Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23316 del 18/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 23316 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BREWCZYNSKA ANETA N. IL 08/03/1975
avverso l’ordinanza n. 835/2013 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 14/08/2013
a relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
sen
1 e/sentite le conclusioni del PG Dott. e.

LQ

C-sì

Uditi difensor vv.;

Data Udienza: 18/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 16.8.2013 il Tribunale di Reggio Calabria, quale
giudice del riesame, confermava il provvedimento con il quale il Giudice delle
indagini preliminari della stessa sede applicava a Brewczynska Aneta la misura
cautelare della custodia in carcere in relazione al concorso con Domenico
Bellocco nel reato di cui all’art. 12

-quinques legge n. 356 del 1992 con

riferimento alla fittizia intestazione all’indagata del bar «Blue Marine» nella

effettiva disponibilità di Bellocco Domenico, con l’aggravante di cui all’art. 7 d.l.
n. 152 del 1991.

2.

Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione

l’indagata, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando la violazione di legge in
ordine alla configurabilità del reato contestato.
Afferma che difetta l’elemento psicologico del reato essendo evidente la
assoluta buona fede della condotta della ricorrente che ben poteva ignorare le
vicende giudiziarie del Bellocco e le disposizioni italiane in materia di misure di
prevenzione. Al contrario, ha agito esclusivamente per svolgere una attività
lavorativa regolare per mantenere i tre figli. Tanto trova conferma nella
circostanza che, dopo l’arresto del Bellocco, aveva chiesto al giudice di gestire
l’attività commerciale.
Quanto alle esigenze cautelari si rappresenta che, trattandosi di incensurata,
la stessa ben potrebbe ottenere la sospensione condizionale della pena. In ogni
caso le esigenze possono essere adeguatamente tutelate con la misura degli
arresti domiciliari, anche tenuto conto delle necessità di cura dei figli minori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato.
Il delitto di cui al primo comma all’art. 12-quinquies d.l. 8 giugno 1992 n.
306 è una fattispecie a forma libera, che si concretizza nell’attribuzione fittizia
della titolarità o disponibilità di denaro o di qualsiasi altro bene o utilità,
realizzata con qualunque modalità al fine di eludere specifiche disposizioni di
legge. La condotta vietata consiste nella creazione di una situazione di
apparenza formale della titolarità di un bene, difforme dalla realtà sostanziale, e
nel mantenimento consapevole e volontario di tale situazione.
Tenuto conto della ratio, delle finalità e della struttura della disposizione, è
possibile affermare che colui che si rende fittiziamente titolare di denaro, beni o
utilità, al fine di eludere le norme in materia di misure di prevenzione

I

patrimoniale o di contrabbando, o di agevolare la commissione dei reati di
ricettazione, riciclaggio o impiego di beni di provenienza illecita, risponde, a titolo
di concorso, del medesimo reato ascritto a colui che ha operato la fittizia
attribuzione in presenza di un consapevole e volontario contributo causalmente
rilevante alla lesione dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice. (Sez. 2,
n. 38733 del 09/07/2004 – dep. 04/10/2004, Casillo, rv. 230109; Sez. 1, n.
14626 del 10/02/2005 – dep. 19/04/2005, Pavanati, rv. 231379; Sez. 1, n.
30165 del 26/04/2007 – dep. 24/07/2007, Di Cataldo, rv. 237595).

profilo soggettivo (dolo specifico) della figura delittuosa, intesa ad eludere come già sopra detto – le misure di prevenzione patrimoniale o di contrabbando
ovvero ad agevolare la commissione di reati che reprimono fatti connessi alla
circolazione di mezzi economici di illecita provenienza.
Nella specie, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una
coerente analisi critica degli elementi indizianti e sulla loro coordinazione in un
organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata
plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della
gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato
grado di probabilità, rispetto al tema di indagine.
Il tribunale, premesso il contesto ambientale nel quale si inserisce la vicenda
in esame ed, in particolare, l’attuale operatività della cosca Bellocco anche nel
territorio di San Ferdinando alla quale partecipavano più componenti della
famiglia Bellocco di San Ferdinando, tra i quali Domenico cl. ’81, ha dato atto
che gli indizi in ordine al reato contestato all’indagata erano tratti dal contenuto
delle conversazioni tra la donna e Bellocco Domenico, che le aveva intestato
l’attività di bar denominata “Blu Marine”, nonché, dalla documentazione acquisita
relativamente a detto esercizio commerciale. Il Bellocco si era attivato per
riaprire il bar – già precedentemente sequestrato – attraverso la intestazione
dell’attività all’indagata.
Quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico, il tribunale ha evidenziato
che nel corso dell’interrogatorio di garanzia la donna aveva dichiarato di essere a
conoscenza che il Bellocco era sottoposto a misura di prevenzione e di sapere
che la madre del predetto, Spanò Aurora, era detenuta in carcere. Inoltre, dagli
sms intercettati il 30.1.2013 si desume che la donna era consapevole della
necessità che l’attività fosse intestata a persone diverse dai familiari del Bellocco.
La ricorrente, pertanto, si limita a ribadire le doglianze che sono state
compiutamente esaminate dal giudice del riesame.
Non sono fondate le censure relative alla valutazione della sussistenza delle
esigenze cautelari e la necessità dell’applicazione della misura di massimo rigore

3

Il disvalore della condotta è dato, poi, dalle finalità che costituiscono il

che è stata ancorata alla dimostrata incondizionata disponibilità offerta ai
componenti della cosca dall’indagata anche dopo il fermo del compagno.
Al rigetto del ricorso consegue per legge la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94,
comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen..

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma
cod. proc. pen..

Così deciso, il 18 febbraio 2014.

1 ter, disp. att.

P.Q.M.

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