Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2331 del 15/01/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 2331 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: LANZA LUIGI

SENTENZA
decidendo sul ricorso proposto da Sangrigoli Gaetano, nato il giorno 12 aprile
1958, avverso l’ordinanza di archiviazione emessa in data 12 marzo 2012 dal GIP
presso il Tribunale di Udine, nel procedimento contro ignoti in relazione al reato di
cui all’art. 328 comma 2 cod. pen. .
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Viste le richieste del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore
Generale Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Sangrigoli Gaetano, ricorre, a mezzo del suo difensore,
l’ordinanza di archiviazione emessa in data 12/3/2012 dal G.I.P.

avverso
presso il

Tribunale di Udine, nel procedimento contro ignoti, componenti il Consiglio

Data Udienza: 15/01/2014

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dell’ordine degli avvocati di Udine in relazione al delitto ex art. 328 comma 2
cod. pen.
2. Il G.I.P. nell’ordinanza di archiviazione ha testualmente rilevato che
non si sono evidenziati elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio,
considerato:

prova che i pubblici ufliciali o incaricati di pubblico servizio, nella specie i
componenti del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Udine, abbiano posto in
essere un’omissione intenzionale e non invece riconducibile a fattori non
direttamente ascrivibili alla volontà dei soggetti quali disservizi. errori sovraccarico
di lavoro e simili (nel caso in esame errato inserimento dell’istanza in altro
fascicolo);
b) che neppure risulta che l’opponente abbia provveduto ad apposita diffida
q

ad adempiere nei confronti dell’organo, consistente in un atto specifico ed ulteriore
rispetto alla mera richiesta di adozione di un determinato provvedimento, nel caso
in esame rappresentato dalla revoca della sospensione cautelare dall’esercizio della
professione forense, ripetutamente richiesta dall’opponente con esito sfavorevole;
c) che natura ed effetti della suddetta diffida non possono attribuirsi ad atto
del tutto autonomo

quale l’istanza di ricusazione di taluni componenti del
/
M
Consiglio dell’Ordine, successivamente presentata dal Sangrigoli;
d) che tale manchevole quadro probatorio non potrebbe realisticamente
modificarsi con ulteriori indagini in sede di giudizio, data la natura eminentemente
documentale della vicenda.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il ricorso si prospetta violazione di legge in relazione agli artt. 406
comma 6, 127 comma 5 c.p.p. e 111 Cost., per mancato rispetto del
contraddittorio, in ragione dell’omessa considerazione dei contenuti dell’atto di
opposizione e della conseguente mancata risposta in ordine ad essi.
2.

Il Procuratore generale con la sua requisitoria ha sostenuto

l’inammissibilità dell’impugnazione con la premessa che, in conformità al dato
testuale di cui all’art. 409 co. 6 c.p.p. ed alla costante interpretazione datane dalla
giurisprudenza di legittimità, il ricorso per Cassazione avverso il provvedimento di

a) che il reato di omissione di atti ufficio non sussiste allorché difetti la

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archiviazione, emesso all’esito dell’udienza camerale conseguente ad opposizione,
è consentito solo per motivi concernenti la violazione del contraddittorio ex art.
127 comma 5 c.p.p.: non per vizi di motivazione ovvero per “errores in iudicando
fondati su una diversa interpretazione della legge sostanziale, o, ancora, per
violazioni di legge che non comportino comunque violazione del contraddittorio

