Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 233 del 30/09/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 233 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: LA POSTA LUCIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GIUSTINIANI ROSARIO N. IL 18/08/1958
asigAkt)
avverso l’effilinaftea-n. 5577/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di
TORINO, del 31/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;

Data Udienza: 30/09/2013

RITENUTO IN FATTO

1.

Con il decreto indicato in epigrafe il Presidente del Tribunale di

sorveglianza di Torino dichiarava inammissibile l’istanza volta ad ottenere la
misura alternativa di cui all’art. 47 Ord. Pen., avanzata da Rosario Giustiniani.
In specie, si rilevava che l’istante non aveva dichiarato o eletto domicilio
all’atto della presentazione della richiesta in violazione di quanto previsto, a pena

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il
condannato, a mezzo del difensore, denunciando la violazione di legge ed il vizio
di motivazione in ordine ritenuta violazione dell’art. 677, comma 2 -bis, cod.
proc. pen., atteso che l’indicazione del domicilio era contenuta nell’istanza
presentata dal difensore, confermando quella del procedimento di cognizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte – confermato dalla
pronuncia delle S.U. n. 18775, 17/12/2009, Mammoliti, rv. 246720 – la richiesta
di misura alternativa alla detenzione, ai sensi dell’art. 656, comma sesto, cod.
proc. pen., deve essere corredata, a pena di inammissibilità, anche se presentata
dal difensore, dalla dichiarazione o dalla elezione di domicilio effettuata dal
condannato non detenuto, salvo che per il condannato latitante o irreperibile.
Nella motivazione della richiamata decisione si rileva che «la finalità della
disposizione in esame va individuata in quella di rendere più spedito il
procedimento davanti alla magistratura di sorveglianza, disponendo di un
domicilio certo presso il quale procedere alle notifiche, e di evitare,
conseguentemente, la possibilità di improprie sottrazioni del condannato alla
corretta esecuzione, nelle forme e modalità di legge, delle sentenze di condanna
a pena detentiva».
La suddetta finalità dell’obbligo imposto dall’art. 677 cod. proc. pen., comma

2-bis, ad avviso della Sezioni unite comporta che «la disposizione in esame sia
tassativa (come, peraltro, si evince dal dettato legislativo che prescrive la
indicazione “a pena di inammissibilità”) e che debba, di conseguenza, escludersi
che l’obbligo incombente sul condannato non detenuto possa essere assolto
attraverso il “recupero” di indicazioni equipollenti pur desumibili dagli atti
processuali (quali le mere indicazioni circa il domicilio o la residenza dell’istante),
o che possano considerarsi valide precedenti dichiarazioni o elezioni domicilio che
valide, ai sensi dell’art. 164 c.p.p., per ogni stato e grado del giudizio di
2

di inammissibilità, dall’art. 677, comma 2 -bis, cod. proc. pen..

cognizione, perdono efficacia in relazione al procedimento di esecuzione e di
sorveglianza.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità, al versamento in favore della cassa delle ammende di sanzione
pecuniaria che pare congruo determinare in euro 1.000,00, ai sensi dell’art. 616

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa della
ammende.

Così deciso, il 30 settembre 2013.

cod. proc. pen..

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