Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23349 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 23349 Anno 2014
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: PAOLONI GIACOMO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1. CADILE Luciano, nato a Roma il 03/02/1953
2. RINALDI Giovanni, nato a Roma il 27/07/1960

avverso la sentenza emessa il 07/11/2012 dalla Corte di Appello di Roma;
letti i ricorsi e la sentenza impugnata ed esaminati gli atti;
udita in pubblica udienza la relazione del consigliere dott. Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G. dott. Eduardo V.
Scardaccione, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso del Rinaldi e il rigetto del
ricorso del Cadile;
udito il difensore di Luciano Cadile, avv. Pasquale Ciampa, che ha insistito per
l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione

Data Udienza: 17/12/2013

1. All’esito di giudizio abbreviato non subordinato ad integrazioni probatorie,
richiesto dagli imputati dopo l’emissione di decreto dispositivo del giudizio immediato
nei loro confronti (art. 458 c.p.p.), il g.i.p. del Tribunale di Roma ha dichiarato Giovanni
Rinaldi e Luciano Cadile colpevoli di due episodi di illecita detenzione per fini di
vendita di ingenti quantità di sostanza stupefacente del tipo cocaina, avvenuti il
29.1.2010 e il 17.2.2010 e inseriti in articolate indagini su attività di narcotraffico
coinvolgenti numerosi soggetti dell’area territoriale di Tivoli e di Roma, emerse anche da
una nutrita serie di captazioni telefoniche e ambientali, estese alle utenze mobili dei due
imputati e ai veicoli in loro uso e segnatamente all’autovettura Renault del Rinaldi,
sottoposta anche a rilevamento satellitare (sistema GPS).
L’episodio del 17.2.2010, culminato nell’arresto in flagranza dei due imputati, li
vede incontrarsi all’interno di un garage in uso del Rinaldi, che raggiungono con le /

2. Adìta dalle impugnazioni dei due imputati, la Corte di Appello di Roma con la
sentenza richiamata in epigrafe, condivisane l’analisi ricostruttiva dei fatti, ha
confermato la decisione di primo grado, confermando la concorrente responsabilità dei
due imputati. Pur giudicando tempestive le eccezioni in tema di utilizzabilità delle
captazioni foniche sollevate dalla difesa di Cadile (svolte nella prima udienza utile,
essendosi proceduto a seguito di decreto di giudizio immediato ex art. 458 c.p.p.), la
Corte di Appello le ha valutate prive di fondamento anche sulla scorta della
giurisprudenza di legittimità richiamata in sentenza.
Quanto al merito dei fatti reato, i giudici del gravame hanno ritenuto che le due
condotte di detenzione di droga contestate con i due separati reati (episodi 29.1.2010 e
17.2.2010) costituiscono “porzioni di un’unica condotta criminosa” concernente un comune
originario acquisto di una partita di circa dieci chili di cocaina, “di cui i quantitativi
rispettivamente considerati ai capi A) e B) rappresentano il residuo”. Per l’effetto, ritenuta
l’unicità del reato commesso dai prevenuti, la Corte -in parziale riforma della prima
sentenza- ha mitigato l’entità delle pene inflitte ai prevenuti, che ha ridotto per entrambi
a cinque anni di reclusione ed euro 30.000 di multa ciascuno.
3. La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dai difensori degli
imputati, che hanno dedotto violazioni di legge, insufficienza e illogicità della
motivazione sotto vari profili. Censure di seguito riassunte.

