Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2336 del 15/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2336 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da OPPEDISANO Michele, nato il giorno 25
giugno 1970, avverso l’ordinanza 10 agosto 2013 del Tribunale di Reggio
Calabria.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Luigi Riello, che ha concluso per il rigetto del ricorso, nonché il difensore del
ricorrente, avv.ssa Orlando, che ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione.

RITENUTO IN FATTO
1. Oppedisano Michele ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso
l’ordinanza 10 agosto 2013 del Tribunale di Reggio Calabria che ha rigettato
l’appello, avverso l’ordinanza 21 novembre 2012 dal Tribunale di Locri, la quale,
accogliendo parzialmente un’istanza ex art. 297. terzo comma e 303. comma 1,
lett. a) n.3 c.p.p., aveva dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare

Data Udienza: 15/01/2014

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della custodia in carcere imposta con l’ordinanza di custodia 6 luglio 2011, con
esclusivo riferimento al capo A, mentre l’aveva confermava con riguardo ai capi
O. P e Q della medesima rubrica.
2. Dagli atti nella disponibilità della Corte risulta quanto segue:
a) Oppedisano è stato raggiunto da due distinte ordinanze custodiali,

richieste della competente DDA reggina:

– la prima è l’ordinanza n.1389/08 (op. cd. CRIMINE). in data 4 agosto
2010 con l’accusa ex art. 416 bis cod. pen. (capo A);
– la seconda. invece, n.611/08 in data 6 luglio 2011 emessa nell’ambito del
presente procedimento penale (op. c.d. SOLARE 2) attribuisce alla condotta del
ricorrente la sussistenza dell’art. 74 d.p.r. 309/90 aggravato ex art. 7 lege 203/91

(capo A),

nonché la commissione di tre delitti fine, costituiti da fattispecie di cui

all’art. 73. anch’essi circostanziate dalla c.d. gravante mafiosa (capi O, P e Q)
b)

il Tribunale di Locri, con esclusivo riferimento ai detti ultimi capi “O-P-

Q”, ha mantenuto l’efficacia dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere sul
rilievo che, per i medesimi reati, non fosse possibile ravvisare alcun elemento
indicativo di una reale connessione qualificata tra tale delitto art. 73 e quello di cui
all’art. 74 d.p.r. 309/90 dell’operazione Crimine;
c) in sede di appello, la difesa ha sostenuto l’erroneità delle conclusioni del
Tribunale rilevando, quanto all’assenza del requisito della desumibilità degli atti,
che i dati riferiti dal Tribunale (dichiarazioni di Como Edmond e l’informativa del I
dicembre 2010) non inciderebbero assolutamente sulla rilevata circostanza che la
DDA reggina ben avrebbe potuto contestare i reati di cui all’indagine “Solare 2”
anche all’epoca della richiesta della prima OCC “Crimine”;
d)

il fatto che tutte le ipotesi delittuose fossero state realizzate dai

medesimi individui e all’interno di uno specifico lasso temporale farebbe loro
assumere quella caratteristica di omogeneità che sta proprio alla base del concetto
di unicità ed indeterminatezza del programma criminoso: da ciò la conseguenza
che tali delitti-satellite andavano considerati come oggettiva esplicazione di un
originario programma associativo.

emesse dal G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria e sulla base di due diverse

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e) il Tribunale di Reggio Calabria con l’ordinanza 10 agosto 2013 oggi
impugnata ha rigettato l’appello, avverso l’ordinanza 21 novembre 2012 dal
Tribunale di Locri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con un primo motivo di impugnazione si prospetta violazione di legge e

La difesa pur non contestando la regola di diritto secondo cui è ipotizzabile

t

la sussistenza della continuazione tra reato associativo e reati fine a condizione
che questi ultimi siano già stati programmati al momento della costituzione della
associazione (fattispecie nella quale la richiesta di applicazione della disciplina
del reato continuato è stata ritenuta infondata perché basata unicamente sul
rilievo che l’acquisto di sostanze stupefacenti era avvenuto mentre era in vita la
associazione criminale e con il concorso degli aderenti alla associazione stessa:
cass. pen. sez. 1, 12639/2006 Rv. 234100) sostiene che tale canone
interpretativo non esige che ogni singolo reato fine sia stato già deciso in tutte le
sue forme ovvero, modalità, tempi e luoghi, soprattutto come nella specie
laddove trattasi di reato associativo ex art. 74 e reati fine ex art. 73 d.p.r.
309/90.
2.

