Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23325 del 21/05/2013

Penale Sent. Sez. 6 Num. 23325 Anno 2013
Presidente: DE ROBERTO GIOVANNI
Relatore: FIDELBO GIORGIO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:
1) A.A.
2) B.B.;
avverso la sentenza del 9 dicembre 2011 emessa dalla Corte d’appello di
Ancona;
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del consigliere dott. Giorgio Fidelbo;
udito il sostituto procuratore generale Carmine Stabile, che ha concluso
chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
uditi, per le parti civili, gli avvocati Sandra Giustozzi e Anna Mercuri, che
hanno chiesto l’inammissibilità dei ricorsi e la conferma della sentenza
impugnata in ordine alle statuizioni civili;
udito, per gli imputati, l’avvocato Maurizio Benvenuto, che ha insistito per
l’accoglimento dei ricorsi.

Data Udienza: 21/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. B.B. e A.A.venivano rinviati a giudizio per
avere, con distinte azioni, minacciato di morte appartenenti alla Polizia di
Stato, allo scopo di farli desistere dal compiere atti del proprio ufficio,
consistenti nella repressione del traffico di sostanze stupefacenti. Secondo

dell’ispettore G.G. attraverso telefonate anonime; mentre il
A.A. avrebbe minacciato gli ispettori F.F., G.G. e
S.S. indirizzando loro missive anonime contenenti proiettili.
Con sentenza del 21 gennaio 2010 il Tribunale di Ancona riconosceva la
responsabilità di B.B. per il reato di cui all’art. 336 c.p. e lo condannava
a due anni di reclusione, con sospensione della pena, e al risarcimento dei
danni, liquidati in euro 12.000, in favore della parte civile, B.B.;
invece, assolveva A.A. dal reato di cui agli artt. 336 e 339 c.p. ai sensi
dell’art. 530 comma 2 c.p.p.

2.

La Corte d’appello di Ancona, decidendo sulle impugnazioni di

B.B. nonché su quelle del pubblico ministero e della parte civile, S.S., dirette contro l’assoluzione di A.A., in riforma della prima sentenza
ha condannato quest’ultimo a due anni di reclusione – pena interamente
condonata – e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, liquidati in
euro 12.000, confermando nel resto la condanna dell’altro imputato.

3. L’avvocato Maurizio Benvenuto, nell’interesse dei due imputati, ha
proposto ricorso per cassazione.
Con il primo motivo ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 336 c.p.,
rilevando che nella specie le minacce oltre a non precedere il compimento
degli atti, in quanto l’attività dei pubblici ufficiali era già stata portata a
compimento, non hanno causato alcuna omissione o interruzione della loro
attività, sicché non vi sarebbero i presupposti per il reato di minaccia a
pubblico ufficiale. Si sarebbe trattato, secondo la difesa, di telefonate e
missive indirizzate solo per motivi di rancore, in relazione alla attività
investigativa che gli ispettori di polizia avevano svolto. Pertanto, la condotta
minacciosa attribuita agli imputati avrebbe rappresentato una reazione ad

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l’accusa lo B.B. avrebbe posto in essere le minacce nei confronti

un’attività di ufficio già compiuta dai pubblici ufficiali, che in quanto tale
potrebbe al limite integrare il meno grave reato di minaccia aggravata di cui
agli artt. 612 e 61 n. 10 c.p.
Con il secondo motivo è stata censurata la sentenza in ordine alla
manifesta illogicità della motivazione e alla violazione dell’art. 192 c.p.: in
particolare, si esclude che gli indizi a carico di B.B. abbiano la

della sua responsabilità poggerebbe su mere supposizioni e congetture, non
aventi dignità di prova.
Con il terzo motivo si deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta
responsabilità di A.A., che la Corte d’appello ha affermato su base
prevalentemente indiziaria, con specifico riferimento a presunti contrasti con i
suoi colleghi poliziotti. Secondo il ricorrente la sentenza non avrebbe tenuto
conto della consulenza tecnica grafologica della difesa, fortemente critica sulla
perizia effettuata in sede di incidente probatorio; inoltre, si rileva la mancanza
di ogni elemento di prova dimostrativo che la condotta dell’imputato fosse
diretta ad impedire l’ulteriore corso degli accertamenti del Commissariato di
Fabriano sul traffico di stupefacenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Preliminarmente deve rilevarsi che i reati contestati sono estinti per
intervenuta prescrizione.
Infatti, le minacce ai danni degli appartenenti alla polizia di Stato sono
state poste in essere nei mesi di novembre e dicembre 2004, per cui in base
al termine massimo di sette anni e sei mesi applicabile ai reati in questione
(art. 336 c.p.), secondo quanto previsto dagli artt. 157- 161 c.p., la
prescrizione si è verificata nel maggio 2012, nelle more del ricorso per
cassazione.
Ne consegue che, ai sensi dell’art. 129 comma 1 c.p.p., la sentenza
impugnata deve essere annullata non potendosi procedere nei confronti degli
imputati per la suddetta causa di estinzione del reato e dovendosi escludere
che il gravame sia fondato su motivi inammissibili all’origine, stante i
contenuti delle censure mosse, il cui argomentare, però, consente di

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consistenza della gravità, precisione e concordanza, sicché l’affermazione

escludere la prova evidente dell’insussistenza del fatto, sia sotto il profilo
oggettivo che soggettivo.

