Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23354 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23354 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Conte Giuseppe, nato a Villafranca Padovana il 21/03/1958

avverso la sentenza n. 464/2013 della Corte d’appello di Venezia in data
28/03/2013

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere Guglielmo Leo;
udite le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Mario
Fraticelli, che ha chiesto annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata,
limitatamente alla quantificazione della pena, da rideterminarsi nella misura di
mesi otto di reclusione, con interdizione dai pubblici uffici per anni uno,
rigettando nel resto il ricorso;
udito il Difensore del ricorrente, avv. Emanuele Fragasso, che ha insistito per
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 04/02/2014

1. È impugnata la sentenza del 28/03/2013 con la quale la Corte d’appello di
Venezia ha confermato, in punto di responsabilità dell’imputato e di
qualificazione giuridica del fatto, la decisione in data 30/03/2009 del Tribunale di
Padova, assunta in esito a giudizio condotto con rito abbreviato.
Con tale decisione, Giuseppe Conte era stato dichiarato colpevole del delitto
di cui all’art. 319 cod. pen., perché, nella propria qualità di vice sindaco e di
assessore ai lavori pubblici del Comune di Villafranca Padovana, aveva accettato
la promessa della somma di euro 40.000, e la dazione effettiva di euro 20.000,

compimento di atti contrari ai doveri del suo ufficio: in particolare, Conte si
sarebbe attivato affinché la trattativa tra la società telefonica Vodafone ed il
proprietario di un fondo confinante con terreni d’interesse del Rossetto si
concludesse in modo da prevedere il posizionamento di una antenna telefonica
secondo un criterio che evitasse la creazione di vincoli per l’edificazione sui
terreni citati; inoltre, lo stesso Conte si sarebbe impegnato affinché mutasse la
destinazione urbanistica di suoli recentemente acquistati da società riferibile al
Rossetto, da «zona agricola» a «zona di espansione», con ovvio incremento di
valore dei suoli medesimi.

2. Poiché la parte più rilevante delle critiche alla decisione impugnata attiene alla
qualificazione del fatto come corruzione propria, anziché come delitto punito ex
art. 318 cod. pen., è possibile concentrare l’attenzione sul tema delle prestazioni
che Conte avrebbe promesso a Rossetto, e della conformità ai doveri d’ufficio dei
comportamenti tenuti dall’imputato. Questi, del resto, è stato arrestato in
flagranza immediatamente dopo aver ricevuto dal citato Rossetto la somma
contante di 20.000 euro, grazie alla segnalazione preventiva che era stata
effettuata, in favore della polizia giudiziaria, da un socio dello stesso Rossetto,
tale Nalotto. Di conseguenza, l’indebita ricezione di una somma da parte del
Conte non costituisce oggetto attuale della controversia.
2.1. Dalla motivazione del provvedimento impugnato, anche mediante il rinvio
per relationem alla decisione di primo grado, si apprende che il vice sindaco di
Villafranca era stato sostanzialmente delegato a seguire tutte le questioni
concernenti il posizionamento delle antenne per la trasmissione dei segnali
telefonici.
Nel 2004 il Comune aveva deciso di non rinnovare in favore della società
Vodafone il contratto per il mantenimento di una antenna nel campo sportivo
cittadino, e si trattava dunque di stabilire una diversa collocazione
dell’apparecchiatura, in luogo il più possibile distante dalle abitazioni esistenti.
Nel 2008 la scelta della società era caduta sul terreno di tale Beghetto, situato in

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ad opera dell’imprenditore immobiliare Adriano Rossetto, in vista del

zona agricola, e però posta a sud dell’abitato, cioè nella direzione di prevedibile
sviluppo urbanistico della cittadina. Il terreno in questione era contiguo a quelli
acquistati da Rossetto e dal suo socio, i quali temevano che la presenza
dell’antenna, con i connessi vincoli di inedificabilità, avrebbe potuto
compromettere lo sfruttamento edilizio dei suoli di loro interesse.
Alla fine, grazie alla intercessione di Rossetto presso il vice sindaco (narrata
prima da Nalotto, che aveva preso a collaborare con gli inquirenti, e
successivamente dallo stesso Rossetto), si era stabilito che la nuova antenna

