Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2331 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2331 Anno 2016
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Laudicina Pietro, nato a Marsala (TP), il 30/05/1957

avverso la sentenza del 3/11/2014 della Corte di Appello di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Gabriele Mazzotta,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 12/11/2015

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza del 25/02/2013
pronunciata dal Tribunale di Marsala in composizione monocratica, con cui veniva affermata la
penale responsabilità del Laudicina Pietro per i delitti di cui: agli artt. 99, comma 2, n. 1, 640 c.p. —
per aver presentato falsa documentazione, apparentemente intestata a Trapani Antonino, a Di
Girolamo Francesco inducendolo in errore circa la propria identità e solvibilità, ed in tal modo
conseguendo l’ingiusto profitto derivante dall’acquisto di due televisori con corrispondente danno
per il Di Girolamo -; agli artt. 61, n. 2, 494 c.p. – perché, al fine di eseguire il delitto di truffa, si

di eseguire il delitto di truffa, formava e faceva uso di una busta paga falsa intestata a Trapani
Antonino – ; agli artt. 61 n. 2, 81 cpv., 482, 477 c.p. — perché, al fine di commettere il delitto di
truffa, contraffaceva o alterava la patente di guida a lui intestata apponendovi i dati anagrafici di
Trapani Antonino, in Marsala, il 27/10/2010 — condannando lo stesso a pena di giustizia.

1.Con ricorso depositato il 18/12/2014, il difensore del ricorrente, Avv.to Stefano Pellegrino, chiede
l’applicazione della disciplina del reato continuato in relazione ai fatti di cui alla sentenza emessa
dal Tribunale di Trapani in composizione monocratica in data 20/02/2013, riformata dalla Corte di
Appello di Palermo in relazione al solo trattamento sanzionatorio, irrevocabile 1’11/11/2014, con
cui il ricorrente è stato condannato per il delitto di cui agli artt. 81 cpv., 640, 648, 61 n. 2, c.p.,
commesso in Custonaci il 17/0272009 e 1’11/03/2009. Rileva il difensore che sussiste l’identità del
disegno criminoso per le connessioni soggettive ed oggettive e per il ristretto intervallo temporale
tra le due vicende, essendo possibile l’applicazione della continuazione in sede di legittimità
qualora venga allegata una sentenza divenuta irrevocabile dopo la pronuncia della decisione
impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Come noto le Sezioni Unite, con sentenza n.1 del 19/01/2000, Rv. 216238, hanno affermato il
principio secondo il quale sussiste l’interesse dell’imputato al ricorso per cassazione qualora il
ricorrente avesse formulato specifico motivo di gravame sulla mancata applicazione della
continuazione ed il giudice di appello avesse omesso di pronunciarsi. Ciò in quanto “il giudice
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attribuiva la falsa identità di Trapani Antonino -; agli artt. 61 n. 2, 81 cpv., 485 c.p. — perché, al fine

dell’impugnazione ha l’obbligo di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli, per l’evidente
ragione che al principio devolutivo è coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di
esaminare e decidere sulle richieste dell’impugnante: sicché, stante la correlazione tra motivi di
impugnazione e ambito della cognizione e della decisione, non è ammissibile che il giudice possa
esimersi da tale compito, riservandone la soluzione al giudice dell’esecuzione e possa, così,
sovrapporre all’iniziativa rimessa al potere dispositivo della parte la propria valutazione circa