Con un

secondo motivo si lamenta l’omessa motivazione della

«desumibilità» in relazione alle censure dell’appello rimaste prive di risposta. In
particolare: si nega che l’informativa del I dicembre offra elementi nuovi rispetto
alle precedenti informative del marzo dello stesso anno; si evidenzia che le
dichiarazioni di Como Edmond riguardano il reato associativo e non i reati fine.
3. Ritiene la Corte, aderendo alle richieste del Procuratore generale / che
nessuna delle doglianze sia fondata con conseguente rigetto dell’impugnazione.
3.1. In proposito occorre rammentare che la Corte delle leggi, nelle
pronunce che hanno interessato l’art. 297 comma 3 cod. proc. pen. ha evidenziato
che la funzione dell’istituto della retrodatazione, in presenza di “contestazioni a
catena, è quella di evitare che, rispetto a una custodia cautelare in corso,
intervenga un nuovo titolo il quale, senza adeguata giustificazione, determini di
fatto uno spostamento in avanti del termine iniziale della misura.

vizio di motivazione in relazione agli artt. 125 e 297 comma 3 cod. proc. pen..

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L’introduzione di parametri certi e predeterminati nella disciplina delle
“contestazioni a catena” è stata così attribuita all’esigenza di “configurare limiti
obiettivi e ineludibili alla durata dei provvedimenti che incidono sulla libertà
personale” (sentenza n. 89 del 1996), in assenza dei quali si potrebbe espandere
la restrizione complessiva della libertà personale dell’imputato, tramite il “cumulo

costituzionale sentenza n. 233 del 2011).
3.2. Si è inoltre precisato che la disciplina delle “contestazioni a catena” si
connota per una rigidità finalizzata a scongiurare il rischio di un’espansione,
potenzialmente indefinita, della restrizione complessiva della libertà personale, ed
è in nome di questa rigidità che la disciplina delle “contestazioni a catena” non
tollera alcuna “imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del potere
cautelare” (Corte costituzionale sentenza n. 204/12).
3.3. In tale ambito, i principi applicativi della norma di cui all’art. 297,
comma 3, cod. proc. pen., sono stati definiti dagli interventi della Corte
costituzionale (sentenza n, 408 del 2005 e n. 233 del 2011) e della Corte di
cassazione (Sez. U, n. 21957 del 22/03/2005, Rahulia; Sez. U, n. 14535 del
19/12/2006, dep. 2007, Librato) e sono stati di recente sintetizzati con ulteriore
pronuncia delle S.U. n. 45247/2012, Gurgone: principi nella specie tutti rispettati
nella decisione e nell’argomentazione che fonda il provvedimento impugnato..
3.4. Quanto ai poteri del giudice di legittimità, le S.U. hanno ribadito che
la verifica dei presupposti di applicazione della retrodatazione ex art. 297,
comma 3, cod. proc. pen. costituiscono una “quaestio facti” la cui soluzione é
rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito, e in quanto tale
richiede l’esame e la valutazione degli atti ed una ricostruzione dei fatti, attività
precluse al giudice di legittimità, il quale deve solo verificare che il convincimento
espresso in sede di merito sia correttamente e logicamente motivato (cfr.da
ultimo in termini: S.U. n.45247/2012, Gurgone e cass. pen. Sez. 5, n. 44606 del
18/10/2005, Traina, Rv. 232797; Sez. 6, n. 12676 del 20/12/2006, dep. 2007,
Barresi, Rv. 236829; Sez. 4, n. 9990 del 18/01/2010, Napolitano, Rv. 246798).

