Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2334 del 15/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2334 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Sigilli Cristian Giovanbattista, nato il giorno
19 ottobre 1979, avverso l’ordinanza 3 luglio 2013 del Tribunale di Reggio
Calabria che ha rigettato l’appello contro l’ordinanza del Tribunale di Locri 4 aprile
2013.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale
Luigi Riello che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso od in subordine per il
rigetto, nonché il difensore del ricorrente avv.ssa Caccamo che ha chiesto
l’accoglimento dell’impugnazione.

RITENUTO IN FATTO
1. Sigilli Cristian Giovanbattista ricorre, a mezzo del suo difensore,
avverso l’ordinanza 3 luglio 2013 del Tribunale di Reggio Calabria, il quale ha
rigettato l’appello contro l’ordinanza del Tribunale di Locri 4 aprile 2013, che

Data Udienza: 15/01/2014

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aveva rigettato la richiesta di revoca e/o sostituzione della misura della custodia
cautelare in carcere, applicatagli in quanto indagato per essersi associato allo
scopo di commettere più delitti di quelli previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, art.
73 in particolare l’acquisto, trasporto, occultamento e detenzione con finalità di
cessione a terzi di ingenti quantitativi di sostanza stupefacente del tipo eroina

nazionale 23 kg di sostanza stupefacente del tipo cocaina, giunta il 22/09/2009 al
porto di Gioia Tauro dalla Colombia.
2. Con sentenza 9368/2013, la V sezione di questa Corte ha dichiarato
inammissibile il ricorso contro l’ ordinanza 5 ottobre 2011 del G.I.P. presso il
tribunale di Reggio Calabria che aveva rigettato l’istanza con la quale la difesa del
Sigilli, proponendo una rivisitazione del quadro indiziario posto alla base
dell’originario titolo custodiale, aveva chiesto ai sensi dell’art. 299 c.p.p. la revoca
della misura cautelare in atto.
2.1. La Corte di legittimità ha in proposito testualmente spiegato:
– che il ricorrente ha «certamente posto in evidenza alcune debolezze degli
elementi probatori a sostegno dell’ipotesi accusatoria», ma le censure svolte non
individuano vizi evidenti della motivazione, quanto piuttosto contestano nel
merito la ricostruzione dei fatti operata dal tribunale sulla base della
interpretazione degli elementi indiziari acquisiti; ebbene, tale censura è
inammissibile in sede di legittimità nella parte in cui richiede a questa corte un
intervento non consentito nella valutazione della gravità indiziaria
– che il controllo della Cassazione è limitato alla verifica che il
provvedimento impugnato sia sorretto da una logica e sufficiente motivazione,
anche nelle parti in cui fa riferimento all’ordinanza emessa dal gip, e che il
giudizio di gravità indiziaria e di attendibilità delle dichiarazioni che ne
costituiscono il fondamento sia stato effettuato dal Tribunale operando una
corretta interpretazione degli istituti processuali invocati nel ricorso;
– che, nella specie, non erano ravvisabili, nella motivazione, vizi evidenti di
illogicità idonei a scardinarla, non essendo sufficienti minime incongruenze
argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione (che il ricorrente

(capo a) nonché per aver acquistato, detenuto ed importato nel territorio

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ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano
inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività);
-che, infine, non qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati
estrapolati dal contesto costituisce vizio della motivazione; al contrario, è solo
l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato

oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto
argomentativo della motivazione, che, nel caso di specie, indubbiamente sussiste;
-che, nella vicenda «la motivazione, pur opinabile a fronte delle
osservazioni difensive, non manifesta comunque alcun vizio evidente, tale da
scardinare il costrutto argomentativo a sostegno della decisione» .
3.

Sulla scorta di tale decisione del Supremo collegio,

l’ordinanza

impugnata individua l’ambito del giudizio dell’appello cautelare ai «fatti nuovi,
preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare il quadro probatorio e/o influire
sulla permanenza delle esigenze cautelari già ritenute sussistenti».
4.

L’elemento di novità, utilizzato dalla difesa per una rivisitazione in

senso favorevole all’appellante dell’originario quadro di gravità indiziaria, è stato
indicato negli esiti dello sviluppo dell’istruttoria dibattimentale -ancora in corso- a
seguito della quale si sarebbe accertato che il container “incriminato” avrebbe
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subito una ideconda effrazione , collocata secondo i difensori nella fascia oraria
14,35-16,15 del 23 settembre 2009. orario in cui sarebbe documentalmente
provata l’assenza dell’appellante dal luogo dì lavoro, sicché il medesimo non
avrebbe potuto procedere all’estrazione dei due zaini contenenti l’ingente
quantitativo di sostanza stupefacente sequestrata (sul punto. cfr. dichiarazioni
testimoniali del Capitano D’Angelo Antonio rese all’udienza del 20 febbraio 2013).
5. Su tale prospettazione il Tribunale ha osservato che la ricostruzione
difensiva, alla stregua della quale vi sarebbe stata una seconda effrazione al
container “incriminato” in orario incompatibile con la presenza sui luoghi di lavoro
dell’appellante, se può dirsi accertata con riferimento al fatto storico dell’avvenuta
seconda effrazione, altrettanto non può dirsi in relazione alla sua collocazione
temporale, che appare frutto di una deduzione logica della difesa, sfornita di
adeguato rigore dimostrativo e data solo per plausibile sulla base del fatto che,

che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi,

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proprio in quella fascia oraria, i funzionari della dogana si erano accorti della
mancanza del container in questione, il quale avrebbe dovuto essere inviato
all’area ispezione per visita fisica (una cosa è, infatti, l’orario dell’accertamento
dell’effrazione, altra è quella relativa all’effettiva verificazione dell’ effrazione
stessa).