Le Sezioni Unite avevano osservato come sul punto sussistesse un contrasto giurisprudenziale tra
un primo orientamento – che esclude l’interesse all’impugnazione in caso di omesso esame della
richiesta di continuazione, dal momento che l’art. 671 c.p.p. offre all’interessato la facoltà di
richiedere l’applicazione della disciplina del reato continuato al giudice dell”esecuzione (Cass.,
Sez. V, 17 febbraio 1992, Morresi; Cass., Sez. II, 7 novembre 1990, Breccoletti; Cass., Sez. V, 2
marzo 1990, Achilli), – ed un opposto orientamento – secondo cui la possibilità di chiedere
l’applicazione della continuazione in sede esecutiva non incide sull’interesse dell’imputato a
chiederne, invece, l’applicazione al giudice della cognizione, con la conseguente facoltà, in ipotesi
di provvedimento sfavorevole, di adìre il giudice dell’impugnazione al fine di ottenere il
riconoscimento della disciplina del reato continuato (Cass., Sez. V, 21 ottobre 1992, Basso; Cass.,
Sez. III, 3 marzo 1992, Circello; Cass., Sez. I, 10 febbraio 1992, D’Alessandro; Cass., Sez. II, 2
dicembre 1991, Traditi; Cass., Sez. III, 17 aprile 1994, Alessandrini — ritenendo di aderire alla
seconda linea interpretativa.
Tuttavia va specificato come la suddetta pronuncia fosse partita dalla considerazione dei casi in cui
il giudice della cognizione avesse omesso di pronunciare sulla richiesta di continuazione formulata
dal ricorrente che, conseguentemente, aveva fatto valere con ricorso per cassazione detta omissione;
in presenza di detta situazione, quindi, le successive pronunce di questa Corte concordemente
ritengono che qualora il giudice di appello abbia omesso di provvedere sulla richiesta di
applicazione della continuazione, formulata con specifico motivo di impugnazione, sussista
indiscutibilmente l’interesse dell’imputato al ricorso per cassazione in ordine alla mancata
pronuncia sul punto, non potendo il giudice di appello esimersi da tale compito, riservandone la
soluzione al giudice dell’esecuzione (Sezione V, sentenza n. 3867 del 7/10/2014, Rv.262679).
Nel caso di specie, al contrario, è stato richiesto, con unico motivo, l’applicazione della
continuazione per la prima volta direttamente con ricorso per cassazione, tra il reato per il quale si
procede ed altro reato per il quale è intervenuta una sentenza definitiva di condanna in epoca
successiva alla pronuncia della sentenza oggetto di ricorso.
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l’opportunità di esaminare, o non, l’istanza dell’impugnante”.

Benché sia stato affermato che la continuazione possa essere richiesta per la prima volta in sede di
legittimità, qualora solo dopo la pronuncia della sentenza impugnata sia passata in giudicato la
sentenza relativa al reato per il quale si richiede la continuazione medesima (Sezione IV, sentenza
n. 49810 del 16/10/2012, Rv. 254091), va osservato che, nel caso esaminato dalla IV Sezione di
questa Corte, la Corte di Appello aveva rigettato il motivo di gravame basato sull’applicazione del
principio del ne bis in idem, di cui all’ad, 649 c.p.p., tra il fatto di cui alla sentenza oggetto del
ricorso ed altro fatto, oggetto di sentenza che, all’epoca in cui si era svolto il giudizio di appello,

esame dalle due sentenze, aveva ritenuto che non ricorressero gli estremi per applicare l’art. 649
c.p.p., osservando, al contrario, che avrebbero potuto sussistere gli estremi per l’applicazione della
continuazione, cosa che, tuttavia, non era in quella sede possibile in quanto le sentenze non erano
ancora divenute irrevocabili; la Cassazione, quindi, sulla scorta della produzione documentale del
ricorrente – che aveva dimostrato come nelle more la sentenza posta a fondamento del motivo di
gravame con cui era stato richiesta l’applicazione dell’art. 649 c.p.p. fosse divenuta irrevocabile aveva valutato la sussistenza degli estremi per l’applicazione della continuazione tra il fatto di cui
alla sentenza oggetto del ricorso per cassazione ed il fatto di cui alla sentenza nelle more divenuta
irrevocabile.
Ne discende quindi che in realtà, anche nel caso esaminato dalla sentenza della IV Sezione di questa
Corte, vi fosse, a monte dell’applicazione in sede di giudizio di legittimità dell’istituto della
continuazione, uno specifico motivo di gravame esaminato dalla Corte territoriale, la cui pronuncia
aveva costituito oggetto di ricorso per cassazione.
Nel caso che occupa, al contrario, la questione non risulta essere mai stata posta all’attenzione del
giudice di appello, in quanto con il ricorso ci si limita a chiedere, per la prima volta, l’applicazione
dell’istituto della continuazione direttamente in sede di legittimità, ed il ricorso per cassazione si
fonda unicamente su detto motivo, adducendo la circostanza che solo dopo la pronuncia della
sentenza impugnata fosse divenuta irrevocabile la sentenza relativa al reato per il quale si chiede la
continuazione.
In realtà subito dopo l’entrata in vigore dell’attuale codice di rito questa Corte aveva affermato il
principio secondo il quale è improponibile davanti alla Corte di Cassazione la richiesta di
applicazione della continuazione tra il reato ancora sub judice ed altro reato, per il quale sia
intervenuta condanna definitiva successivamente alla pronuncia della sentenza gravata di ricorso,
rimanendo aperta, in tale eventualità, soltanto la possibilità che la continuazione venga applicata in
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non era ancora divenuta irrevocabile; la Corte territoriale, considerata la diversità tra i fatti presi in