in zona meno rilevante rispetto ai fondi del corruttore. Per effetto di tale
decisione, tra l’altro, Beghetto aveva subito un danno, data la riduzione del
canone locativo offerto da Vodafone, in connessione alla diminuita efficienza
della copertura telefonica rispetto al centro abitato. Egli aveva inutilmente
cercato di ottenere una maggiore prossimità: alla soluzione, secondo la sua
testimonianza, si era opposto proprio il vice sindaco. Anche i dirigenti della
Vodafone avevano trattato affinché il Comune accettasse l’originaria soluzione,
incontrandosi più volte con Conte, ed alla fine consentendo ad un arretramento
di circa 200 metri, a fronte della promessa che la pratica, a quel punto, sarebbe
stata rapidamente evasa.
Nel frattempo, Rossetto avrebbe trattato con Conte anche una prossima
variazione della destinazione urbanistica dei suoi terreni, ed a suo dire la
promessa del denaro al pubblico amministratore si era finalizzata
prevalentemente in questo senso.
2.2. I Giudici di merito hanno disatteso le prospettazioni difensive, fondate
sulle dichiarazioni rese dall’odierno ricorrente, secondo le quali, in sostanza, egli
aveva accettato una regalia, anche a titolo di finanziamento elettorale, senza
alcuna connessione con atti del suo ufficio. L’adozione del piano territoriale
sarebbe stata rimessa alla giunta da designare dopo le imminenti elezioni, e
comunque la propensione verso uno sviluppo urbanistico favorevole a Rossetto
sarebbe stata inevitabile, data la conformazione del territorio. Quanto alla
collocazione dell’antenna, si sarebbe trattato di un atto del tutto discrezionale,
adottato nell’interesse pubblico e senza particolari vantaggi o danni per alcuno.
Il Tribunale di Padova ha ritenuto incompatibili, con l’assunto d’una regalia del
tutto spontanea, una serie di profili del fatto: la rilevante entità della somma
promessa ed in parte versata; la difficoltà per Rossetto di reperirla; l’estrema
cautela da parte dello stesso Rossetto (che aveva nascosto al socio, finché
possibile, l’identità del suo interlocutore).
Tali elementi escluderebbero che il posizionamento dell’antenna sia stato
definito in piena ed «inevitabile» osservanza dell’interesse pubblico, e

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9,–

sarebbe stata posizionata diversamente, e cioè più lontano dal centro abitato ed

dimostrerebbero di contro l’esistenza di un accordo affinché la discrezionalità
amministrativa fosse esercitata al fine di favorire gli interessi privati del
corruttore, con danno per i diversi soggetti coinvolti: per il Beghetto, privato di
una parte del canone locativo originariamente concordato, e per la stessa
cittadina, cui sarebbe convenuta una collocazione all’estremo meridionale del
fondo appartenente allo stesso Beghetto.
Quanto alla promessa di orientare le future scelte urbanistiche in guisa da
consentire lo sfruttamento edilizio dei suoi di Rossetto, oggetto dell’accordo

uomo politico locale, la cui doverosa imparzialità sarebbe stata «comprata», con
conseguente integrazione del delitto contestato, pur nell’assenza, allo stato, di
un atto amministrativo conseguente.
2.3. Il giudizio di appello era stato promosso sulla scorta di quattro motivi,
primo tra i quali riferito all’asserita erroneità della qualificazione giuridica del
fatto, che avrebbe dovuto essere trattato alla stregua di una corruzione per atto
dell’ufficio. Allo scopo di dimostrare che vi era stata mera coincidenza tra
l’interesse pubblico perseguito da Conte ed il privato interesse del corruttore, la
Difesa aveva chiesto l’acquisizione di un verbale di deliberazione del Consiglio
comunale di Villafranca Padovana, di poco successivo all’arresto dell’odierno
ricorrente. Dal verbale – ampiamente trascritto nei motivi di appello risulterebbe che il sindaco della città e l’assessore all’urbanistica avevano difeso
l’operato di Conte, riferendo la responsabilità delle scelte all’intera
amministrazione comunale ed assumendone la piena corrispondenza all’interesse
pubblico. Ebbene, il verbale in questione avrebbe potuto e dovuto essere
acquisito, secondo l’appellante, a norma dell’art. 603 cod. proc. pen., anche
senza rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, e comunque quale nuova e
decisiva prova a favore dell’imputato.
Nello stesso senso, con memoria depositata nell’imminenza dell’udienza, la
difesa aveva chiesto l’acquisizione della «Carta di trasformabilità» approvata a
Villafranca nel 2009, e della successiva «Carta dei vincoli e della pianificazione
territoriale», al fine di dimostrare che le scelte urbanistiche erano state
effettuate, nel senso per altro auspicato da Rossetto, solo dalla giunta successiva
a quella del Conte, e che alla fine il posizionamento dell’antenna aveva finito col
giovare allo stesso Beghetto.
La Corte territoriale ha ritenuto le produzioni superflue ai fini della decisione.
Nel merito – dopo aver ricordato che la corruzione per atti discrezionali può
essere considerata impropria solo quando risulti che tali atti sono stato adottati
nell’esclusivo interesse pubblico, senza alcuna influenza dell’indebita retribuzione
– si è osservato che nella specie erano stati perseguiti due distinti e correlati
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to–

