Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23339 del 31/01/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 23339 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) GIUSTI MARCO, N. IL 13/12/1967,
avverso la sentenza n. 12183/2008 pronunciata dalla Corte di Appello di Torino
del 15/5/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Gabriele Mazzotta, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udite le conclusioni dell’avv. Fabrizio Mastro, che ha chiesto raccoglimento del
ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Giusti Marco è stato giudicato dal Tribunale di Torino responsabile della
morte del piccolo Pierluigi Foscaldi, perché, quale dirigente medico in servizio
presso il reparto di ostreticia e ginecologia dell’ospedale Maria Vittoria di Torino,
la notte tra il 30 giugno ed il 1 luglio 2005, per colpa generica ed in particolare
per non aver correttamente interpretato il tracciato cardiotografico del feto e
quindi ritardando senza apparente motivo il parto con taglio cesareo, ha causato
la morte del neonato, sopraggiunta il 7 settembre quale exitus dello stato di
grave ipossia e compromissione generalizzata, in particolare cerebrale.

Data Udienza: 31/01/2013

La Corte di Appello di Torino ha riformato tale decisione unicamente in
relazione al trattamento sanzionatorio, che ha ridotto a mesi sei di reclusione,
confermandola nel resto.

2. Avverso la sentenza di secondo grado ricorre per cassazione il Giusti a
mezzo del difensore di fiducia, avv. Fabrizio Mastro.

2.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge, in relazione agli artt.

condotta ascritta all’imputato e l’evento prodottosi. Ad avviso dell’esponente la
Corte di Appello, richiamandosi al principio secondo il quale il nesso causale
sussiste ogni qualvolta il tempestivo e corretto intervento sanitario sarebbe stato
idoneo a produrre serie ed apprezzabili possibilità di successo per salvare la vita
del paziente anche se non la piena certezza, applica un principio giuridico
superato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, a partire dalla sentenza
in causa Franzese (SU n. 30238/2002), per la quale la sussistenza del nesso
causale deve poter essere affermata con alto grado di credibilità razionale o
probabilità logica.

2.2. Con un secondo motivo deduce vizio motivazionale in relazione a talune
risultanze processuali. In particolare la Corte di Appello ha asserito che la gravità
delle condizioni patologiche del bambino erano state proporzionali alla durata
della sofferenza determinata dal ritardo imputabile al Giusti; ritardo che aveva
impedito di recuperare la vitalità del feto, mentre il danno era ancora reversibile.
Rileva l’esponente che l’assunto è smentito dalle conclusioni dei cc.tt ., in
particolare quelli del p.m., che hanno esplicitato come la scienza medica non
permetta di escludere con certezza che i sintomi patologici riscontrati alle ore
5,20 – per i giudici di merito decisivo cardine temporale della vicenda – non
fossero già in se stessi idonei a condurre al gravissimo insulto ipossico e alle
conseguenze ad esso correlate. In assenza di una legge scientifica di copertura
l’elevato grado di credibilità razionale non può raggiungersi dimostrando la
coerenza e la tenuta complessiva dell’impianto probatorio. Nel caso di specie
resta il dato dell’assenza di acquisizioni scientifiche in forza delle quali poter
affermare la idoneità ex ante di un taglio cesareo eseguito d’urgenza ad impedire
lesioni gravissime ad esito mortale ad un feto che ha già subito un grave insulto
ipossico. Inoltre, svariati elementi probatori, analiticamente esposti dal
ricorrente, deponendo per l’esistenza di una sofferenza fetale importante
antecedente alle ore 5,20, escludono che possa dirsi conseguito un alto o elevato
grado di credibilità razionale o probabilità logica in ordine alla sussistenza del

