telefoni cellulari in uso agli interessati, tanto ed infine
grazie alle riprese televisive che hanno immortalato Lotito ed il suo
interlocutore.

13

l’inefficacia della misura.

Anche il provvedimento di riesame contiene una sintesi più che adeguata
delle risultanze. Risultanze che – è appena il caso di aggiungere – sono
ulteriormente confermate dalle dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie del
Sangalli.
Può essere utile notare, infine, che il ricorso qui in esame non sviluppa
censure quanto alla gravità del quadro indiziario concernente l’interessato.
4.2. In punto di sussistenza delle esigenze cautelari indicate all’art. 274 cod.
proc. pen., il Giudice di prime cure ha sostanzialmente posto in rilievo la

sede, può essere attribuita al ricorrente. Professionalità desunta dalla gravità
del fatto (appalto di valore notevolissimo, con tangente di portata adeguata),
dalla sua concomitanza con altri fatti analoghi per i quali si procede
separatamente, dalle modalità di conduzione dell’affare (uso di intermediari,
spegnimento del cellulare durante gli spostamenti decisivi, ecc.). Dalle indicate
circostanze si è dedotta, con giudizio espressamente confermato in sede di
riesame, l’esistenza di un forte rischio di reiterazione di condotte delittuose
della stessa indole, tenuto conto che all’epoca del provvedimento restrittivo il
Lotito ancora esercitava funzioni pubbliche, e che andava comunque interrotto
ogni contatto con persone coinvolte nei fatti di causa. L’appartenenza ad una
rete politico-affaristica, capace in ipotesi di condizionare appalti di grande
rilevanza economica e politica, consente di prendere parte a vicende corruttive
indipendentemente dalla personale titolarità di una carica pubblica.
Il riferimento a rischi di inquinamento della prova – in una fattispecie
concreta che, anche per l’entità della tangente, aveva plausibilmente coinvolto
diversi pubblici amministratori – si è fatto più esteso ed esplicito nel
provvedimento di riesame, allorquando si è preso atto delle dimissioni medio
tempore intervenute dalla carica di assessore comunale, ma ugualmente si è
ritenuta la perdurante necessità della cautela. Ciò alla luce dei contatti ancora
vantati dal Lotito, tali da favorire l’acquisizione di nuovi incarichi, e comunque
per la necessità ancora attuale di prevenire attività di inquinamento della
prova, rispetto alle quali la misura degli arresti domiciliari non è parsa al
momento adeguata (risulta per altro applicata successivamente).
Si tratta di giudizi di fatto, non motivati in modo incongruo o mediante mere
formule di stile, i quali dunque non possono essere ammissibilmente sindacati
da questa Corte, e che valgono ad integrare quella situazione legittimante, per
l’ulteriore prosecuzione della cautela, di cui ampiamente si è detto nel
paragrafo che precede.

14

tf

professionalità delinquenziale che, nella prospettiva di valutazione tipica della

4.3. Per quanto possa occorrere (la giurisprudenza richiamata ha escluso un
potere-dovere di sindacato sulla motivazione del provvedimento di riesame),
può aggiungersi che le censure difensive sul punto risultano infondate.
Non è affatto esigibile, e già in sostanza si è detto, che la prognosi circa la
reiterazione di comportamenti delittuosi – tratta da elementi puntualmente
indicati dai Giudici di merito – si spinga fino ad una sorta di previsione in
dettaglio degli illeciti che potrebbero essere commessi in assenza della cautela.
Quanto alla genuinità del procedimento di formazione della prova, va per un

