Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2335 del 15/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2335 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Lentini Rosario, nato il giorno 19 ottobre
1960, avverso l’ordinanza 29 agosto 2013 del Tribunale di Reggio Calabria.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e le note difensive depositate
il 13 gennaio u.s..
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale,
Luigi Riello, che ha concluso per il rigetto del ricorso, nonché il difensore del
ricorrente, avv. Belcastro, in sostituzione dell’avv. Speziale, che ha chiesto
l’accoglimento dell’impugnazione.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Lentini Rosario ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza
29 agosto 2013 del Tribunale di Reggio Calabria che ha rigettato l’appello
proposto contro l’ordinanza del G.I.P. 15 aprile 2013 di rigetto della richiesta di

Data Udienza: 15/01/2014

2

sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli
arresti domiciliari.
2. Con un unico motivo di impugnazione si prospetta vizio di motivazione e
violazione di legge con riferimento agli artt. 125, 274, 275, 275 bis cod. proc.
pen. in relazione agli artt, 56 cod. pen. 73 e 80 d.p.r. 309/90.

a)

l’impersonalità del provvedimento di rigetto t assunto sulla base di

asserzioni apodittiche quale l’inserimento in un circuito delinquenziale di alto
livello, senza considerare che il Lentini è stato prosciolto dall’addebito associativo
e della illogicità del diniego di una più attenuata misura, giustificato con
l’asserzione che la chiesta misura «è sostanzialmente rimessa alla spontanea
volontà del soggetto»;
b) la carenza di motivazione sulla adeguatezza e proporzionalità della
misura avuto riguardo alla decisione della Corte costituzionale 57/2013.
3. le doglianze, nei termini sopra prospettati, non superano il vaglio
dell’ammissibilità.
Invero entrambe le decisioni cautelari -del G.I.P. e del Tribunale del
riesame- hanno opportunamente considerato l’insostenibilità dell’addebito
associativo precisando e giustificando tuttavia la persistenza della misura della
custodia cautelare in carcere, attesa l’ «intermediazione, funzionale al capo Q» ed
apprezzata la gravità della condotta, «connotata da contatti ed influenza diretta
con la locale criminalità organizzata».
In tale ottica è stata pure spiegata l’impossibilità di una attenuazione della
misura, in assenza dell’acquisizione di elementi specifici dai quali desumere la
ragionevole conclusione che le esigenze cautelari fossero suscettibili di essere
soddisfatte con altre misure (cass. pen. sez. 1, 29530/2013 Rv. 256634), in
particolare quella invocata, degli arresti domiciliari, i quali, notoriamente, esigono
un profilo di rispetto delle condizioni tipiche della misura, che, per la sua
esecuzione e normale decorso, è legata -come correttamente rilevato in modo
non-illogico nell’ordinanza impugnata- ad un coefficiente di adesione non
necessario nella misura carceraria.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

In particolare si lamenta:

3

Alla decisa inammissibilità, per palese infondatezza, consegue, ex art. 616
C.P.P., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una
somma, in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in C.
1000,00 (mille). Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94.1 ter
disp. att. C.P.P..

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94.1 ter disp. att. C.P.P..

P.Q.M.

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