Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23256 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23256 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
De Stasio Vittorio Maria, nato a Milano il 10/07/1959

avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano il 06/03/2013

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile Barclays Bank plc l’Avv. Antonio Golino, il quale ha
concluso per il rigetto del ricorso dell’imputato;
udito per il ricorrente l’Avv. Fabio Spada, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso, e l’annullamento del provvedimento impugnato

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 28/01/2014

1. Con ordinanza dell’08/02/2013, il Tribunale di Milano – su istanza del
Pubblico Ministero e della parte civile Barclays Bank PLC – disponeva il sequestro
conservativo, fino alla concorrenza di 2 milioni di euro, quanto a beni (immobili,
mobili registrati e non, disponibilità in denaro, crediti, partecipazioni societarie,
ecc.) riferibili a Vittorio Maria De Stasio, nei confronti del quale era stata
esercitata l’azione penale per reati ex art. 2635 cod. civ.; il provvedimento, a
seguito di richiesta presentata nell’interesse dell’imputato ai sensi dell’art. 324
cod. proc. pen., veniva confermato dallo stesso Tribunale, quale giudice del

Il collegio, premesso che a seguito dell’intervenuto decreto di rinvio a
giudizio non vi era necessità di estendere l’indagine alla verifica del requisito del
fumus boni iuris,

riteneva sussistere fondato pericolo che i beni di cui al

patrimonio del De Stasio potessero disperdersi, così vanificando le pretese
risarcitorie dello Stato e della parte civile costituita: a tal fine, considerava
significative le dichiarazioni dello stesso imputato, rese in un interrogatorio del
24/04/2012, quando egli aveva «ammesso di avere avuto conti correnti
all’estero, utilizzati per farvi confluire somme di sua esclusiva pertinenza»,
nonché sostenuto «di avere fatto frequente uso di denaro contante, reputando
che era meglio non depositarlo su conti correnti». Precisava poi che, pur
dovendosi convenire con la difesa del De Stasio circa la non sussistenza di
plurimi rapporti bancari in capo a lui, come invece inizialmente rappresentato
dalla parte civile, risultava pacifico che l’imputato avesse taciuto l’esistenza di un
conto (denominato “Calaviste”) su cui era presente una notevole somma;
dall’analisi delle movimentazioni bancarie emergeva quindi come fosse stato il
solo De Stasio ad alimentare conti e depositi, anche se formalmente cointestati
alla di lui moglie, sì da ritenere legittimo il sequestro disposto anche sulla parte
di spettanza del coniuge (dovendosi intendere superata la presunzione di
contitolarità al 50% delle relative somme, prevista dall’art. 1298, comma
secondo, cod. civ.).

2. Propongono ricorso per cassazione i difensori del De Stasio, sviluppando
innanzi tutto una premessa sulle circostanze in cui era intervenuta la primigenia
ordinanza di sequestro conservativo. Per ottenere detto provvedimento, infatti,
la parte civile aveva rappresentato che il periculum in mora doveva intendersi
desumibile dalla ritenuta incapienza del patrimonio dell’imputato (come
ricostruito attraverso un’indagine di una società investigativa privata) rispetto
alle pretese risarcitorie, nonché dalla condotta tenuta dallo stesso odierno
ricorrente; tuttavia, secondo la difesa, la parte civile aveva segnalato dati non
corretti su entrambi i profili.

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riesame, con ordinanza emessa il 06/03/2013.