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rispettive autovetture e al cui interno si trattengono per circa due ore (dalla microscopia
installata sul veicolo di Rinaldi gli operanti odono rumori metallici provenienti dal
locale). Cadile si allontana per primo dal garage a bordo della sua vettura; Rinaldi,
gettato un sacco della spazzatura nel vicino cassonetto, rientra e riesce con la sua auto. I
due sono fermati dalla p.g. A bordo dell’auto di Rinaldi è rinvenuto un involucro con 32
grammi di cocaina. All’esito di controllo nel garage sono rinvenuti, occultati nel condotto
di areazione del locale, celati da una griglia metallica, otto involucri, quattro buste di
plastica e una bilancia di precisione. Involucri e buste contengono complessivi kg. 6,438
netti di cocaina cloridrato con principio attivo medio tra 1’82% e il 94%, idonei alla
formazione di oltre 37.000 singole dosi droganti (la cocaina trovata sull’auto di Rinaldi,
dotata di stessa percentuale di purezza, è idonea a formare 133 singole dosi droganti).
L’episodio del 29.1.2010, con cui si contesta ai prevenuti l’illecita detenzione di
oltre due chili di cocaina trova fonte storica in più conversazioni intercettate tra i due
imputati (in particolare il 14.1.2010 e il 29.1.2010), evidenzianti come i due -ad avviso del
g.u.p.- “gestiscano in comune lo spaccio di stupefacente”, poiché discutono dei prezzi della
sostanza e accennano (14.1.2010) ad un pregresso acquisto di dieci chili di cocaina pagato
20.000 euro e segnatamente il 29.1.2010 fanno calcoli sulla quantità e divisione della
sostanza ancora -a quella data- in loro disponibilità, pari a due chili e mezzo di cocaina.
Considerato priva di peso la versione del Rinaldi, assuntosi la paternità esclusiva
della detenzione di tutta la droga caduta in sequestro (smentito da captazioni anche
successive all’arresto dei due prevenuti) e respinte per intempestività (per la specificità
del giudizio abbreviato) le eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni disposte nel
procedimento originario da cui sono state separate le posizioni del Cadile e del Rinaldi, il
g.u.p. (concesse ad entrambi le attenuanti generiche stimate equivalenti all’aggravante ex
art. 80 co. 2 L.S. e per Cadile anche alla recidiva) ha condannato alle pene: Cadile di otto
anni di reclusione; Rinaldi di sei anni e otto mesi di reclusione (oltre a rispettive multe).

3.1. Ricorso di Luciano Cadile.

irritualità delle operazioni di intercettazione telefonica e ambientale.
I giudici di appello, non approfondendo i rilievi esposti nella memoria difensiva
depositata fin dal giudizio di primo grado (memoria sintetizzata nel corpo del motivo di
ricorso), sono giunti a conclusioni errate o non condivisibili sulla legittimità dei decreti
del g.i.p. autorizzativi e/ o di proroga delle captazioni e sui decreti del p.m. dispositivi di
intercettazioni urgenti, facendo riferimento alla regolarità di motivazioni rinvianti per
relationem alle richieste del p.m. o alle informative di p.g. Senonché nei vari casi di specie,
attinenti alle intercettazioni coinvolgenti il ricorrente e il coimputato, tale genere di
motivazione dei provvedimenti cela il vuoto descrittivo degli elementi normativi
giustificanti il ricorso al mezzo di prova, trattandosi di motivazioni soltanto apparenti.
Nessun dato specifico è indicato in relazione ad indagini riguardanti la particolare
posizione del Rinaldi e il decreto 27.11.2009 che ha disposto l’intercettazione ambientale
a bordo della sua vettura Renault reca una indicazione tautologica della urgenza.
Parimenti il successivo decreto di convalida del g.i.p. non precisa l’indispensabilità delle
operazioni captative. Analoghe critiche vanno mosse ai decreti successivi e in particolare
al decreto di urgenza del p.m. del 13.2.2010 e al connesso decreto di convalida del g.i.p.,
nel primo provvedimento (p.m.) facendosi menzione dalla semplice utilità delle indagini
foniche (e non della loro indispensabilità).
Per altro agli atti del processo contro Cadile (e Rinaldi) non sono presenti le
informative di p.g. che dovrebbero supportare i provvedimenti giudiziari. Inutilmente la
difesa ne ha chiesto copia al p.m. del Tribunale di Tivoli, titolare del separato
procedimento cui attengono le informative, ricevendo copia dei soli decreti autorizzativi
(di p.m. e g.i.p.), trattandosi di atti coperti da segreto istruttorio per essere ancora in
corso le indagini. Situazione tempestivamente comunicata alla Corte di Appello che
incongruamente fa carico alla difesa di non aver prodotto le informative in questione.
3.1.2. Erronea applicazione degli artt. 110 c.p. e 73 L.S. e manifesta illogicità della