corruttivo sarebbe stato l’esercizio d’influenza d’un importante amministratore ed

interessi del Rossetto e del suo socio, con danno concomitante per il Beghetto. A
conferma, si assume che, altrimenti, non vi sarebbe stato alcun bisogno di un
donativo illecito.

3. Propone ricorso il Difensore di Conte, articolando in otto punti i propri motivi
di impugnazione, senza che ciò corrisponda alla proposizione di un egual numero
di autonome censure.
3.1. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica, a proposito

(vizio dedotto a norma dell’art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen.),
nella parte in cui rileva che, se il provvedimento sull’antenna fosse stato appieno
corrispondente all’interesse pubblico, non vi sarebbe stato bisogno di un
«donativo». Osserva il ricorrente che, qualora il «bisogno» di pagare fosse eletto
a prova dell’antidoverosità del comportamento del pubblico ufficiale, si darebbe
una sostanziale abrogazione della norma sulla corruzione impropria.
I Giudici di merito – si nota – non hanno potuto individuare una condotta
doverosa alternativa a quella tenuta dall’odierno ricorrente.
D’altra parte sarebbe erroneo l’assunto per il quale l’atto discrezionale
sarebbe conforme ai doveri d’ufficio solo in quanto soddisfi esclusivamente
l’interesse pubblico, poiché basterebbe la concordanza di un interesse privato,
che è perfettamente fisiologica, per orientare la qualificazione verso l’art. 319
cod. pen. Dovrebbe piuttosto parlarsi di «immutabilità» dell’atto alla luce delle
esigenze di soddisfazione del pubblico interesse: connotato la cui ricorrenza
sarebbe dimostrata dall’inesistenza di una più confacente decisione alternativa,
che non a caso, nella specie, il Giudice d’appello non avrebbe saputo indicare.
3.2. Il ricorrente deduce un vizio di motivazione e la violazione della legge
processuale, avuto particolare riguardo all’art. 603 cod. proc. pen., per la
decisione della Corte territoriale di non acquisire il citato verbale di deliberazione
del Consiglio comunale di Villafranca in data 8/04/2009: acquisizione che
avrebbe invece potuto e dovuto essere operata sia mediante rinnovazione del
dibattimento, sia mediante semplice ammissione della produzione documentale;
e la rinnovazione, trattandosi di prova nuova e decisiva, avrebbe dovuto essere
disposta in base ai parametri di legittimità e non manifesta irrilevanza di cui al
comma 2 dell’art. 603, e non secondo un criterio di assoluta necessità, seguito
invece dalla Corte territoriale.
3.3. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica, inoltre, nella
parte in cui conferisce rilievo, a fini di qualificazione dell’atto, alla produzione di
effetti sfavorevoli per un privato (nella specie, per Beghetto): effetti che
sarebbero invece del tutto fisiologici, quando necessari per l’assicurazione del

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della qualificazione del fatto ex art. 319 invece che secondo l’art. 318 cod. pen.

contrapposto interesse pubblico; interesse che, nella specie, esigeva
l’allontanamento dell’antenna dal centro abitato.
3.4. Il ragionamento della Corte veneziana, e la corrispondente motivazione,
sarebbero segnati dal travisamento di un aspetto decisivo del fatto, posto che vi
sono riferimenti ai vincoli di inedificabità che il corruttore avrebbe sofferto a
seguito della progettata collocazione dell’antenna, vincoli in realtà insussistenti.
3.5. Un ulteriore coacervo di doglianze attiene alla mancata acquisizione, ed
alla mancata considerazione nel percorso motivazionale del Giudice d’appello, dei
ex art. 121 cod. proc. pen.

