Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23307 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 23307 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARBATO PASQUALE, nato il 03/05/1985
avverso il decreto n. 154/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI del
14/03/2012;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Angela Tardio;
lette le conclusioni del Procuratore Generale Dott. Antonio
Gialanella, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, con
ogni statuizione consequenziale ex art. 616 cod. proc. pen.

Data Udienza: 13/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto del 25 maggio 2011 il Tribunale di Napoli ha applicato a
Barbato Pasquale la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di anni
tre e mesi sei e con imposizione di una cauzione dell’importo di euro tremila.

decreto di primo grado, ha ridotto ad anni due la durata della misura di
prevenzione applicata all’appellante.
La Corte, che condivideva il giudizio di pericolosità sociale del sottoposto,
espresso dal Tribunale sulla base della complessiva documentazione acquisita
agli atti e delle vicende salienti della biografia criminale del medesimo, espresse
dalle azioni poste in essere nel corso degli anni, rilevava la presenza di elementi
che deponevano per un percorso risocializzante, tratti dalla documentazione
prodotta dalla difesa (relativa all’apertura di un esercizio di vendita di generi
alimentari il 10 giugno 2005, all’assunzione del sottoposto presso il “bar del
Corso” dal 15 marzo 2009 e alla sua frequenza di un centro di formazione) e
dall’ampliamento dell’orario di lavoro disposto con decreto del 2 febbraio 2012
del Tribunale di Napoli.
I dati emersi evidenziavano un’attenuazione della pericolosità sociale e
consentivano di accogliere la richiesta subordinata di riduzione della durata della
misura, fermi restando l’obbligo di soggiorno e l’imposizione di cauzione,
finalizzati a un “adeguato monitoraggio della complessiva condotta tenuta dal
sottoposto”.

3. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione per mezzo del
suo difensore Barbato Pasquale, che ne chiede l’annullamento sulla base di tre
motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione degli
artt. 1 e 2 legge n. 1423 del 1956 e mancanza e/o apparenza di motivazione in
ordine sia alla ritenuta sussistenza dei presupposti indicati da dette norme sia
alla configurabilità, nei suoi confronti, di una pericolosità concreta e attuale.
Secondo il ricorrente, il decreto impugnato non ha risposto in maniera
adeguata alle ragioni difensive prospettate nel ricorso in appello avverso il
decreto di primo grado, poiché non ha considerato l’irrilevanza dell’addebito di
delitti da lui consumati quando era minorenne; ha omesso di tenere conto della

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2. Il 14 marzo 2012 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma del

risalenza nel tempo della condanna per associazione finalizzata alla commissione
di plurime rapine e del giudizio positivo espresso dall’organo giudicante, in sede
di determinazione del trattamento sanzionatorio, con la concessione delle
circostanze attenuanti generiche; non ha offerto argomentazioni di segno
contrario rispetto alle doglianze riferite ai controlli con i pregiudicati, e non ha
motivato in merito ai caratteri di concretezza e attualità della presunta
pericolosità sociale.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in

alla richiesta di revoca dell’obbligo di soggiorno, per avere la Corte di merito
omesso di dare una spiegazione circa la congruità della entità della misura e di
indicare le ragioni per le quali gli innumerevoli elementi offerti non erano
ritenuti idonei a giustificare la non irrogazione dell’obbligo di soggiorno.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge con
riguardo all’art. 3-bis legge n. 1423 del 1956 e mancanza di motivazione circa la
richiesta difensiva di revoca della irrogata cauzione, per non avere la Corte di
merito tenuto conto delle sue condizioni economiche e spiegato le ragioni della
permanenza della disposta cauzione, pur a fronte di un suo riconosciuto percorso
risocializzante.

4. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato articolata
requisitoria scritta, concludendo per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va fatta, innanzitutto, una premessa di carattere generale con riferimento
all’ambito del controllo riservato a questa Corte in materia di misure di
prevenzione.
1.1. Si rileva, al riguardo, che l’art. 4, comma 11, legge n. 1423 del 1956,
recante “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la
sicurezza [e per la moralità pubblica]’, limita alla sola violazione di legge il

ricorso contro il decreto della corte di appello.
Nel concetto di violazione di legge, come indicato negli artt. 111 Cost. e
606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di
motivazione e la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto
correlata alla inosservanza da parte del giudice di merito dell’obbligo, previsto
dall’art. 4 legge n. 1423 del 1956, di provvedere con decreto motivato (tra le
altre, Sez. 6, n. 15107 del 17/12/2003, dep. 30/03/2004, Criaco, Rv. 229305;
Sez. 6 n. 35044 del 08/03/2007, dep. 18/09/2007, Bruno, Rv. 237277; Sez. 5,