40 e 589 cod. pen., censurando il giudizio concernente il nesso causale tra la

nesso causale, sotto il profilo dell’efficacia impeditiva del comportamento
alternativo lecito.
Né sarebbe corretto affermare la sussistenza del nesso causale sulla scorta
del criterio dell’aumento di chanches di salvezza del comportamento alternativo
lecito – come, ad avviso dell’esponente, ha fatto il giudice di prime cure – perché
si tratta di un criterio non accettato dall’ordinamento nazionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3.1. I motivi articolati con il ricorso manifestano l’acquiescenza dell’imputato
rispetto all’affermazione di una sua condotta colposa, consistita nell’aver
ritardato la decisione e l’esecuzione del parto cesareo, pur in presenza di una
gamma di indicatori che ne segnalavano la necessità e l’urgenza. Invero, il
profilo della colpa in senso oggettivo è risultato incontroverso già nel corso del
giudizio di primo grado, come segnalato dal Tribunale.
Si può far quindi riferimento alla ricostruzione dei fatti operata dai giudice di
merito.
La signora Cinzia Mayer, in attesa del terzo figlio, a seguito di una
gravidanza svoltasi regolarmente, venne invitata dal ginecologo che l’aveva
seguita, Dott. Bruno Giordano, a presentarsi presso l’ospedale Maria Vittoria il 28
giugno. In tale occasione venne riscontrata una riduzione del liquido amniotico e
deciso il ricovero per il giorno seguente. Il 29 mattina la donna venne visitata dal
dottor Giusti, il quale rilevò l’assenza di contrazioni uterine e le annunziò l’utilizzo
di tecniche per l’induzione del parto spontaneo, fermo restando che ove questo
non fosse intervenuto, alle ore 8,00 del 1 luglio si sarebbe proceduto con parto
cesareo. La Mayer iniziò ad avere le prime contrazioni nella tarda serata del 30
giugno; alle ore 4,15 venne visitata da un’ostetrica, senza che fossero rilevate
particolarità (contrazioni irregolari, BFC presente e regolare); un’ulteriore visita
venne eseguita alle ore 5,05, registrando contrazioni uterine irregolari, 3 cm. di
dilatazione, rottura spontanea delle membrane con scolo di liquido fortemente
tinto; un quarto d’ora dopo, in presenza di una dilatazione di 4 cm., di
contrazioni uterine irregolari, di BCF regolare, ed eseguito un monitoraggio CTG
fetale, venne somministrato Syntocinon 5UI. Altri controlli vennero eseguiti alle
6,10, alle 6,50, alle 7,15, constatando un progressivo ampliamento della
dilatazione (sino a 9 cm.) e contrazioni regolari. Alle 7,45 venne tuttavia rilevata
una brachicardia e si procedette all’estrazione del feto.
Il bambino nacque con un giro di funicolo attorno al collo e un giro a
bandoliera, con indice APGAR 1 e 4, liquido amniotico fortemente tinto di
meconio all’espulsione. Subito rianimato ed intubato, il neonato risultò non

3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.

reattivo agli stimoli; alle ore 12,00 ebbe una crisi convulsiva; alle ore 14,00 fu
rilevata ipertermia e tachicardia, in sede di consulenza neuropsichiatrica venne
diagnosticato stato di corna, con postura discretamente ipotonica, assenza di
motricità spontanea e riflessa, pupille fisse in miosi; il referto
dell’elettroencefalografia delle ore 12,05 fu di grave depressione
dell’elettrogenesi, conseguente a sofferenza cerebrale acuta. Poi le condizioni di
salute del neonato peggiorarono sino alla morte del 7 settembre, per una grave
Insufficienza respiratoria in soggetto con grave compromissione cerebrale, la cui

risalente ad ostruzione acuta e di recente insorgenza del flusso ematico nel
cordone ombelicale.