nell’imminenza del giudizio di gravame. Quei documenti dimostrerebbero per un
verso l’estraneità di Conte alle scelte urbanistiche concretamente effettuate a
Villafranca, e per l’altro la corrispondenza di tali scelte alla prefigurazione
corrente all’epoca dei fatti, secondo la quale sarebbe stato inevitabile l’indirizzo
dello sviluppo edilizio verso le zone poste a meridione del centro abitato.
La sentenza impugnata, comunque, trascurerebbe del tutto l’argomento che
pure costituisce una delle due prospettazioni accusatorie, cioè l’apporto che il
ricorrente avrebbe potuto e voluto dare al mutamento di destinazione urbanistica
dei terreni di Rossetto.
3.6. Con un ultimo motivo si deduce la violazione dell’art. 65 cod. pen., e
comunque delle norme che regolano la determinazione della pena.
Il Giudice di prime cure aveva riconosciuto in favore del Conte l’attenuante
di cui al numero 6 dell’art. 62 cod. pen. Di conseguenza, fissata la pena per il
delitto di corruzione propria in tre anni e sei mesi di reclusione, l’aveva subito
diminuita fino a due anni e sei mesi in applicazione della circostanza indicata, per
poi ridurla di un terzo a norma dell’art. 442 cod. proc. pen.
Il Giudice di appello ha ritenuto che la pena andasse ridotta, «valorizzando
l’intervenuto risarcimento del danno», fissando una «pena base» di due anni di
reclusione, e riducendola fino ad un anno e quattro mesi in ragione del rito
abbreviato.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso di applicare la
doverosa diminuzione di pena connessa all’intervenuto risarcimento del danno,
già operata dal Giudice di prime cure.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, e va dunque rigettato. Da tale decisione consegue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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(9,

documenti allegati alla memoria depositata

2. Va premesso come la decisione impugnata, che a proposito della ricostruzione
del fatto e della relativa qualificazione ha confermato le deliberazioni del Giudice
di prime cure, possa e debba essere letta unitamente alla sentenza del
Tribunale, che contiene una piana ed argomentata illustrazione dei motivi a
sostegno del

decisum

(tra le molte, Sez. 6, Sentenza n. 28411/13 del

13/11/2012, rv. 256435).
In effetti, il provvedimento si apre con un esplicito ed integrale rinvio alla
motivazione della sentenza contro la quale era stato proposto l’appello, e d’altra

documentare come la Corte territoriale abbia preso in nuova considerazione le
doglianze essenziali dell’imputato, giungendo motivatamente alla determinazione
di non modificare la decisione di condanna per il delitto di cui all’art. 319 cod.
pen.
2.1. Ciò detto, il nucleo essenziale delle critiche portate al deliberato dei
Giudici di merito attiene alla pretesa conformità del comportamento di Conte ai
doveri del suo ufficio, o almeno alla mancanza di prove in senso contrario, con la
conseguenza che il fatto andrebbe qualificato a norma dell’art. 318 cod. pen.
Gli atti riferibili al Conte non avrebbero violato alcuna disposizione di legge e
sarebbero conformi all’interesse pubblico. Proprio tale interesse potrebbe ben
imporre, nei casi concreti, il sacrificio della posizione di alcuni privati, ed il
vantaggio per la posizione di altri, senza che ciò debba significare
necessariamente – come si dice abbiano sostenuto i Giudici di merito – la
contrarietà ai doveri d’ufficio dell’atto discrezionale. Quando un interesse privato
coincide con quello pubblico, pur a fronte della notizia di un pagamento indebito,
spetterebbe all’accusa indicare quale diversa soluzione avrebbe dovuto essere
adottata dal pubblico ufficiale: in mancanza, l’atto, per quanto retribuito,
sarebbe appunto conforme ai doveri dell’ufficio.
Mancherebbe proprio, nelle sentenze impugnate, l’indicazione del
comportamento doveroso alternativo.
2.2. La logica delle obiezioni difensive è infondata, ed in particolare è
infondata la pretesa secondo cui la corruzione cd. propria sussisterebbe solo
quando sia configurabile un comportamento doveroso alternativo. Se così fosse,
il reato andrebbe sostanzialmente escluso tutte le volte che venga in campo un
atto discrezionale, cioè in astratto compatibile, insieme ad altri, con i divieti o gli
obblighi direttamente imposti dalla legge o da altre fonti cogenti.
È vero invece il contrario, e cioè che la fattispecie incriminatrice de qua è
chiamata a sanzionare anche l’uso distorto della discrezionalità amministrativa,
cioè il procedimento condizionato non già da un percorso di attenta ed imparziale
comparazione tra gli interessi in gioco, ma dalla percezione di un indebito
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LQ

