Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23263 del 13/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23263 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IAVARONE MARIO N. IL 19/12/1957
avverso il decreto n. 75/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
01/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;
lette/sette le conclusioni del PG Dott.ellteturt,
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Data Udienza: 13/03/2014

Fatto e diritto
Propone ricorso per cassazione gli Iavarone Mario, avverso il decreto della Corte d’appello di
Napoli- sezione misure di prevenzione-, in data 1 marzo 2012 con il quale è stato confermato
quello di primo grado -del 2 febbraio 2011- applicativo della misura di prevenzione della
sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, per anni tre e mesi

insussistenza del requisito della “attualità” della pericolosità, per la risalenza dei fatti-reato
ascrittigli e dello stato detentivo. Inoltre la difesa deduceva anche il fatto che il Gip distrettuale
aveva rigettato una nuova richiesta di misura cautelare nei confronti del ricorrente, ritenendo
non perdurante la sua partecipazione attiva al sodalizio, durante le restrizioni in carcere.
Ciò nonostante, la Corte d’appello ha ritenuto di confermare il provvedimento applicativo della
misura, disposto essenzialmente con riferimento alla appartenenza dello Iavarone, consacrata
in atti giudiziari, al clan dei casalesi, sulla cui attuale vitalità non si nutre dubbio. Il Tribunale
aveva anche acquisito la sentenza pronunciata in esito al giudizio abbreviato e i documenti
attestanti la implicazione del proposto in fatti estremamente gravi commessi fino alla fine degli
anni ’90.
Inoltre la Corte ricorda che il proposto presenta un carico pendente per il reato di
partecipazione ad associazione mafiosa denominata clan dei casalesi, perdurante fino al 2005,
nonché per altro reato aggravato ai sensi dell’articolo 7 legge n. 203 del 1991. In relazione a
tale carico pendente i giudici ricordano che sussisteva una piattaforma indiziaria concernente il
fatto che lo Iavarone aveva percepito , dalla organizzazione criminale, uno stipendio di C 1000,
essendo detenuto.
In ordine alla attualità della pericolosità, la Corte osservava che dal provvedimento cautelare
del Gip distrettuale del 16 settembre 2008, nonostante la decisione di rigetto concernente la
persona del ricorrente , derivavano elementi capaci di attualizzare il giudizio di pericolosità,
quanto meno fino al 2005. La percezione dello stipendio in qualità di affiliato consentiva di
ritenere che egli fosse ancora inserito nello specifico settore criminale in epoca prossima a
quella dell’adozione del provvedimento impugnato . Vi era cioè l’evidenza che, nonostante la
detenzione perdurante dal 1997, il prevenuto percepisse uno stipendio derivante dai profitti dei
reati commessi dall’organizzazione.
Ha dedotto il ricorrente
1) la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 12 legge 1423 del 1956, per
violazione degli articoli 3 e 24 della costituzione. Una incompatibilità già evidenziata dal
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con ordinanza di rimessione alla Corte
costituzionale in data 13 giugno 2012. Si tratta della questione della irragionevole
disparità di trattamento normativo del sottoposto alla misura di prevenzione personale
rispetto alla posizione del soggetto sottoposto a misura di sicurezza non detentiva, per
la quale soltanto, articolo 679 c.p. p. prevede che il requisito della attualità della
pericolosità venga verificato all’atto della esecuzione della misura. Invece, nel caso di
specie, in cui, pure, la misura di prevenzione venga differita all’esito della esecuzione
della pena detentiva, tale attualizzazione ex officio non è prevista;
2) nullità del decreto per violazione degli articoli 1 e seguenti della I. n. 575 del 1965, e il
vizio della motivazione.
Sostiene il ricorrente che la motivazione adottata dalla Corte sul punto della attualità
della pericolosità, sia riduttiva, essendosi limitata a recepire quella del primo giudice,
senza rispondere ai motivi d’appello.
1

sei.
Come si evince dal provvedimento impugnato, lo Iavarone è ristretto in carcere dal 1997 e
l’appello, contro il decreto confermativo della misura di prevenzione, era volto a fare rilevare la

di autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale, non poteva
semplicemente ignorarsi che il Gip del Tribunale di Napoli aveva rigettato la richiesta di
applicazione di misura cautelare nei confronti del proposto per mancanza di gravi indizi
di colpevolezza.
La Corte, dal canto suo, aveva dato uno speciale risalto all’elemento indicativo della
percezione di uno stipendio, proveniente dal clan, fino al 2005, ma aveva del tutto,
così, omesso di valutare l’elemento, invece segnalato dalla difesa, del perdurante stato
detentivo fin dal 1997 e, soprattutto, dell’affermazione del Gip, a proposito dell’assenza
di elementi idonei a sostenere la perdurante partecipazione del proposto all’attività del
sodalizio durante la carcerazione.
Inoltre, nel processo di merito, lo Iavarone non risulta condannato né rinviato a
giudizio.
Il Procuratore Generale ha chiesto sospendersi il giudizio in attesa della decisione della Corte
costituzionale.
Il ricorso va dichiarato infondato.
Sul primo punto deve invero rilevarsi che la questione di legittimità costituzionale è stata
decisa con sentenza n. 291 dell’Il dicembre 2013 che la ha dichiarata fondata.
Ha affermato, cioè, la Corte che è costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3
Cost., l’art. 12 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 nella parte in cui non prevede che, nel
caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello
stato di detenzione per espiazione di pena della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha
adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la persistenza della
pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura.
Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, infatti, le misure d
prevenzione personali possono ritenersi applicabili anche a soggetti ristretti in carcere e, in t
caso, l’esecuzione della misura sarebbe posposta a quella della pena, salva la possibilità per
l’interessato di chiedere la revoca del provvedimento applicativo della misura ai sensi dell’art.
7, comma 2, della legge. n. 1423 del 1956.
Tale disciplina si differenzia da quanto sancisce l’art. 679 c.p.p. per le misure di sicurezza che
prevede una doppia valutazione della pericolosità sociale: prima da parte del giudice della
cognizione, al fine di verificarne la sussistenza al momento della pronuncia della sentenza; poi
del magistrato di sorveglianza, quando la misura già disposta deve avere concretamente inizio,
in modo tale da garantire l’attualità della pericolosità del soggetto colpito dalle restrizioni della
libertà personale connesse alla misura stessa.
In considerazione della comune finalità delle misure di sicurezza e delle misure di prevenzione
– volte entrambe a prevenire la commissione di reati da parte di soggetti socialmente pericolosi
e a favorirne il recupero all’ordinato vivere civile, al punto da poter essere considerate come
due species di un unico genus -, tra i due modelli esaminati – cioè quello delle misure di
sicurezza, che esige la reiterazione della verifica della pericolosità sociale anche al momento
dell’esecuzione, e quello delle misure di prevenzione, che considera sufficiente la verifica
operata in fase applicativa, salva l’eventuale iniziativa dell’interessato intesa a contrastarla l’unico rispondente ai canoni dell’eguaglianza e della ragionevolezza è il primo.
Ciò posto , la richiesta del PG appare superata.
La decisione della Corte costituzionale, d’altra parte, è rilevante soltanto con riferimento al
momento della concreta ( e differita) esecuzione della misura di sicurezza, che è momento
diverso da quello attuale, con riferimento al quale la difesa chiede sia riconosciuta, e sin dalla
fase della disposizione (formale) della misura, la assenza della pericolosità.
2

In particolare, la difesa aveva evidenziato che, a tutto voler concedere anche in punto

Con riferimento a tale fase, ed in replica al secondo motivo di ricorso, si rileva, dunque, che il
vizio di motivazione è dedotto inammissibilmente.
In materia di misure di prevenzione , infatti, è deducibile con ricorso soltanto la violazione di
legge e cioè la motivazione radicalmente assente e non anche quella meramente insufficiente
ovvero quella che si assuma manifestamente illogica.
Nel caso in esame la Corte di appello non è incappata in un vizio totale di motivazione perché
ha affermato la attualità della pericolosità del proposto , al quale la misura è stata irrogata in
relazione alla appartenenza al clan camorristico dei casalesi.
misura cautelare ( poi invece rigettata nei confronti dello Iavarone, per mancanza del
necessario compendio indiziario) evidenziava elementi, al contrario, capaci di sostenere, con la
capacità dimostrativa richiesta per la adozione della misura di prevenzione che non è la stessa
richiesta per la adozione di misure cautelari personali, che anche dopo l’inizio dello stato di
detenzione e dopo ben otto anni ( dal 1997 al 2005) il ricorrente lasciava trasparire segni
tangibili del perdurare della sua appartenenza al clan che infatti lo gratificava di assistenza
economica in carcere.
Vale, cioè, ai fini del decidere, innanzitutto il principio secondo cui in tema di misure di
prevenzione lo stato di detenzione, anche se prolungato nel tempo, non è elemento idoneo ad
escludere la pericolosità sociale, in quanto la rescissione dei legami con la associazione di
appartenenza non è conseguenza diretta dell’allontanamento fisico dai luoghi ove l’attività
dell’associazione si esplica (Sez. 5, Sentenza n. 3811 del 18/09/1997 Cc. (dep. 06/12/1997 )
Rv. 209392).
Aggiunge la giurisprudenza di questa Corte, alla quale ci si allinea condividendola, che ai fini
dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti ad associazioni di tipo
mafioso, non è necessaria, cioè, alcuna particolare motivazione in punto di attuale pericolosità,
una volta che l’appartenenza risulti adeguatamente dimostrata e non sussistono elementi dai
quali ragionevolmente desumere che essa sia venuta meno per effetto del recesso personale,
non essendo in questo senso dirimente né il decorso del tempo né l’eventuale restrizione
carceraria, in presenza della quale, però, il giudice deve specificamente motivare sull’assenza
di comportamenti indicativi di un effettivo recesso ( Sez. 2, Sentenza n. 29478 del 05/07/2013
Cc. (dep. 10/07/2013 ) Rv. 256178; Conformi: N. 3268 del 1993 Rv. 196297, N. 2019 del
1995 Rv. 201459, N. 5760 del 1998 Rv. 212443, N. 499 del 2009 Rv. 242379, N. 3809 del
2013 Rv. 254512).
D’altra parte, a proposito della valenza della decisione del Gip di rigettare la richiesta di misura
cautelare e ( afferma il difensore) di rinviare a giudizio, vale il principio- nella specie osservatoper cui nel procedimento di prevenzione il giudice può utilizzare elementi probatori e indiziari
tratti dai procedimenti penali e procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei fatti ivi
accertati, alla sola condizione che dia atto in motivazione, specie quando essi abbiano dato
luogo ad una pronuncia assolutoria, delle ragioni per cui siano da ritenere sintomatici della
attuale pericolosità del proposto ( Sez. 6, Sentenza n. 4668 del 08/01/2013 Cc. (dep.
30/01/2013 ) Rv. 254417).
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma il 13 marzo 2014
Il Presidente
il Cons. est.

Inoltre la Corte ha affermato che il materiale sottoposto al Gip di Napoli per la adozione di

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