3.2. Secondo il giudizio scaturito dal doppio grado di merito, al più tardi alle
ore 5,30 vi erano indicazioni per procedere con urgenza all’esecuzione del parto
cesareo. Infatti erano presenti più fattori di sofferenza fetale, in concomitanza ad
un travaglio che non consentiva di prospettare come prossimo un parto naturale.
Di particolare importanza, tra questi, il tracciato eseguito alle ore 5,20,
incontrovertibilmente patologico, giacché la frequenza cardiaca fetale era
corrispondente al massimo del range ritenuto normale e rassicurante (una lieve
tachicardia costituisce una delle risposte del feto all’ipossia); la variabilità del
ciclo cardiaco, che dà indicazioni sul benessere dell’organismo del feto, era nel
caso di specie intorno o lievemente inferiore a valore cinque ed anche questo era
un segnale di ipossia; le accelerazioni della frequenza cardiaca, anch’essa
indicativa del benessere fetale, erano assenti; le decelerazioni, la cui
interpretazione è più complessa, nel caso specifico inducevano comunque ad un
giudizio di gravità delle stesse. A ciò si aggiungeva la rottura della membrana
alle ore 5,05, che aveva evidenziato liquido amniotico tinto di meconio,che in
rapporto sinergico con il tracciato cardiografico patologico dava conferma di una
condizione di sofferenza fetale.
In conclusione, nella condotta dell’imputato sono stati ravvisati più profili di
colpa: nonostante una serie di indicatori che imponevano uno stretto
monitoraggio della situazione egli aveva affidato per circa due ore la puerpera
alle cure esclusive di un’ostetrica rimanendo assente anche in prossimità della
fase espulsiva; tale comportamento evidenziava una sottovalutazione del rischio,
sfociato in un atteggiamento attendista costituente imperizia e imprudenza di
particolare gravità, posto che la sofferenza fetale segnalata dai due indicatori
combinati poteva essere affrontata attraverso il parto cesareo d’urgenza mentre
invece fu perseguita la strada del parto naturale, con ulteriore assunzione del
rischio legato al trattamento farmacologico che, secondo la letteratura e comune

causa fu individuata in un insulto ipossico grave e prolungato, verosimilmente

esperienza, è fattore di accrescimento dello stress per il feto durante il travaglio.
Inoltre il Giusti era incorso in una grave negligenza anche quando aveva
mancato a lungo ed ingiustificatamente di porre attenzione all’evoluzione della
situazione, nonostante la pregressa conoscenza del caso clinico della paziente e
delle sue diminuite energie per i disagi fisici e psichici affrontati nei due giorni di
ricovero. In particolare, il giudice dell’appello rimarcava che l’imputato aveva
colposamente errato nel procrastinare l’intervento e nel somministrare alla

3.3. Già i giudici di merito hanno rimarcato come il punto maggiormente
controverso sia quello relativo al nesso di causalità, sotto il profilo della idoneità
del comportamento alternativo lecito ad evitare la grave patologia cerebrale e
quindi le successive complicanze. Il ricorrente contesta la soluzione rinvenuta dai
giudici, per due e convergenti ragioni. Da un canto, l’indisponibilità di una legge
scientifica di copertura in forza della quale poter affermare la idoneità ex ante di
un taglio cesareo eseguito d’urgenza ad impedire lesioni gravissime ad esito
mortale ad un feto che ha già subito un grave insulto ipossico; dall’altro
l’irricevibilità nell’ordinamento nazionale del criterio dell’aumento di chanches, al
quale si riconduce il giudizio per il quale la condotta doverosa mancata dal Giusti
avrebbe avuto “serie ed apprezzabili possibilità di successo per salvare la vita del
paziente anche se non la piena certezza”.
Orbene, tali censure chiamano in causa il cd. giudizio contro-fattuale, il
quale impone di accertare se la condotta doverosa che non è stata tenuta fosse
stata in grado, qualora eseguita, di evitare l’evento concretamente verificatosi.
3.4. L’operazione intellettuale che va sotto il nome di giudizio contro-fattuale
richiede che venga preliminarmente descritto ciò che è accaduto; solo dopo aver
accertato ‘che cosa è successo’ (si propone al riguardo la definizione di ‘giudizio
esplicativo’) è possibile chiedersi cosa sarebbe stato se fosse intervenuta la
condotta doverosa (‘giudizio predittivo’). Si tratta di una puntualizzazione
tutt’altro che neutrale sul piano delle implicazioni. Basti pensare che se del
giudizio predIttivo si ammette la validità anche in presenza di esiti non
coincidenti con la certezza processuale Coltre ogni ragionevole dubbio’), sicchè
può dirsi che la condotta doverosa avrebbe avuto effetto impeditivo anche se
tanto può affermarsi solo ‘con elevata probabilità logica’, per il giudizio
esplicativo la certezza processuale (nei sensi sopra indicati) deve essere
raggiunta. Ove si tratti di reati omissivi impropri può dirsi che la situazione
tipica, donde trae origine l’indifferibilità dell’adempimento dell’obbligo di facere,