parte prosegue con rilievi che, nella pur scarna loro consistenza, valgono a

compenso affinché venga raggiunto un esito determinato. Tale esito può anche
essere compatibile con il sistema delle norme regolatrici, e può finanche
coincidere, ex post, con quello che sarebbe stato raggiunto in assenza del
pagamento corruttivo: ciò che rileva è la «vendita» della discrezionalità
accordata dalla legge, la previa rinuncia ad una piena e indipendente verifica
della soluzione finalizzata al migliore soddisfacimento dell’interesse pubblico
esistente nel caso di specie. Come talvolta si è osservato, l’atto contrario ai
doveri dell’ufficio consiste proprio nella rinuncia, dietro compenso, ad una

dalla illegittimità dell’atto secondo gli ulteriori parametri della relativa
valutazione (Sez. 6, Sentenza n. 12237 del 23/01/2004, rv. 228378; Sez. 6,
sentenza n. 26248 del 05/07/2006, rv. 234343). La norma penale sanziona la
«precostituzione di una scelta perché rispondente alle finalità del corruttore,
senza occuparsi della rispondenza agli scopi dell’Amministrazione» (Sez. 6,
Sentenza n. 24656 del 18/06/2010, rv. 248001)
È vero che non basta il dato obiettivo della retribuzione per qualificare
automaticamente l’atto discrezionale come contrario ai doveri dell’ufficio (Sez. 6,
Sentenza n. 10851 del 08/11/1996, rv. 206225). Si perverrebbe altrimenti, ed in
effetti, ad una sostanziale abrogazione dell’art. 318 cod., pen., relativamente agli
atti amministrativi di natura discrezionale.
Tuttavia la deformazione del procedimento decisionale deve ragionevolmente
essere esclusa, tanto che la giurisprudenza finisce in sostanza per limitare
l’applicazione della fattispecie meno grave ai casi in cui la misura adottata si
presenta idonea al miglior soddisfacimento dell’interesse pubblico in misura tanto
palese da lasciar considerare la misura stessa come l’unico atto possibile, di
natura sostanzialmente vincolata (sentenza n. 10851/1996, citata; Sez. 6,
Sentenza n. 3388 del 04/12/2002, rv. 224056). In altre parole, tra più soluzioni
possibili, quella adottata in quanto idonea a favorire gli interessi del corruttore
risulta violare il dovere di imparzialità del pubblico ufficiale, dato che l’atto trova
il suo fondamento prevalente, appunto, nell’interesse privato (Sez. 6, Sentenza
n. 11462 del 12/06/1997, rv. 209699; Sez. 6, Sentenza n. 1319 del
28/11/1997, rv. 210442; Sez. 6, Sentenza n. 3529 del 12/11/1998, rv. 212566;
Sez. 6, Sentenza n. 3945 del 15/02/1999, rv. 213885; Sez. 6, Sentenza n.
30762 del 14/05/2009, rv. 244530). Solo quando l’atto risulti sicuramente
identico a quello che sarebbe stato comunque adottato a tutela del pubblico
interesse, con il medesimo contenuto e con le medesime modalità, il pagamento
corruttivo potrebbe considerarsi ininfluente sulla sua conformità ai doveri
dell’ufficio, e dunque riconducibile alla fattispecie della cd. corruzione impropria
(Sez. 6, Sentenza n. 36083 del 09/07/2009, rv. 244258).
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(Q/-

discrezionalità che invece dovrebbe essere appieno dispiegata, a prescindere

2.3. Venendo allora al caso di specie, si vede facilmente come le stesse
allegazioni difensive – che prospettano un’asserita equivalenza tra la collocazione
alla fine stabilita per il ripetitore ed altre possibili opzioni – documentino la
correttezza della qualificazione giuridica conferita al fatto.
Non si trattava, per i Giudici del merito, di indicare l’atto doveroso alternativo,
ma di verificare (come hanno fatto mediante prove storiche e logiche,
diffusamente indicate e correttamente valutate) che nel caso di specie la
discrezionalità conferita al Conte era stata «rinunciata», cioè utilizzata per