nell’atto di gravame, i giudici di merito hanno ripreso le argomentazioni illustrate
dal Tribunale della libertà nel provvedimento di rigetto dell’appello cautelare,
quali positivamente vagliate dal giudice di legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il difensore, facendo leva sulle asserzioni della Corte di Cassazione,
concernenti «alcune debolezze degli elementi probatori a sostegno dell’ipotesi
accusatoria» evidenzia il “dramma” secondo cui i giudici del merito cautelare non
colgono il rilievo delle osservazioni difensive sull’attribuzione e ricostruzione dei
fatti, mentre il giudice di legittimità, pur percependo le lacune probatorie, non vi
pone rimedio per difetto di competenza.
1.1. Su tali premesse il ricorso, valorizzando la deposizione dibattimentale
del teste Capitano D’Angeloantonio (che produce), rileva: a) che l’assenza
dell’imputato dai luoghi e nel tempo corrispondente alla perpetrazione del reato è
inconciliabile con una ipotesi di responsabilità posto che non è contestata alcuna
forma di concorso morale; b) che l’ipotesi che la seconda effrazione si sia
consumata nell’area freezer prima delle ore 14,35 è frutto di un travisamento
delle dichiarazioni del teste, il quale si era limitato a riferire che dalle 14,35 alle
15.20 il “container se lo sono perso”; c) che, pur nell’impossibilità di fissare il
momento della II effrazione, questa non può che essersi verificata nell’arco dei
detti 45 minuti indicati dal teste; d) che la società MCT che gestisce il terminal
container all’interno del porto di Gioia Tauro ha rifiutato di rispondere alla doppia
richiesta difensiva e concernente: la dotazione nell’area di un impianto di
videosorveglianza e l’accesso o meno del Sigilli nell’area freezer; e) che appare
inaccettabile l’ipotesi che la II effrazione possa essere stata realizzata
dall’accusato in orario antecedente le ore 14,35 e più esattamente prima delle ore
13,59, orario insolito di uscita del Sigilli; f) che comunque tale costruzione risulta

6. Quanto alle restanti e definite “corpose deduzioni difensive, articolate

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“monca” -e quindi priva di coerenza logica- in quanto essa ignora la fondamentale
circostanza che il video, delle ore 13,59 del 23 settembre 2009, ritrae il Sigilli con
in mano uno zainetto, tenuto con due dita, e incompatibile per dimensioni e
modalità di trasporto a contenere 23 kg.
1.2. In conclusione: la ricostruzione dei fatti sarebbe connotata da

avverse deduzioni difensive e la gravità indiziaria sarebbe stata posta in dubbio
dalla stessa Corte di Cassazione; da ciò la richiesta di annullamento della
decisione impugnata.
2. Ritiene la Corte, aderendo alla richiesta principale del Procuratore
generale, che il ricorso in questione debba essere rigettato.
2.1. In proposito vanno qui testualmente riprese le considerazioni in
diritto, formulate dalla V sezione di questa Corte (cfr. §.2.1. della narrativa in
fatto), non ravvisandosi nell’argomentare del provvedimento impugnato nessuna
invalidità, efficace ai fini dell’annullamento della decisione stessa.
Invero:
a) la conclusione del Tribunale secondo cui “è ben possibile che l’effrazione
sia stata consumata nell’area freezer, allorquando il container venne
provvisoriamente stoccato in attesa di essere trasferito nell’area ispezione, ove
avrebbe dovuto essere sottoposto a visita fisica, in orario perfettamente
compatibile con la presenza sui luoghi di lavoro del Sigilli (il quale rimase nei
luoghi di lavoro sino alle 13.59 di quella mattinata dei 23 settembre 2009, senza
offrire una valida spiegazione della protrazione oltre il normale orario lavorativo
stabilito contrattualmente sino alle ore 13.00), tant’è che la difesa non ha
dimostrato alcunché al riguardo, essendo rimasta inevasa a richiesta diretta alla
MCTC di Gioia Tauro intesa a conoscere, in definitiva, se l’odierno istante ebbe o
meno accesso all’area freezer durante la predetta mattinata e se la stessa fosse
stata sottoposta a videoregistrazione” risulta essere priva di incoerenze od
illogicità qui apprezzabili;
b) né a diverse conclusioni si può pervenire in ragione della deposizione
del capitano D’Angeloantonio, (comunque connotata da espressioni del tipo:
«l’ho riferito?», «non me

lo ricordo onestamente») quale interpretata

ipoteticità, parzialità, mancato confronto della motivazione con le ragionevoli

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dall’ordinanza in questione che ha offeep, in proposito, una sua non irragionevole
tispero
e valida lettura, correlata e sintonicavalle altre emergenze processuali;
c) inoltre, insignificanti appaiono le deduzioni difensive per cui nello
zainetto non potevano stare 24 kg di stupefacente e che tale contenitore, con tale
peso, non poteva essere “tenuto dal ricorrente con sole due dita”, attesa la

del Sigilli e il grado di compatezza della droga).
Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del
provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e
coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata, avendo ben
presente che il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame
dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, ed in particolare, il vizio di
mancanza della motivazione, in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, non può essere apprezzato dalla Corte, quando non risulti “prima
facie” dal testo del provvedimento impugnato, restando estranea alla valutazione
di legittimità la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle
questioni di fatto (cfr. ex plurimis e da ultimo: cass. pen. sez. 4, Sentenza n.
26992 del 29/05/2013 Cc. Rv. 255460).
Al rigetto seguono gli adempimenti di cancelleria ex art. 94.1 ter disp. att.
C.P.P..

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94.1 ter disp. att. C.P.P..
Cosi deciso in Roma il giorno 15 gennaio 2014

pluralità delle variabili determinanti tale risultato (quali ad esempio: la forza fisica

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