In ordine al primo punto, era stato infatti indicato come sussistente un
mutuo di circa 600.000,00 euro presso la stessa Barclays Bank PLC (che invece il
De Stasio aveva già estinto) ed offerta, quanto al valore di una proprietà
immobiliare del prevenuto, una stima calcolata sulla base imponibile ICI pari a
poco meno di 250.000,00 euro, quando invece la banca, all’atto dell’erogazione
del mutuo anzidetto, aveva indicato il valore degli stessi beni in circa
1.800.000,00 euro; inoltre, il rapporto di lavoro del De Stasio, successivo al
licenziamento dalla Barclays, era stato erroneamente descritto come a tempo

alla titolarità, da parte dell’imputato, di 32 rapporti bancari con 5 istituti di
credito differenti, circostanza sì evidenziata in una annotazione curata dalla
Guardia di Finanza, ma che la parte civile avrebbe dovuto riportare in termini
ben diversi, atteso che in alcuni di detti rapporti, di natura fiduciaria, il De Stasio
aveva operato per conto della stessa Barclays Bank PLC (effettiva fiduciante), ed
altri erano stati estinti senza alcuna movimentazione: il ricorrente era pertanto
titolare dei soli conti effettivamente evidenziati alla polizia giudiziaria all’atto
della perquisizione subita, ed a nulla poteva rilevare – in ordine all’attualità del
periculum –

il mancato riferimento al conto “Calaviste”, atteso che le somme ivi

depositate erano comunque già state sequestrate da tempo a seguito di
commissione rogatoria in Svizzera.
Esponendo quindi le ragioni di doglianza, i difensori deducono violazione
dell’art. 316 cod. proc. pen., non essendo stati rispettati i requisiti di legge
relativamente al presupposto del periculum in mora.

Riprendendo gli spunti

offerti dall’elaborazione giurisprudenziale degli ultimi anni, la difesa del ricorrente
pone l’accento sulla necessità di distinguere fra la possibilità che il venir meno
della garanzia patrimoniale del debitore derivi da eventi indipendenti dalla
volontà del soggetto (quando le garanzie “manchino”) e quella che l’incapienza
sia invece il frutto di comportamenti addebitabili allo stesso (“si disperdano”),
per quanto non necessariamente fraudolenti.

Ergo, il periculum in mora deve

intendersi sussistente qualora vi sia fondata ragione di ritenere che la garanzia
patrimoniale, effettiva al momento dell’adozione del provvedimento di sequestro,
possa in futuro venir meno, sia per cause dipendenti che indipendenti da
condotte del debitore: tale prognosi negativa deve comunque essere formulata
sulla base di elementi fattuali – da valutare da parte del giudice di merito – quali
l’entità del credito vantato, la natura del bene da apprendere, la composizione
del patrimonio del debitore, il comportamento processuale e non del medesimo;
elementi, questi, che non ricorrerebbero nel caso di specie, dove vengono sì
evocate condotte del De Stasio di apparente significatività ma che in concreto si
dimostrano irrilevanti.

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determinato. Parimenti non rispondente al vero doveva intendersi il riferimento

Le condotte de quibus, esauritesi nella disponibilità da parte dell’imputato di
rapporti bancari all’estero e nella sua frequente movimentazione di denaro in
contanti, afferiscono infatti al passato, ivi compresa l’accensione del ricordato
conto “Calaviste” (risalente al 2006, mentre i fatti addebitati al De Stasio sono
da collocare fra il 2007 e il 2008): tanto più ove si consideri che nel 2009
l’imputato, in base alla legislazione allora approvata in tema di c.d. “scudo
fiscale”, fece rientrare in Italia somme depositate presso la Deutsche Bank,
adottando un contegno in antitesi rispetto alla sua presunta intenzione di

non avrebbe tenuto conto della circostanza che il reddito attualmente percepito
dal ricorrente in virtù del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in essere da
alcuni mesi, consente senz’altro al De Stasio di mantenere inalterate le sue
disponibilità: disponibilità fra le quali non vanno trascurate la somma di poco più
di 500.000,00 euro giacenti sul conto “Calaviste”, già oggetto di sequestro, ed il
credito vantato dall’imputato proprio nei confronti della parte civile, pari a circa
620.000,00 euro, come da sentenza emessa all’esito di un contenzioso
g iuslavoristico.