al pagamento di una somma piuttosto rilevante.
La Difesa del ricorrente, comprensibilmente sfruttando una sintesi infelice del
Giudice di appello (altrimenti «non ci sarebbe stato alcun bisogno di un
“donativo” illecito), ha obiettato che la rinuncia alla discrezionalità non può
essere provata sul solo presupposto del pagamento di un compenso non dovuto
da parte del privato beneficiato da un provvedimento amministrativo.
L’affermazione è corretta in astratto. Ma nel caso concreto, anche attraverso il
coordinamento con la corretta motivazione del Giudice di prime cure, si
comprende il senso del rilievo. Il versamento di una somma molto consistente
(ventimila euro per questo solo titolo, secondo le risultanze) è un elemento
fortemente sintomatico della necessità di incidere sulla formazione del
provvedimento amministrativo: milita in altre parole, sul piano del fatto, in senso
contrario all’ipotesi che la «regalia» non abbia esercitato la minima influenza
sull’attività di comparazione tra interessi configgenti cui l’ufficiale pubblico è
chiamato per gli atti ad elevata discrezionalità. In questo senso ben si è spiegato
il Giudice di prime cure, citando anche pertinente giurisprudenza di legittimità
(Sez. 6, Sentenza n. 3945 del 15/02/1999, rv. 213886), ed in questo senso può
essere letta l’asserzione della Corte territoriale.
D’altra parte si trascura completamente, nella prospettiva defensionale, che la
richiesta del pagamento al fine di orientare la collocazione del ripetitore è
oggetto soprattutto di prova storica (dichiarazioni di Naletto, dei fratelli Rossetto,
ecc.), sulla base della quale è stata operata la valutazione in fatto che ha
condotto alla condanna, come tale non sindacabile nella sede presente. Il
denunciato vizio di motivazione, nella prospettiva fin qui trattata, non sussiste.

3. Alla luce di una corretta definizione del thema decidendum si rivela infondata
anche la doglianza concernente la mancata ammissione, in sede di rinnovazione
dell’istruttoria o quale produzione documentale, del verbale della seduta del
consiglio comunale di Villafranca Veneta tenuta 1’8/04/2009 (supra, § 3.2. del
Ritenuto in fatto).

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(1,

pervenire ad un risultato che conveniva a Nalotto e Rossetto, al punto da indurli

Che una parte dei consiglieri comunali avesse ritenuto acconcia una
manifestazione di solidarietà politica nei confronti di Conte, e che comunque vi
fosse stata una sorta di assunzione di responsabilità collettiva per l’esito della
procedura amministrativa in discussione, era fatto manifestamente ininfluente ai
fini del decidere. Ciò non tanto (o non solo) per l’evidente finalismo
dell’iniziativa, quanto, piuttosto, in ragione di quanto sopra si è detto
sull’essenza del fatto corruttivo. È ben possibile che altri amministratori siano
giunti in perfetta buona fede a condividere le proposte accreditate dall’assessore

esclude che la valutazione discrezionale di Conte – non a caso, il dominus della
procedura – fosse stata «comprata» dai corruttori. Si è già visto, d’altra parte,
che la conformità dell’atto discrezionale ad un esito legalmente accettabile non
esclude affatto l’integrazione della fattispecie corruttiva.
È vero allora che il verbale de quo è stato formato successivamente alla
sentenza di primo grado, e che dunque poteva in astratto considerarsi «prova
nuova», da ammettersi secondo i criteri dettati al comma 2 dell’art. 603 cod.
proc. pen., mentre nella sentenza impugnata si è scritto come l’integrazione non
fosse «assolutamente necessaria» ai fini del decidere, in assonanza con il
disposto del comma 3 della norma citata, che regola i criteri di attivazione del
potere officioso di integrazione della prova. Tuttavia la Corte territoriale era
perfettamente consapevole, come dimostrano le parole d’esordio della
motivazione spesa in proposito, che si trattava di provvedere su una istanza
della parte, ed ha sinteticamente esposto il nucleo essenziale della propria
decisione: il fatto, cioè, che la regiudicanda potesse essere definita senza
integrazioni, essendo le prove già acquisite «sufficienti per addivenire ad una
decisione». Può dunque escludersi che il ricorso all’espressione «assolutamente
necessario» sia espressivo dell’adozione di un criterio non pertinente alla
domanda difensiva respinta, e ritenersi che, pur con sintesi inopportuna, sia
stato semplicemente espresso un (più che fondato) giudizio di superfluità della
produzione difensiva. Un criterio compatibile, dunque, con la norma
fondamentale in punto di diritto alla prova, ed in particolare di prova
manifestamente irrilevante (art. 190, comma 1, cod. proc. pen.).
In ogni caso, escluso il ricorso ad un errato paramento normativo, verificata la
congruenza della motivazione sinteticamente espressa, la valutazione di
superfluità deve restare rimessa, in via esclusiva, al giudice di merito (Sez. U,
Sentenza n. 15208 del 25/02/2010. Mills, rv. 246585).