espressione assai sintetica e non particolarmente lineare, era stata individuata
anche dal Giudice per le indagini preliminari («essendo necessario troncare in
radice ogni potenziale contatto con gli affari pubblici affidati alle sue cure e alle
persone che possono avere avuto contatti al riguardo»)
In ogni caso, per ciò che attiene alle misure di cautela personale (altra
questione è quella del sequestro), la giurisprudenza ha più volte stabilito la
possibilità per il giudice del riesame di confermare un provvedimento restrittivo
anche per l’assicurazione di esigenze diverse da quelle individuate nel
provvedimento applicativo (ad esempio, Sez. 6, Sentenza n. 26317 del
29/93/2007, rv. 237567).
Per altro verso ancora, è ormai stabile l’orientamento che esclude la
necessità della fissazione di un termine massimo di durata per la misura
disposta in relazione a possibili attività di inquinamento della prova, quando la
cautela sia stata giustificata anche in rapporto a diverse ed ulteriori esigenze
(da ultimo, Sez. 6, sentenza n. 41632 del 17/07/2013, rv. 257802).
4.4. Resta da stabilire, a questo punto, se risulti dai provvedimenti de quibus
che il Giudice monzese avrebbe potuto adottare la misura applicata nei
confronti del Lotito, a mente dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen.,
nonostante la propria incompetenza per territorio.
Va ricordato, a questo proposito, che la peculiare urgenza dell’adempimento
non potrebbe essere disconosciuta rilevando l’assenza di una esplicita
motivazione al riguardo, che, nella prospettiva dell’asserita loro competenza, i
Giudici della cautela non avrebbero avuto ragione di illustrare.
Ugualmente però si desume, dai rilievi svolti nell’ultima parte del
provvedimento confermato dall’ordinanza di riesame, che l’iniziativa cautelare
poteva considerarsi effettivamente urgente. I principali indagati, ed in
particolare i Sangalli, avevano avuto ripetuti segnali di indagini sugli appalti
che li vedevano coinvolti. Per un verso, e nondimeno, avevano proseguito la
propria attività criminosa, e per l’altro si erano dati ad attività di ostacolo alle
indagini distruggendo «appunti compromettenti» (p. 307 dell’ordinanza

15

verso ribadito come la relativa esigenza di tutela, per quanto con una

cautelare) e, nel caso di Giorgio Sangalli, dandosi addirittura ad una sorta di
latitanza preventiva (p. 306). A tale Gianpietro Zanini, sia pure con riguardo ad
epoca relativamente risalente, è specificamente contestata una attività di
favoreggiamento consistita nel collaborare alla distruzione di materiali
documentali detenuti da altri collaboratori dei Sangalli (capo U della rubrica).
Secondo il Giudice cautelare «gli indagati sono persone che ad ogni sentore
di pericolo elaborano strategie per ovviare ai controlli» (p. 307), tanto che, ad
esempio con riguardo a Giancarlo Tullio (depositario dei fondi neri del gruppo),

provvista Sangalli».
Si tratta di notazioni non direttamente riferibili al Lotito, ma sufficienti a
lumeggiare la peculiare urgenza dell’iniziativa cautelare sui fatti riferibili ai
Sangalli, e, per conseguenza di questa, con riguardo ai correi degli stessi
Sangalli, non essendo ovviamente concepibile una scelta di deliberato
frazionamento delle contestazioni.

5. Non resta che enunciare in sintesi le conclusioni progressivamente
maturate.
Il ricorso va accolto nella parte in cui deduce che il Tribunale di Milano
avrebbe dovuto rilevare l’incompetenza territoriale del Giudice procedente, con
i provvedimenti di conseguenza. Lo stesso ricorso è, nel resto, infondato.
La incompetenza del Tribunale che ha disposto la cautela va direttamente
rilevata da questa Corte, con relativa declaratoria ai sensi e per gli effetti
dell’art. 27 cod. proc. pen. Non sussistono, invece, le condizioni per un
annullamento dell’ordinanza impugnata e del provvedimento cautelare in corso
di esecuzione.

P.Q.M.

Dichiara

l’incompetenza per territorio del Tribunale di Monza e dispone

trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma
ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 06/05/2014.

si è prospettato «il concreto pericolo di ulteriori carte false per occultare la

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