materiale” – totale o parziale – dei periodi custodiali afferenti a ciascun reato (Corte

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4. Orbene, venendo al caso di specie, ritiene il Collegio, contrariamente
agli assunti difensivi, la correttezza in fatto e in diritto dell’argomentare della
gravata ordinanza.
4.1. Risulta infatti che il Tribunale del riesame ha puntualmente motivato
la sua negativa decisione con un argomentare non censurabile in questa sede e

art. 297 comma 3 cod. proc. pen..
4.2. l’ordinanza impugnata, invero, pur ricostruita nei termini del Tribunale
di Locri la connessione tra l’associazione del “procedimento Solare 2” e quella
mafiosa di cui al “procedimento Crimine”, ha rilevato che gli elementi di
convincimento raccolti non consentono di affermare che nel momento in cui
l’appellante ha aderito all’associazione mafiosa di cui al procedimento “Crimine”,
lo stesso avesse previsto e deliberato la commissione delle narco-importazioni
che hanno formato oggetto dell’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito del
presente procedimento penale, tenuto conto che compito del giudicante è quello
individuare una connessione qualificata / non solo tra il capo A e i capi O. P e Q 1 ma
tra l’associazione mafiosa di cui al procedimento “Crimine”, relativa al primo titolo
custodialee-e gli odierni capi O, P e Q..
4.3. Nel caso di specie, non solo i capi O. p e Q.non sono stati ritenuti
connessi con il capo A (associazione di cui all’art. 74 DPR 309/90), ma anche e
soprattutto con l’associazione mafiosa di cui al procedimento “Crimine”: da ciò
l’affermata insussistenza di un utile vincolo connettivo qualificato tra le diverse
vicende.
4.4. Così esclusa la sussistenza di una connessione qualificata ex art. 12
cod. proc. pen. ai fini dell’operatività del meccanismo della ” contestazione a
catena”, bene il Tribunale si è posto il problema di accertare la ricorrenza
dell’ulteriore requisito della ‘desumibilità” e, cioè, di verificare se / al tempo di
adozione della prima ordinanza nel procedimento CRIMINE /fossero già desumibili
dagli atti elementi legittimanti l’adozione del successivo provvedimento de
libertate.
Orbene, la conclusione negativa del provvedimento risulta fondata
sull’affermazione che la gravità indiziaria, per i fatti “0-P-Q” oggetto dell’ordinanza

che bene supporta la ricostruzione dei fatti e la corrispondente loro valutazione ex

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di custodia cautelare in carcere nell’operazione Solare 2, risulta fondata su
elementi acquisiti posteriormente alla emissione del precedente titolo custodiale
nell’operazione Crimine.
Elementi questi da individuarsi nelle dichiarazioni di Como Edmond
dell’ottobre-novembre 2010 e nell’informativa I dicembre 2010 successiva alla

Crimine.
4.5. Si tratta, all’evidenza, di un giudizio non superabile con la mere
antipodiche considerazioni difensive, le quali sembrano dimenticare che, come è
stato evidenziato in modo conforme e logicamente irreprensibile dal G.I.P. e dal
Tribunale del riesame, sia le asserzioni del Como che le conclusioni
dell’informativa citato, hanno svolto una decisiva funzione unificante di tasselli
probatori che, pur esistenti, solo per tale fatto, hanno potuto raggiungere una
compiuta, unitaria e convergente gravità indiziaria, prima non conseguita, e
correttamente valorizzata per la seconda pronuncia cautelare.
Pertanto, nessuna imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari
del potere cautelare, risulta nelle specie essersi verificata, attesa la coerenza e
logicità degli assunti che hanno supportato la deliberazione impugnata.
Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del
provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e
coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata. Manda alla
Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94.1 ter disp. att. C.P.P..

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94.1 ter disp. att. C.P.P..
Cosi deciso in Roma il giorno 15 gennaio 2014

data del 13 luglio, giorno in cui è avvenuto il fermo dell’indagato nel procedimento

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