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(g,,

per la soluzione del problema del ripetitore Vodafone, ma ciò naturalmente non

4. Sempre alla luce di una corretta definizione della regiudicanda, alcuni dei
rilievi sviluppati nel ricorso – si tratti o non di puntuali censure in punto di
legittimità – risultano privi di decisività od anche solo di rilevanza.
4.1. Il Giudice di merito, quello in particolare di primo grado, non ha conferito
affatto una importanza decisiva al rilievo che la decisione di Conte aveva
comportato un pregiudizio economico per il Beghetto. Può certamente
concordarsi sul fatto che spesso il perseguimento dell’interesse pubblico
comporta che vadano deluse aspettative dei privati, che non corrispondano a

fosse stato non dimostra necessariamente che il procedimento avesse garantito
l’interesse pubblico. Il Tribunale, dal canto proprio, ha inteso porre in evidenza
un fattore che avrebbe potuto dissuadere dall’attacco all’originaria intesa tra la
Vodafone e il proprietario del fondo, e che invece non l’aveva fatto, con il
presumibile scopo di porre in ulteriore evidenza la forza del contrapposto
interesse che muoveva Conte. Un rilievo non decisivo, forse, ma innestato su un
compendio di prove storiche e logiche già più volte richiamato, e comunque ben
lontano dall’implicare un vizio logico od una carenza di motivazione della
decisione di condanna.
4.2. Attengono chiaramente al fatto, per quanto presentate nella prospettiva
del travisamento della prova, le osservazioni difensive a proposito
dell’inesistenza dei vincoli urbanistici di cui si paventava l’insorgenza per effetto
della nuova collocazione dell’antenna.
L’argomento è trattato in entrambe le sentenze di merito, nei limiti consentiti
dalla forma abbreviata del rito (di cui naturalmente l’imputato è il principale
artefice) e dall’effettiva rilevanza del tema.
A parte le implicazioni desumibili dall’intervenuto versamento della
prestazione corruttiva, le prove dichiarative richiamate nelle decisioni
evidenziano indefettibilmente che, di fatto, la preoccupazione di Naletto e
Rossetti aveva ad oggetto proprio una futura influenza dell’installazione sulle
concrete possibilità di edificazione concernenti i suoli di loro proprietà. Si ha
notizia sufficientemente precisa delle politiche in materia seguite dal Comune di
Villafranca, che del resto aveva avviato l’intera procedura con la propria
decisione di rimuovere l’antenna già esistente dal centro abitato. Senza la
preoccupazione dei due soci – come detto, conclamata in atti – l’intera vicenda
sarebbe priva di senso.
In queste condizioni la mancata identificazione di norme impositive dei vincoli,
o dell’aspettativa di resistenze per il rilascio delle autorizzazioni, o anche soltanto
della menomata commerciabilità di immobili molto vicini al ripetitore, non
costituisce un profilo rilevante di carenza motivazionale. Il preteso travisamento

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9,

posizioni soggettive qualificate. Il fatto però che nella specie quel pregiudizio vi

della prova, in ogni caso, non avrebbe avuto alcuna influenza decisiva sulla
valutazione dell’accusa, dopo la compiuta dimostrazione che Naletto e Rossetti
avevano inteso (il primo simulatamente) versare ben ventimila euro proprio al
fine di allontanare il ripetitore dai propri appezzamenti.
4.3. Sempre pertinenti al fatto, per quanto presentate in forma di doglianza
sul procedimento di acquisizione della prova o di censura in punto di
motivazione, sono le osservazioni difensive sulla presunta ininfluenza di Conte
circa le scelte urbanistiche del Comune di Villafranca o, comunque, sull’asserita