5. Tuttavia, le condanne nei confronti di entrambi gli imputati al
risarcimento dei danni in favore delle parti civili, S.S. e B.B., pronunciate con le sentenze di merito impongono in questa sede

effetti delle disposizioni e dei capi che concernono gli interessi civili.
5.1. Il primo motivo è infondato, in quanto correttamente i giudici di
merito hanno ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 336 c.p. Le condotte
poste in essere da entrambi gli imputati, sebbene con modalità differenti,
lungi dall’essere una mera espressione di sentimenti ostili o rancorosi, come
sostenuto nel ricorso, contenevano tutti gli elementi idonei a turbare i
pubblici ufficiali nell’assolvimento dei loro compiti istituzionali, che nella specie
consistevano nel portare a termine una delicata indagine in materia di
stupefacenti che riguardava anche appartenenti alla polizia di Stato e che
coinvolgeva anche i due imputati. La Corte d’appello ha bene evidenziato
come sia le minacce telefoniche, che le missive contenenti proiettili fossero
dirette a intimorire i destinatari, per farli desistere dalle indagini che stavano
conducendo. Né può sostenersi, come fanno i ricorrenti, l’insussistenza del
reato perché la minaccia non avrebbe potuto incidere sull’attività svolta dagli
agenti di polizia in quanto l’indagine era già terminata, trattandosi di una
circostanza di fatto smentita dalle sentenze di merito dalle quali risulta che le
minacce sono intervenute durante le indagini.
5.2. Infondati sono anche i due successivi motivi, con cui i ricorrenti
deducono il vizio di motivazione in ordine ai ritenuti elementi di prova a
carico.
Per quanto riguarda la posizione di B.B. la sentenza ha elencato una
serie numerosa di prove ritenute univoche, costituite dalle dichiarazioni della
persona offesa, B.B., dalla testimonianza di D.D.,
convivente dell’imputato la quale ha riferito che lo B.B. si era vantato
con lei dell’attività persecutoria posta in essere nei confronti del B.B.,
nonché dalle verifiche sulla provenienza delle telefonate minatorie.
Per quanto concerne, invece, la posizione di A.A. la Corte territoriale
ha posto a base del giudizio di colpevolezza la perizia grafologica disposta nel

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che, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., venga comunque deciso il ricorso ai soli

corso dell’incidente probatorio, che ha concluso per la “riferibilità con grado di
certezza” alla mano dell’imputato delle scritte e dei disegni anonimi contenuti
nelle missive fatte recapitare al S.S.: la sentenza impugnata è pervenuta ad
una diversa valutazione della perizia, rispetto a quanto aveva fatto il primo
giudice, tenendo conto non solo dell’accertamento svolto dal Gabinetto
Interregionale di Polizia Scientifica Marche disposto dal pubblico ministero,

contrasti tra A.A. e i suoi colleghi poliziotti, tra cui anche S.S., che stavano
indagando per fatti legati al traffico di stupefacenti che coinvolgevano alcuni
colleghi, tra cui lo stesso A.A.: pertanto, si tratta di una motivazione che
appare logica e coerente, fondata su perizie e accertamenti tecnici che non
hanno rivelato incertezze, nonché su prove indiziarie che posseggono i
caratteri della gravità, precisione e concordanza, motivazione che non merita
le censure mosse nel ricorso.
5.3. In conclusione, l’infondatezza dei motivi proposti determina che le
statuizioni civili contenute nelle sentenze di merito devono essere confermate,
così come richiesto dalle parti civili.

6. Segue la condanna al pagamento delle spese del grado in favore delle
parti civili, che si liquidano, a carico di ciascun imputato, in complessivi euro
2.000,00, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a., come indicato in dispositivo.

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per
prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.
Condanna il A.A. a rimborsare alla parte civile S.S. le spese
del grado, che liquida in complessivi euro 2.000,00 oltre spese generali, i.v.a.
e c.p.a., nonché lo B.B. a rimborsare le stesse spese nei confronti della
parte civile G.G., che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre
spese generali, i.v.a. e c.p.a.
Così deciso il 21 maggio 2013

Il Consigli re estensore

Presidente

che aveva dato lo stesso responso, ma anche della circostanza di comprovati

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