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puerpera dell’ossitocina.

deve essere identificata in termini non dubitativi; ove così non fosse non sarebbe
possibile neppure ipotizzare l’omissione tipica.
Si tratta di piani correlati ma distinti; e non sembra ammissibile che i deficit
di conoscenza che incidono sul giudizio esplicativo possano essere colmati da una
particolare evidenza dell’attitudine salvifica del comportamento doveroso
mancato, perché in realtà senza una preliminare incontroversa delineazione del
quadro fattuale quell’attitudine si può predicare solo in termini astratti.

Impugnata appare carente nella parte in cui argomenta intorno alla descrizione
dell’accaduto, o meglio ancora del suo nucleo decisivo, ovvero il momento di
insorgenza della sofferenza fetale. In assenza di una adeguata individuazione del
momento di insorgenza dell’ipossia è impossibile sostenere che alle ore 5,20 il
danno fosse ancora suscettibile di ulteriore ingravescenza piuttosto che
stabilizzatosi in quello che risulterà accertato alla nascita del piccolo. E’ peraltro
palese che se la compromissione delle condizioni di salute del feto fosse stata già
alle ore 5,20 tale da non poter trovare rimedio in un sollecito parto cesareo, la
condotta colposa del Giusti risulterebbe priva di effettiva incidenza causale.
La Corte di Appello ha affermato che “il danno, se si fosse agito
tempestivamente, era sicuramente reversibile alle 5,20… c’erano dati che
confortavano l’ipotesi di inizio di ipossia alle 5,20, per cui si doveva intervenire,
con tempestività, attraverso il taglio cesareo”.
Il Collegio distrettuale non indica però quali siano i dati che ‘conforterebbero
l’ipotesi’ che l’ipossia fosse iniziata alle ore 5,20, di talché un pronto intervento
avrebbe garantito la reversibilità del danno. Il giudizio esplicativo risulta molto
più simile ad un’asserzione autoreferenziale che ad una connessione di fatti certi;
sicché il giudizio in ordine all’efficacia impeditiva di un tempestivo intervento
risulta elaborato a partire da un presupposto non adeguatamente corroborato
dall’accertamento processuale.
E’ da ritenere che anche su questo specifico punto il giudice di secondo
grado abbia inteso richiamarsi alla decisione del Tribunale, della quale ha
condiviso pressocchè integralmente l’impianto.
Tuttavia la lacuna appena ravvisata non viene colmata neppure dalla
sentenza di primo grado, che anzi incorre in una palese contraddittorietà. La
pregevole tessitura della trama che sostiene il giudizio di responsabilità,
irrobustita da una puntuale ricognizione degli elementi della colpa e persino
ornata di un congruo richiamo ai principi che sovrintendono all’accertamento del
nesso causale, manifesta perdita di tenuta ed anzi una frattura logico-giuridica lì
dove si tratta di fissare la pietra d’angolo del giudizio contro-fattuale.