motivazione con riferimento al ritenuto concorso criminoso del Cadile.
La Corte distrettuale non ha risposto ai motivi di appello sul merito dell’accusa di
concorso nella detenzione della sostanza stupefacente, di cui il coimputato Rinaldi si è
assunto l’esclusiva paternità (asserita custodia per conto di altre persone), appagandosi
di confermare le deduzioni elaborate dalla sentenza di primo grado e in sostanza
reputando pregiudizialmente scontata la prova del concorso criminoso del ricorrente.
Ignorano, però, i giudici di appello (e prima il g.u.p.) che -come emerge da un
dialogo tra i due imputati registrato il giorno dell’arresto (17.2.2010)- il Cadile avrebbe
dovuto incontrare il Rinaldi in luogo diverso dal locale/ garage di via Morandi, ove è
stata trovata la droga, e solo in seguito si è mostrato disposto ad abbreviare il tragitto
dell’amico, offrendosi di incontrarlo altrove. Il dato, pur non dirimente, è indicativo della
casualità del detto luogo d’incontro tra i due e avvalora la tesi difensiva della mera
eventuale connivenza non punibile di Cadile rispetto all’attività criminosa di Rinaldi.
Tanto più ove si osservi che il garage in cui era nascosta la droga era in disponibilità del
solo Rinaldi e che non si ha notizia di altri accessi in quel luogo del Cadile.
Né può sottacersi che, dopo l’interrogatorio di garanzia degli indagati,
“opportunamente tenuti separati fin dall’arresto per evitare possibili versioni concordate”, il
g.i.p. ha scarcerato il Cadile per ritenuta inesistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

3

3.1.1. Violazione degli artt. 191, 267, 270, 271 c.p.p. e nullità della sentenza per

3.1.3. Erronea applicazione dell’art. 80 co. 2 L.S.

E’ vero che la Corte di Appello, nel confermare la configurabilità nei fatti della
contestata aggravante della quantità ingente della droga oggetto di reato, si è richiamata
alla recente decisione delle Sezioni Unite della S.C., che ha statuito la ravvisabilità
dell’aggravante allorché sia superato di oltre 2.000 volte il quantitativo massimo
detenibile dello stupefacente ai sensi delle tabelle di riferimento menzionate dall’art. 73
co. 1 bis L.S. (S.U., 24.5.2012 n. 36258, P.G. e Biondi, rv. 253150). Nondimeno più
congruamente altra precedente decisione di legittimità (Sez. 6, 2.3.2010 n. 20120,
Mtumwa, rv. 247375) aveva escluso l’aggravante per quantitativi di droghe c.d. pesanti
non superiori ai due chili, ritenendola in concreto non sussistente in presenza di un
compendio di droga idoneo a formare circa 33.000 dosi di eroina. La consulenza chimica
disposta dal p.m. nel caso in esame ha indicato in una quantità poco superiore il numero
di dosi ricavabili dalla sostanza sequestrata il 17.2.2010 (circa 37.000 dosi). Il vero è che il
testo della disposizione sull’aggravante (art. 80 co. 2 L.S.) non legittima alcuna
predeterminazione di quantitativi o valori “soglia”, oltre i quali possa ritenersi
configurabile l’aggravante. L’unico criterio valido sembra rimanere quello della
oggettiva eccezionalità” del quantitativo di sostanza sotto il profilo ponderale. Dato che
non sembra ricorrere nel caso di specie.
//

3.2. Ricorso di Giovanni Rinaldi.

E’ proposta un’unica censura per asserito difetto di motivazione in ordine al
mancato accoglimento delle “specifiche doglianze mosse con i motivi di appello alla decisione
del primo giudice”. Il solo riferimento alle modalità del fatto reato, senza soffermarsi sulle
4