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relazione all’art. 3 legge n. 1423 del 1956 e mancanza di motivazione in ordine

n. 19598 del 08/04/2010, dep. 24/05/2010, Palermo, Rv. 247514), mentre non
vi rientra il vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione, suscettibile di denuncia nel giudizio di legittimità soltanto
attraverso lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, comma 1,
lett. e), cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 6, n. 21250 del 04/06/2003, P.M. in
proc. De Palo, Rv. 225578; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, dep. 13/02/2004,
P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. 5 n. 25621 del 23/05/2006,
dep. 24/07/2006, Copelli e altro, Rv. 234523).

parametri costituzionali, come affermato dalla Corte costituzionale, con sentenza
n. 321 del 2004, nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 11,
legge n. 1423 del 1956, promosso da questa Corte con ordinanza del 26
novembre 2003.
La Corte costituzionale con detta sentenza, nel dichiarare non fondata la
questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli artt. 3 e 24
Cost., ha, in particolare, rilevato che il presupposto interpretativo secondo cui la
suddetta norma, limitando alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto
della corte di appello che ha applicato la misura di sicurezza della sorveglianza
speciale, esclude la sua ricorribilità in cassazione per vizio di manifesta illogicità
della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non
si traduce nella violazione delle norme costituzionali invocate, posto che il
procedimento di prevenzione, il processo penale e il procedimento per
l’applicazione delle misure di sicurezza sono dotati di proprie peculiarità sia sul
terreno processuale sia nei presupposti sostanziali e non sono, quindi,
comparabili, e le forme di esercizio del diritto di difesa possono essere
diversamente modulate in relazione alle caratteristiche di ciascun procedimento,
quando di tale diritto sono comunque assicurati lo scopo e la funzione, con la
conseguenza che i vizi della motivazione possono essere variamente considerati
a seconda del tipo di decisione cui ineriscono.
L’indicata coerenza dell’art. 4, comma 11, legge n. 1423 del 1956 con i
parametri costituzionali ha trovato ulteriore conferma, anche alla luce del nuovo
testo dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. come modificato con la
legge n. 46 del 2006, nel successivo, più recente, intervento della Corte
costituzionale, che, con sent. n. 80 del 2011, ha, tra l’altro, rimarcato in parte
motiva che nel procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione il ricorso
per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, “il che significa, per
consolidata giurisprudenza, che la deducibilità del vizio di motivazione resta
circoscritta ai soli casi di motivazione inesistente o meramente apparente,

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1.2. Tali principi, che il Collegio condivide e riafferma, sono coerenti con i

qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato
imposto al giudice di appello” dalla indicata norma.
1.3. Tanto premesso in ordine all’ambito del controllo riservato a questa
Corte, va anche rilevato che la pericolosità per la pubblica sicurezza, quale
condizione per l’applicazione della misura di prevenzione, in particolare ai sensi
dell’art. 1 legge n. 1423 del 1956, deve essere desunta in capo al sottoposto da
fatti e comportamenti, che, pregressi rispetto al momento valutativo e accertati
al momento dell’applicazione della misura (tra le altre, Sez. 1, n. 4952 del

17/03/2000, dep. 06/04/2000, Cannella, Rv. 215833 Sez. 5, n. 34150 del
22/09/2006, dep. 12/10/2006, Commisso, Rv. 235203; Sez. 1, n. 17932 del
10/03/2010, dep. 11/05/2010, De Carlo, Rv. 247052), siano sintomatici o
rivelatori della condotta antisociale del medesimo, che imponga una particolare
vigilanza (Sez. 1, n. 3866 del 21/10/1991, dep. 11/11/1991, Bonura, Rv.
188804), e da accertare in modo tale da escludere valutazioni meramente
soggettive da parte dell’autorità proponente, il cui giudizio può basarsi anche su
elementi che giustifichino sospetti o presunzioni, purché obiettivamente
accertati, come i precedenti penali, l’esistenza di recenti denunzie per gravi reati,
il tenore di vita, l’abituale compagnia di pregiudicati e di soggetti sottoposti a
misure di prevenzione, e altri dati oggettivamente contrastanti con la sicurezza
pubblica, in modo che risulti esaminata globalmente l’intera personalità del
soggetto come risultante da tutte le manifestazioni sociali della sua vita (Sez. 5,
n. 6794 del 14/12/1998, dep. 25/01/1999, P.M. in proc. Musso e altri, Rv.
212209).