giugno 2008. in proc. Pregadio; Cass. Pen. Sez. 1. 7 febbraio 2006. in proc.
Laurino;: Cass. Pen. Sez. 6. 5 dicembre 2002 in proc. Mione).
3. Rileva ancora il Procuratore generale:
a) che, nella specie, a seguito dell’opposizione della persona offesa il G.I.P.
ha fissato la camera di consiglio dandone rituale avviso alle parti;
b) che l’udienza si è svolta con la partecipazione del Sangrigoli e del suo
difensore, i quali hanno in detta sede potuto sottoporre al giudice ed argomentare
le proprie ragioni difensive;
c) che l’ordinanza di archiviazione è stata emessa all’esito di tale rituale
contraddittorio;
d) che, in tale quadro, il ricorrente prospetta violazione del contraddittorio
sostanziale, per mancata pronuncia da parte del G.I.P. in ordine alle questioni di
cui all’atto di opposizione, richiamando non pertinenti pronunce della Suprema
Corte, in quanto emesse con riferimento al procedimento innanzi al giudice di
pace, in cui il contraddittorio camerale tra le parti non è previsto ed il rispetto del
principio del contraddittorio può e deve apprezzarsi solo con riferimento al dato
cartolare;
e) che, in ogni caso, ove vi sia stata invece celebrazione della camera di
consiglio, come nella vicenda, la sede elettiva del contraddittorio va individuata
nell’udienza, di cui il provvedimento finale compendia il risultato.
4. Il Procuratore generale infine, ipotizza pure che, pur nella ritenuta
estensibilità dei principi elaborati con riferimento al procedimento innanzi al giudice
di pace ed al contraddittorio sostanziale, all’ordinanza di archiviazione emessa
invece all’esito della camera di consiglio, resterebbe comunque la manifesta
infondatezza delle censure del ricorso considerato che in concreto il G.I.P. ha

(cfr. Cass. Pen. Sez. 2. 27 settembre 2012, in proc. Nicastro; Cass. Pen. Sez. 4. 8

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preso cognizione e motivato in ordine ai punti essenziali delle questioni
sottopostegli.
5. Ritiene la Corte che le osservazioni critiche del Procuratore generale,
puntuali e corrette, siano pienamente condivisibili, con conseguente conforme
pronuncia di inammissibilità del ricorso.

cui all’art. 328, comma secondo, cod. pen. assume la natura e la funzione tipica
della diffida ad adempiere, dovendo la stessa essere rivolta a sollecitare il
compimento dell’atto o l’esposizione delle ragioni che lo impediscono. Ne consegue
che il reato si consuma quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso il
termine di trenta giorni senza che l’atto richiesto sia stato compiuto, o senza che il
mancato compimento sia stato giustificato.
Pertanto il reato non sussiste in presenza di «mere ripetute richieste di
revoca della sospensione cautelare dall’esercizio della professione forense» prive di
formali diffide ad adempiere rivolte al pubblico ufficiale (cfr. in termini: cass. pen.
sez. 6, 40008/2010 Rv. 248531).
6. Invero, nel provvedimento impugnato, non solo risulta l’insussistenza di
elementi indicativi di una omessa pronuncia intenzionale (e non piuttosto dovuta a
disservizi, errori, sovraccarico, ecc.) ma viene posto proprio l’accento sulla palese
infondatezza della notizia di reato, tenuto conto che, con riferimento alla ipotizzata
fattispecie di cui all’art. 328 co. 2 c.p., l’ordinanza ha correttamente individuato la
mancata presentazione della diffida ad adempiere, quale elemento essenziale del
reato prospettato, costituito appunto da un atto specifico ed ulteriore rispetto alla
mera richiesta, anche reiterata, di adozione del provvedimento stesso.
7. Bene pertanto il G.I.P. -come osservato dal Procuratore generale- ha
considerato tale elemento essenziale della fattispecie, valevole di per sé a palesare
l’inutilità delle ulteriori sollecitate indagini, vertenti su profili diversi e, a tal punto,
ininfluenti, rispetto al configurarsi del reato (profili inerenti l’elemento soggettivo
del delitto di cui si chiedeva l’approfondimento, in particolare mediante
l’identificazione del consigliere relatore e la sua audizione).
Tanto premesso non resta che concludere in adesione alle articolate
argomentazioni del Procuratore generale sulla superfluità dello sviluppo di

Infatti in tema di omissione o rifiuto di atti d’ufficio, la richiesta scritta di

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specifiche argomentazioni in ordine alle “indagini sollecitate”, senza che possa per
tal ragione ritenersi realizzata una violazione del contraddittorio sostanziale, attesa
l’insindacabilità dei contenuti di merito e delle ragioni in diritto della motivazione,
anche sul punto decisivo della carenza dei requisiti idonei a qualificare gli atti di
sollecito come “diffida ad adempiere”.

Alla decisa inammissibilità consegue, ex art. 616 C.P.P., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della
Cassa delle ammende, che si stima equo determinare in C. 1000,00 (mille).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C. 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Cosi deciso in Roma il giorno 15 gennaio 2014
Il consigliere estensore
Luigi La-hza
I Presid
Nicola

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

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