I giudici dei due gradi di merito hanno conferito decisivo peso all’evenienza per
cui Cadile si è trattenuto circa un paio di ore con la sua auto nel garage del Rinaldi (con
cui deve ritenersi essere stato in contatto solo per l’acquisto di poca droga per suo
personale uso), mentre vi si svolgeva una laboriosa operazione di nascondimento della
droga, desunta dai rumori metallici percepiti dagli operanti grazie alla captazione
ambientale sull’auto di Rinaldi. Captazione da cui, tuttavia, non vengono in risalto
dialoghi o dichiarazioni di Cadile indicativi di una sua eventuale condotta collaborativa
nel prelevare, suddividere e riporre nel nascondiglio la droga.
Analoghe considerazioni censorie vanno formulate per la parte o segmento di
condotta criminosa (episodio 29.1.2010 oggetto di originaria autonoma imputazione)
precedente quella del giorno dell’arresto. Se le conversazioni possono fornire affidabile
indizio della identità dei due dialoganti, altrettanto non può dirsi per le captazioni
raccolte dalla p.g. in un contesto “ambientale”, cioè a bordo dell’autovettura di Rinaldi.
Incongruamente la Corte di Appello non ha aderito alla richiesta di parziale
rinnovazione istruttoria, omettendo di assumere una prova decisiva ex art. 603 c.p.p., per
disporre perizia fonica ai fini della corretta identificazione della voce del Cadile tra
quelle dei diversi dialoganti. Indagine tecnica necessaria soprattutto quando si osservi
che a bordo della sua auto Rinaldi parla con un gran numero di altri personaggi
(indagati o non) pure identificati dalla p.g. e che specialmente nei dialoghi fondanti la
originaria accusa sub B) (dialoghi del 14.1.2010 e 29.1.2010) la p.g. dapprima identifica
Cadile con tale “Renato” e poi con tale “Luciano”, sebbene tra i dialoganti (uno dei quali
dovrebbe essere Cadile) non ricorrano indicazioni nominative. Né, d’altra parte, il
successivo arresto del 17.2.2010 può costituire riscontro per l’individuazione degli
interlocutori di un dialogo avvenuto in un veicolo ben venti giorni prima.

4. Il ricorso di Giovanni Rinaldi è inammissibile.
La censura sollevata nell’interesse dell’imputato è affetta da totale genericità, non
indicandosi alcuna concreta ragione della supposta mancante o insufficiente motivazione
dell’impugnata sentenza di appello.
I motivi di gravame proposti contro la sentenza del primo giudice, a loro volta -va
detto- scanditi da genericità, inerivano al solo trattamento sanzionatorio, ipotizzando
l’unicità della condotta criminosa del prevenuto (con esclusione, quindi, della
continuazione criminosa) e l’insussistenza dell’aggravante della quantità ingente di
droga (art. 80 co. 2 L.S.) e comunque invocando una riduzione della pena anche
mediante un bilanciamento di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche. A tutte
tali censure la Corte di Appello capitolina ha fornito puntuali risposte (il motivo
concernente l’aggravante ex art. 80 co. 2 L.S. è comune al coimputato Cadile), che in
definitiva hanno accolto (salva l’audace tesi dell’insussistenza dell’aggravante della
ingente quantità di droga) le prospettazioni dell’imputato. Sia configurando l’unicità del
fatto criminoso (fatti costituenti sequenze di un unitario contegno criminoso); sia
pervenendo ad una significativa riduzione della pena inflitta dalla prima sentenza di
merito, pur senza giudizio di prevalenza delle attenuanti innominate per difetto -come
rilevato dai giudici di appello- di dati cui ancorare, stante l’oggettiva gravità del reato,
una simile “valutazione premiale”.
5. Il ricorso di Luciano Cadile merita accoglimento limitatamente al secondo
motivo di censura, concernente la motivazione sul ruolo di concorrente nel reato
attribuito all’imputato, che richiede un necessario approfondimento valutativo a cura del
giudice di merito in grado di appello, cui vanno a tal fine rinviati gli atti per un nuovo
giudizio sulla posizione del Cadile.
5.1. Subito affrontando il motivo del ricorso di Cadile relativo all’aggravante della