3. In data 10/01/2014 risultano depositate note di udienza dal difensore
della parte civile Barklays Bank plc, con la quale si contestano le ragioni sottese
al ricorso presentato nell’interesse del De Stasio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile.
Non è possibile infatti ritenere che nel caso in esame sia stato rispettato il
dettato normativo, imponendo l’art. 325 del codice di rito che i ricorsi in tema di
misure cautelari reali possano proporsi per violazione di legge: a riguardo, le
Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che in tale nozione «rientrano la
mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente
apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma
non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità
soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e)
dell’art. 606 cod. proc. pen.» (Cass., Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Ferazzi,
Rv 226710; nello stesso senso, v. anche Cass., Sez. VI, n. 7472 del 21/01/2009,
Vespoli).
E’ stato altresì precisato che «in tema di riesame delle misure cautelari, il
ricorso per cassazione per violazione di legge, a norma dell’art. 325, comma

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nascondere o disperdere il proprio patrimonio. L’ordinanza impugnata, infine,

primo, cod. proc. pen., può essere proposto solo per mancanza fisica della
motivazione o per la presenza di motivazione apparente, ma non per mero vizio
logico della stessa» (Cass., Sez. V, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv
248129), e che possono assumere rilievo «sia l’omissione totale della
motivazione sia la motivazione fittizia o contraddittoria, che si configurano, la
prima, allorché il giudice utilizzi espressioni di stile o stereotipate e, la seconda,
quando si riscontri un argomentare fondato sulla contrapposizione di
argomentazioni decisive di segno opposto, con esclusione della motivazione

252430).
A ben guardare, sia pure invocando presunte ipotesi di violazione di legge, i
difensori del De Stasio limitano in concreto le proprie doglianze all’esame del
contenuto della motivazione dell’ordinanza impugnata, rappresentandone pretesi
vizi che peraltro riguardano ictu °cui/ il merito della fattispecie. Infatti, nella
prospettazione difensiva il Tribunale del riesame non avrebbe errato
nell’indicazione dei principi da applicare in tema di sequestro conservativo,
invocando quali presupposti del periculum in mora elementi che il sistema
processuale non consentirebbe di valorizzare (e solo in questo caso potrebbe
dirsi rispettato il disposto del ricordato art. 325): avrebbe invece conferito
rilevanza ad aspetti sostanzialmente travisati dalla parte civile all’atto della
richiesta del provvedimento, ovvero negato significatività a risultanze da
considerare favorevoli al ricorrente.
A proposito del predetto requisito del periculum in mora, la giurisprudenza di
legittimità ha più volte segnalato che esso ricorre «se il rischio di perdita delle
garanzie del credito sia apprezzabile in relazione a concreti e specifici elementi
riguardanti, da un lato, l’entità del credito e la natura del bene oggetto del
sequestro e, dall’altro, la situazione di possibile depauperamento del patrimonio
del debitore, da porsi in relazione con la composizione del patrimonio stesso, con
la capacità reddituale e con l’atteggiamento in concreto assunto dal debitore
medesimo» (Cass., Sez. VI, n. 20923 del 15/03/2012, Lombardi, Rv 252865,
dove è stato ritenuto ingiustificato l’argomento secondo cui il pericolo derivasse
in re ipsa dall’essere stata sequestrata un’ingente somma di denaro, per sua
natura suscettibile di pericolo di dispersione). Requisiti, quelli appena indicati,
che il Tribunale di Milano ha inteso ravvisare ed ha compiutamente evidenziato,
sulla base di elementi dei quali – in assenza di elementi indicativi di una totale
assenza di motivazione, o di mera apparenza della stessa – la difesa del De
Stasio mira a sollecitare in questa sede una sostanziale ed inammissibile
rivalutazione in fatto.

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insufficiente e non puntuale» (Cass., Sez. I, n. 6821 del 31/01/2012, Chiesi, Rv

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del De Stasi° al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 28/01/2014.

P. Q. M.

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