2. L’esame del primo motivo del ricorso deve, quindi, procedere avendo
riguardo all’indicato ambito del controllo riservato a questa Corte, ai predetti
condivisi principi, agli elementi – come sintetizzati nella parte espositiva – ritenuti
nel decreto della Corte di appello tali da confermare il decreto di primo grado e ai
rilievi – pure già sintetizzati – espressi dal ricorrente.
2.1. La Corte di appello, nell’affrontare il tema specifico oggetto di censura
da parte dell’appellante, ha ritenuto, esprimendo logicamente i passaggi
motivazionali, che assumevano valore dimostrativo della pericolosità del
medesimo le vicende che avevano connotato la sua biografia criminale,
cadenzata dalla commissione di vari reati, che, già illustrati, a fondamento del
complessivo giudizio espresso, dal Tribunale, e richiamati specificamente, ne
rappresentavano l’allarmante personalità.
L’analisi svolta in continuità argomentativa con il decreto di primo grado ha
riguardato anche gli esiti dei controlli del sottoposto con pregiudicati ripetuti nel

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31/10/1994, dep. 17/01/1995, Zullo, Rv. 200325; Sez. 5, n. 1520 del

corso degli anni e ha dato conto, sottolineando il carattere processualmente
significativo dei dati acquisiti, della continuativa condotta illecita tenuta dal
medesimo, ritenuta ragionevolmente dimostrativa della sussistenza di elementi
sufficienti ai fini della conferma della misura applicata.
2.2. La motivazione, condotta nel quadro di principi normativi esattamente
interpretati e correttamente applicati, in un contesto fattuale non pretermesso
né sottovalutato, non rientra nel parametro dell’assoluta mancanza o
dell’apparenza che solo giustificherebbe la violazione di legge, riconducendosi,

presupposto della concretezza e dell’attualità della pericolosità, reiterative dei
rilievi opposti con il ricorso in appello e solo formalmente evocative di violazione
di legge e di motivazione apparente, a doglianze attinenti alla logicità della
motivazione e al merito delle valutazioni – cui sono contrapposti alternativi
apprezzamenti – non consentite per legge nei confronti del decreto in esame.
2.3. Il primo motivo deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

3. Inammissibili sono anche il secondo e il terzo motivo che censurano,
rispettivamente, l’omessa revoca dell’obbligo di soggiorno e della imposta
cauzione.
3.1. A fronte, invero, del congruo esame, compiuto dal decreto impugnato,
della documentazione prodotta in primo grado dalla difesa, non concretamente
valutata dal Tribunale, e degli ulteriori elementi fattuali documentati nel giudizio
di appello, logicamente e coerentemente posti a fondamento della ritenuta
attenuazione della pericolosità sociale del sottoposto e della riduzione della
durata della misura, nonché del condiviso giudizio della tipologia della misura
applicata, nella ridotta durata temporale, e della entità della cauzione, in vista di
adeguato monitoraggio della condotta complessiva del medesimo, le osservazioni
e deduzioni difensive si pongono come censure di merito volte a contestare un
non illogico giudizio di fatto e a opporre una generica alternativa lettura delle
emergenze processuali.
3.2. La censura svolta con il terzo motivo è, tuttavia, inammissibile anche
per ulteriore e assorbente ragione, poiché, come correttamente evidenziato nella
sua condivisibile requisitoria scritta dal Procuratore Generale presso questa
Corte, la decisione che dispone la cauzione non è impugnabile, in base al
principio di tassatività di cui all’art. 568, comma 3, cod. proc. pen., per non
essere prevista nei suoi confronti alcuna forma di gravame, né potendo
invocarsi, non vertendosi in materia di libertà personale, l’art. 111 Cost. ovvero
l’art. 568, comma 2, cod. proc. pen., secondo la giurisprudenza consolidata di
questa Corte (tra le altre, Sez. 5, n. 5493 del 08/10/1998, dep. 11/01/1999,

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pertanto, le deduzioni del ricorrente, riferite alla contestata ricorrenza del

Gionta, Rv. 212199; Sez. 5, n. 35363 del 22/09/2006, dep. 23/10/2006,
Chimienti, Rv. 235202; Sez. 2, n. 4834 del 16/01/2013, dep. 30/01/2013, Lo
Russo, Rv. 255200).

4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa d’inammissibilità – al versamento della somma,

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

ritenuta congrua, di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

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