quantità ingente della cocaina oggetto del reato contestato, trattandosi -come detto- di
censura comune anche al Rinaldi, non può che rilevarsi l’infondatezza della doglianza.
Il ricorrente non precisa i motivi della pretesa inaccettabilità della selezione di
valori-soglia definitori, per fini di omologia giurisprudenziale volti a prevenire
irrazionali disparità di giudizio, della nozione di ingente quantità di droga prevista
dall’art. 80 co. 2 L.S. La stessa decisione di questa Sezione evocata nel ricorso, precedente
la pronuncia delle Sezioni Unite sul tema, era -del resto- in linea con tale ottica valutativa
in ragione degli insoddisfacenti anteriori canoni di riconoscimento individuati dalla
giurisprudenza di legittimità. Ottica che, non a caso, è stata fatta propria -sia pur
evocando diversi coefficienti di calcolo ponderale- dalla decisione delle Sezioni Unite n.
36258 del 2012.
Ciò ovviamente non impedisce di considerare che, quando la quantità di principio
attivo della sostanza stupefacente superi in esigua misura il valore-limite individuato
dalle Sezioni Unite, si imponga una più analitica valutazione anche degli altri parametri
suggeriti dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, 19.6.2013 n. 28828, Maresca, non
mass.). Questione che, in vero, neppure sfiora la vicenda oggetto di ricorso, sol che si
osservi che nel caso di specie si è in presenza di oltre cinque chili e mezzo di cocaina
pura (secondo la consulenza del p.m. riportata dalla sentenza di primo grado), senza
5

circostanze di cui all’art. 133 c.p.p., non risponde alle esigenze di valida motivazione
della sentenza impugnata.

5.2. Le censure in rito rinnovate con il ricorso del Cadile sulla inutilizzabilità
probatoria per ragioni “patologiche” delle intercettazioni telefoniche e ambientali
integranti significative fonti accusatorie a carico di entrambi gli imputati sono destituite
di pregio. Il ricorso rinnova rilievi critici che sono stati diffusamente e correttamente
vagliati, anche con il conforto della giurisprudenza di legittimità, dalla Corte di Appello
di Roma, che ha escluso il delinearsi di specifici e concreti profili di illegittimità dei
decreti autorizzativi delle operazioni di ascolto (telefoniche e ambientali) emessi dal p.m.
d’urgenza e dal g.i.p. in sede di convalida e degli stessi susseguenti decreti di proroga
degli ascolti, succedutisi in piena continuità temporale. Decreti e proroghe in alcun
modo riconducibili alla categoria della c.d. inutilizzabilità patologica, individuata dalla
giurisprudenza di legittimità come limite al negozio processuale abdicativo sotteso alla
opzione per il rito abbreviato. Ciò perché, a tutto concedere, i menzionati provvedimenti
giudiziari incidentali giammai potrebbero definirsi sorretti da motivazione apparente (id
est inesistente), pur nell’ipotizzata sinteticità -anche “relazionale” con altri atti del
processo- dei dati (indispensabilità, urgenza, pertinenza alle indagini in corso, ecc.) posti
a sostegno della loro adozione. Censure cui, per la verità, aveva già dato esauriente
risposta la stessa sentenza del g.u.p. del Tribunale di Roma, che -pur valutando
intempestive (erroneamente, come rilevato dai giudici di appello) le eccezioni
processuali della difesa del Cadile- le ha comunque vagliate nel merito, evidenziandone
l’infondatezza.
Chiarito che il procedimento “diverso” in cui sono state disposte le operazioni di
intercettazione è lo stesso che ha inizialmente riguardato i due imputati fino alla
separazione delle loro posizioni per la ritenuta autonoma completezza delle indagini
(richiesta di decreto di giudizio immediato del p.m.), è agevole rilevare che
l’inutilizzabilità, eventualmente fisiologica, non attiene alla nascita del processo, sì che
può ammettersi che chi, rinunciando al principio di inscindibilità fra prova e
contraddittorio, chiede e ottiene di essere giudicato allo stato degli atti, non possa poi
dolersi del risultato di tale scelta, compiuta in vista del vantaggio rappresentato dalla
cospicua riduzione di pena in caso di condanna. La legittimità delle captazioni ritenuta
dai giudici di appello è corretta e conforme all’indirizzo ermeneutico di questa S.C.,
richiamato nella stessa sentenza impugnata (cfr., ex plurimis: S.U., 17.11.2004 n. 45189,
P.M. in proc. Esposito, rv. 229245-229246-229247: “Nel caso di acquisizione degli esiti dell’
intercettazione di conversazioni o comunicazioni in procedimento diverso da quello nel quale
siano state rilasciate le relative autorizzazioni, il controllo del giudice sulla legalità
dell’ammissione e dell’esecuzione delle operazioni, di carattere meramente incidentale, riguarda
esclusivamente la serietà e la specificità delle esigenze investigative, come individuate dal p.m. in
relazione alla fattispecie criminosa ipotizzata”; Sez. 6, 24.9.2008 n. 42688, Caridi, rv. 242418;
Sez. 1, 10.2.2010 n. 9764, Femia, rv. 246518).
6