sede esecutiva, ai sensi dell’art. 671 c.p.p.; ciò era stato affermato dalla Sez. V, sentenza n. 4855
del 2/3/1990, Rv. 183942, poi ribadito dalla Sez. VI, sentenza n. 4425 del 12/10/2004, Rv. 230564,
ed ancora dalla Sezione V, sentenza n. 5236 del 22/11/2013, Rv. 258880, nonché, da ultimo, dalla
Sezione II, sentenza n. 31974 del 2/07/2015, Rv. 264180.
Il mutamento di orientamento da parte di questa Corte, ampiamente descritto ed analizzato con la
sentenza della II sezione, n. 31974 da ultimo citata, discende dal fatto che nella vigenza del codice

potesse essere proposta per la prima volta col ricorso per cassazione, facendosi eccezione al
principio devolutivo solo quando, per ragioni obiettive, non fosse stato possibile proporre la
questione davanti al giudice di merito, in primo grado o in appello (Sezioni Unite del 21/4/1979,
Pelosi). Con l’entrata in vigore del nuovo codice di rito la Sez. V, con la sentenza n. 4855 del
2/3/1990, in precedenza citata, ha sottolineato che, mancando in precedenza una espressa
disposizione di legge, si doveva pur percorrere una strada che non vanificasse il diritto
dell’imputato a fruire del trattamento sanzionatorio complessivamente più favorevole previsto
dall’art. 81 c.p.; oggi, al contrario – proseguiva quella decisione – vi è l’altra esigenza di rispetto del
principio della celerità del procedimento, assunta a cardine del nostro sistema processuale con
l’operata ratifica della CEDU.
Attualmente, prosegue la sentenza n. 31974 della II sezione, un annullamento con rinvio di una
sentenza che al momento della pronunzia non presentava pecche di sorta confliggerebbe anche col
principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 della Costituzione, mentre sarebbe
un’evidente forzatura la pronuncia di una decisione sostanzialmente di merito da parte della Corte
di Cassazione. Per altro verso, l’art. 619, comma 2, c.p.p. non sembra potersi dilatare nel suo
contenuto fino a comprendere la determinazione di una pena del tutto nuova ed in virtù di un
giudizio discrezionale, senza considerare che in tal modo detta lettura della norma potrebbe anche
ridondare a danno dell’interessato, privato di un grado di giurisdizione.
La natura pacificamente sussidiaria della disciplina prevista dall’art. 671 c.p.p., in definitiva,
implica soltanto che gli istituti della continuazione e del concorso formale di reati debbano trovare
applicazione quando, per qualsiasi ragione, il giudice del merito non si sia pronunciato, ma ciò non
significa affatto che una decisione di questo tipo si possa richiedere per la prima volta anche in
cassazione.

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di rito del 1930 si riteneva, da un lato, che la richiesta di applicazione della continuazione non


Sulla scorta, quindi, dei principi pacificamente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, va
dichiarata l’inammissibilità del ricorso, da cui discende la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed

Così deciso in Roma, il 12/11/2015

Il Consigliere estensore

Il Presi1ente

alla somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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