Dovrebbe trattarsi di argomenti di prova logica contraria all’assunto che il
ricorrente avesse accettato la promessa di ulteriori ventimila euro al fine di
condizionare la politica urbanistica del Comune in senso favorevole ai più volte
citati Naletto e Rossetti.
Innanzitutto, e però, l’accusa concerne appunto l’accettazione di una
promessa corruttiva, per atti da compiersi in futuro, dei quali non è necessaria la
specifica individuazione, essendosi trattato di una ordinaria «vendita» della
propria funzione.
Nel momento in cui l’accordo corruttivo era stato raggiunto, Conte era vice
sindaco e assessore nel Comune di Villafranca, ed aveva tutta l’intenzione di
continuare la propria carriera, come dimostra anche una delle giustificazioni da
lui proposte per giustificare la percezione della somma poi sequestrata (un
complotto, appunto, per rovinargli la carriera). Le prove storiche, costituite dalle
dichiarazioni dei fratelli Rossetti e di Naletto (sostenute da registrazioni e
intercettazioni), evidenziano direttamente una situazione del tutto credibile, e
tale ritenuta dai Giudici del merito, nella quale i proprietari di terreni che
necessitavano della benevolenza dei politici locali per un pieno sfruttamento
commerciale avevano ritenuto opportuno assicurarsi l’appoggio di un soggetto
nella posizione di Conte. Ciò che non è illogico né scarsamente credibile.
Del resto – ed anche questo si legge espressamente nei provvedimenti
impugnati – la questione dell’antenna e quella del mutamento di destinazione dei
suoli circostanti erano indissolubilmente legate, poiché non avrebbe avuto senso
«lottare» per la collocazione dell’impianto se non in vista, appunto, della futura
edificazione.
La circostanza allora che la parte politica cui faceva riferimento Conte abbia
perso le elezioni comunali qualche anno dopo i fatti, o la constatazione che la
programmazione urbanistica abbia finito col favorire i terreni de quibus anche in
assenza di comprovate intromissioni del ricorrente, si risolvono in argomenti di
prova inefficaci, non decisivi al punto da imporne una confutazione analitica, e
comunque implicitamente trattati nelle sentenze di merito, ove il contenuto
12

«ineluttabilità» di quelle scelte.

dell’accordo corruttivo è stato puntualmente ricostruito con riferimento al
momento ed alla situazione nei quali l’accordo stesso era intervenuto.

5. È infondato anche l’ultimo dei motivi di ricorso.
Il Giudice di prime cure ha riconosciuto in favore del Conte l’attenuante di cui
all’art. 62, numero 6, cod. pen., collegandovi la riduzione di un anno della pena
base fissate per il delitto in contestazione: da tre anni e sei mesi a due anni e sei
mesi di reclusione. Su tale ultimo valore ha poi operato la diminuzione connessa

La Corte territoriale ha stabilito che la pena andava ridotta, fornendo quale
unica giustificazione del proprio decidere l’opportunità di «valorizzare
l’intervenuto risarcimento del danno». È vero allora che il provvedimento
impugnato prosegue indicando una «pena base» di due anni, e praticando sulla
medesima la riduzione prevista dall’art. 442 cod. proc. pen. Ma ciò non implica,
come appena si è visto, che sia stata omessa la riduzione connessa
all’attenuante del danno risarcito. Si tratta piuttosto dell’ennesima scelta di
«sintesi», che ha condotto ad indicare direttamente il valore di pena risultante
dalla diminuzione per effetto della fattispecie circostanziale. Non si
giustificherebbe, altrimenti, la già indicata «valorizzazione» del risarcimento, che
evidenzia come la Corte territoriale non abbia affatto pretermesso la circostanza
ed abbia inteso piuttosto pervenire, operando sul valore di partenza e sulla
percentuale di diminuzione (non completamente sfruttata dal primo Giudice), ad
un esito finale di maggior contenimento della risposta punitiva.

P.Q.M.

Rigetta

il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali.
Così deciso il 04/02/2014.

al rito.

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