tralasciare (dopo l’unitarietà dei fatti criminosi riconosciuta dalla sentenza di appello)
che alla quantità di droga sequestrata il 17.2.2010 va cumulato l’ulteriore quantitativo di
due chili e mezzo della stessa sostanza, di cui gli imputati appaiono discutere nelle
conversazioni del 29.1.2010 (iniziale autonomo capo di imputazione).
Non è revocabile in dubbio, allora, che nella vicenda oggetto di ricorso non vi sia
spazio alcuno per non applicare gli indici di riconoscimento quantitativo dell’aggravante
dettati dalle Sezioni Unite e fatti propri (giova rimarcare) da conformi successive
decisioni di questa S.C. (ex multis: Sez. 4, 20.12.2012 6369/13, Casale, rv. 255098; Sez. 4,
18.1.2013 n. 10618, Grasso, rv. 254913; Sez. 4, 19.11.2013 n. 46764, Nourdin, rv. 258564).

5.3. L’analisi della particolare posizione processuale dell’imputato Cadile appare,

invece, realmente lacunosa o sommaria per effetto di pregiudiziali dati storico-fattuali
che, muovendo dalla ribadita inattendibilità delle dichiarazioni autoaccusatorie e
liberatorie del coimputato Rinaldi (riconosciutosi esclusivo detentore per conto terzi
dello stupefacente in sequestro e oggetto di captati dialoghi intercorsi con Cadile e altre
persone), adduce come pacificamente dimostrato il concorso criminoso di Cadile, quale
codentore della sostanza stupefacente e partecipe di una “comune gestione” dei relativi
traffici commerciali.
Avuto riguardo alla specificità dei motivi di gravame formulati avverso la
sentenza di primo grado dalla difesa del Cadile, la Corte distrettuale non ne ha compiuto
un soddisfacente vaglio, non fosse altro che attraverso una più attenta e meditata
rilettura delle fonti di prova, piuttosto che mediante un sostanziale rinvio alla
motivazione della prima decisione (Sez. 6, 14.1.2013 n. 9093, Lattanzi, rv. 255718).
Se il rinvio (in vero solo implicito) al riconoscimento della voce di Cadile da parte
degli operanti, che nelle precedenti intercettazioni avevano già avuto modo di ascoltarlo,
può giudicarsi argomento sufficiente per disattendere, siccome non indispensabile a fini
decisori, l’invocato espletamento ex art. 603 c.p.p. di perizia fonica sulla identificazione
del Cadile nelle intercettazioni ambientali del 29.1.2010, la Corte di Appello avrebbe
tuttavia dovuto farsi carico di dare idonea risposta alle discrasie nominali emergenti
dalla individuazione di p.g. della persona del Cadile prima come Renato e poi come
Luciano. Discrasie devolute con l’atto di appello, segnalante il susseguirsi della presenza
di molte persone a bordo dell’autovettura di Rinaldi, teatro delle captazioni foniche.
Se pure (come si precisa nella sentenza di primo grado) la scarcerazione del Cadile
subito dopo l’arresto per ritenuta mancanza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273
c.p. trova causa negli allora non ancora noti contenuti delle captazioni foniche, deve del
pari rilevarsi che evanescente appare, sul piano della solidità probatoria, la ritenuta
partecipazione criminosa del ricorrente alla pacifica attività criminosa posta in essere dal
Rinaldi, in difetto di una idonea o più pregnante descrizione dei dialoghi intercettati che
sarebbero indicativi di tale correità del Cadile. Ciò unitamente alla superficiale risposta
riservata al rilievo difensivo (per l’episodio del 17.2.2010) sul luogo di incontro all’inizio
concordato da Cadile con Rinaldi e diverso dal garage o “magazzino” di Via Morandi
dove i due si trattengono. Dalla più estesa sentenza di primo grado, da cui si evince
(intercettati colloqui in carcere tra Cadile e i suoi congiunti) che Cadile riconosce di aver
parlato di droga con il coimputato, non è dato desumere se ed in quale misura i dialoghi
di gennaio 2010 (fino a quelli giudicati più rilevanti del 29.1.2010), in cui i due prevenuti
7