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3.5. E’ appunto quanto si rinviene nel caso che occupa. La sentenza

Il Tribunale ricorda che i consulenti tecnici del pubblico ministero si erano
espressi nel senso che “non è possibile stabilire, neppure in termini di mera
verosimiglianza, attorno a quale ora il danno ipossico è diventato incompatibile
con la vita”. Proprio per tale ragione gli esperti si erano astenuti dal fare
affermazioni sulla valenza dell’intervento: “non possiamo peraltro dire se un
anticipo della nascita di due ore avrebbe modificato gli esiti dal momento che il
tracciato cardiotografico già presentava anomalie che sono spesso associate con
esiti molto gravi”, aggiungendo che già alle ore 5,20 vi erano i segni di patologia
anche acidotico.
Rispetto a tali indicazioni il Tribunale opera quella che definisce ragionevole
interpretazione delle stesse, in virtù della quale quelle permetterebbero di
affermare che “non essendo dato conoscere il momento esatto iniziale della
sofferenza, non si potrebbe escludere che anche un cesareo effettuato attorno
alle ore sei non avrebbe scongiurato lesioni cerebrali di una certa consistenza e
gravità, così come non potrebbe peraltro escludersi che non vi sarebbero stati
invece danni apprezzabili”.
Ma, all’evidenza, una simile ‘interpretazione’ – che, sembra di capire,
vorrebbe concorrere a rendere persuasivo il giudizio causale – è invero incapace
di risolvere Il dubbio circa l’insorgenza dell’ipossia già prima delle ore 5,20 (ad
esempio subito dopo le ore 4,15, momento al quale risalgono le ultime
ascultazioni del battito cardiaco) e la sua gravità a tal ora. Da un canto conferma
che anche per il Tribunale (e quindi per la Corte di Appello) l’accertamento
processuale non ha consentito di individuare il momento di insorgenza della
sofferenza; dall’altro pretende di trarre da slffatta incertezza un fattore non
pregiudicante il giudizio contro-fattuale.
Il dato di valore assorbente sembra essere, per i giudici di merito,
l’esistenza di una relazione diretta tra ritardo ed entità delle conseguenze a
carico del feto. Non vi è ragione di dubitare di ciò; ma l’utilizzo nel caso concreto
ed ai fini del giudizio contro-fattuale della legge scientifica che accredita
l’aggravarsi delle conseguenze patologiche al protrarsi dell’ipossia richiede pur
sempre che sia possibile affermare la natura non ancora irreversibile della
compromissione della salute del feto alle ore 5,20.
Né è risolutivo affermare, come ha fatto il Tribunale, che “se non si
riconoscesse efficacia sotto il profilo causale al perdurare della condizione lesiva,
equiparandosi un insulto ipossico di pochi minuti a quello protratto per ore,
risulterebbe difficile spiegare il mancato verificarsi di una morte intrauterina o in
concomitanza del parto”. Infatti, anche quest’affermazione postula la conoscenza

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chiara, indicatori che già in quel momento il feto doveva essere ipossico e già

del momento di insorgenza dell’insulto ipossico, la quantificazione della
sua durata, l’esplicitazione della relazione tra questa e sopravvenienza
della morte.
Quanto all’affermazione che ricava “una condizione di normalità fino
ad un momento prossimo alla rottura delle membrane” dalla
sopravvivenza del neonato e dall’aumento di peso ponderale nei due
mesi successivi al parto, essa non risulta accompagnata dalla
esplicazione della legge scientifica che permette di instaurazione un
essa un ruolo decisivo nell’intero impianto motivazionale (pg. 17-18).
Appare poi monca l’ampia citazione delle osservazioni formulate
dalla difesa con l’ausilio del proprio consulente tecnico (pg. 16 e 17),
posto che quelle non sembrano prima facie militanti in senso accusatorio
e non ne viene esplicato il reclutamento in favore del giudizio di
responsabilità; e, soprattutto, che esse non vengono analizzate in
funzione del giudizio esplicativo.
4. La sentenza deve quindi essere annullata, con rinvio alla Corte di
Appello di Torino perché proceda, ove possibile e alla luce dei principi
qui posti, in via preliminare all’accertamento della efficienza impeditiva
della condotta che il Giusti avrebbe dovuto tenere secondo le legis artis,
ad una nuova formulazione del giudizio esplicativo, con particolare
riferimento al momento di insorgenza della ipossia cerebrale del feto.
P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Torino
per nuovo esame.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 31/1/2013.

simile rapporto causa-effetto, nonostante il Tribunale mostri di dare ad

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