Merita aggiungere, quanto alla consentita motivazione per relationem dei decreti di
intercettazione, che sul piano del sindacato giurisdizionale sulla sussistenza dei
presupposti di legge per l’attivazione e prosecuzione di intercettazioni non si richiedono
formule sacramentali atte a disvelare l’elaborazione logico-giuridica posta a base della
motivazione dei singoli provvedimenti, bastando a tal fine l’enunciato dichiarativo che
faccia leva, recependone la congruità esplicativa, sulle ragioni poste a fondamento della
richiesta di attivazione o di proroga dell’ascolto e delle informative di p.g. che alla stessa
danno corpo. L’esigenza di sottoporre ad adeguato vaglio critico le emergenze delle
informative di p.g. non richiede, come sembra sostenersi nel ricorso, uno specifico e
autonomo sviluppo argomentativo, “trattandosi di un apprezzamento ontologicamente
assorbito, e quindi implicitamente insito, nella decisione adesiva del giudice, che dunque nulla
deve attestare o dimostrare al riguardo” (così Sez. 2, 16.4.2013 n. 19483, Avallone, rv. 256038).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso di Giovanni Rinaldi segue per
legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e dell’equa somma
di euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Cadile Luciano e rinvia per nuovo
giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
Dichiara inammissibile il ricorso del Rinaldi, che condanna al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Roma, 17 dicembre 2013
Il consigliere stensore
GiacomQ Evio oni
.

Il

Franc

parlano di cocaina e dei relativi prezzi all’ingrosso, possano ritenersi emblematici, attesa
la genericità delle frasi pronunciate da Cadile (riportate nelle sentenze di merito), di una
diretta cointeressenza criminosa dell’imputato. La sentenza del g.u.p. romano, evocando
l’ammissione di Cadile (ignaro di essere intercettato) di aver parlato di droga con Rinaldi
cita una frase del prevenuto, reputata sintomatica del suo coinvolgimento delittuoso (“se
parlava solo de quello: io che me drogo, lui che la venneva, se parlava de quello…”). Frase che
nondimeno -se non finisce per contraddire lo stesso assunto accusatorio- nulla consente
di inferire su modalità e dinamica, anche soggettiva, della ritenuta adesione del Cadile al
progetto criminoso coordinato da Rinaldi. Si tratta di lacuna di non poco momento,
rilevata dall’appello del difensore, che mette in luce dati asseveranti un esclusivo
rapporto di compravendita del Cadile (acquirente) con il Rinaldi, cui la sentenza di
appello, nella stringata parte della motivazione riservata al merito della regiudicanda,
non dedica alcuno o il dovuto spazio, apparendo adagiarsi acriticamente sulla
ricostruzione valutativa sviluppata dalla prima sentenza.
Ne discende la constatazione della sommarietà dell’attenzione posta dai giudici di
appello nella disamina degli specifici motivi di gravame dell’imputato, in più caso
ignorati. Ciò che produce distonie e incoerenze della apparente linearità della
motivazione della sentenza di appello in punto di precisa enunciazione degli elementi di
prova che attestano, al di là di ogni dubbio ragionevole, il concorso nel reato del Cadile.
Di tal che non privi di spessore si rivelano i richiami del ricorso ai principi fissati dalla
giurisprudenza di legittimità in tema di distinzione tra connivenza non punibile e
concorso nell’altrui reato (cfr.: Sez. 6, 18.2.2010 n. 14606, lemma, rv. 47127; Sez. 6,
29.10.2013 n. 47562, Spinelli, rv. 257465; Sez. 6,31.10.2013 n. 44633, Dioum, rv. 257810).
Si impone, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra
sezione della Corte distrettuale perché proceda a nuovo esame della posizione di
concorrente nel reato del Cadile, colmando le discrasie e le lacune valutative dianzi
indicate in applicazione dei principi statuiti dalle decisioni di legittimità citate.

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