Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23251 del 29/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23251 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAVONE STEFANO N. IL 04/04/1956
PAVONE GIANFRANCO N. IL 19/03/1951
avverso la sentenza n. 665/2004 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
03/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO

Data Udienza: 29/04/2014

udito il procuratore generale in persona del sost.proc.gen. dott. M. Fraticelli, che ha chiesto
dichiararsi inammissibili i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO

2. Ricorre per cassazione il comune difensore che articola tre censure.
Con la prima, deduce violazione di legge per erronea applicazione della LF in relazione alla
ritenuta configurabilità dell’elemento oggettivo del reato, nonché carenza dell’apparato
motivazionale; ciò in quanto immotivatamente è stata ritenuta la sussistenza dell’elemento
oggettivo, atteso che non è rimasta provata la impossibilità della ricostruzione del compendio
patrimoniale societario e del movimento d’affari. La bancarotta fraudolenta documentale è
reato di danno e non di mero pericolo. Ebbene, nel caso di specie, la documentazione fu
consegnata al curatore, sia pure in tre riprese, ma a breve distanza di tempo. In merito,
quindi, la corte territoriale incorre anche in travisamento della prova. È allora evidente che, se
anche non immediatamente, il curatore è entrato in possesso della richiesta documentazione e
ha potuto ricostruire il patrimonio e l’andamento degli affari. E’ allora logico parlare di
disordine contabile, ma non di omessa o irregolare tenuta delle scritture.
Il curatore, dunque, solo in base a sue personali presunzioni, ha potuto fare le affermazioni
che si leggono in sentenza. Né va dimenticato che gli unici rapporti della S.r.l. furono con il
Bulgarelli, dal quale la DIALEX aveva preso in affitto l’azienda. I rapporti bancari, d’altro canto,
sono stati agevolmente ricostruiti dallo stesso curatore, il quale, dunque, di altro non si è
sostanzialmente lamentato se non del fatto di non aver potuto effettuare una verifica
“puntuale”. Va comunque posto in evidenza che il passivo ammonta a non più di € 80.000, dei
quali solo 20.000 rappresentati da debiti verso soggetti diversi dai dipendenti. Così stando le
cose, non è stato minimamente messo in evidenza quale sarebbe stato il danno derivante ai
creditori dalla pretesa irregolare tenuta delle scritture.
3. Con la seconda censura, deduce ancora violazione di legge, ma in relazione alla
ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo e carenza, al proposito, dell’apparato
motivazionale. E invero erroneamente la corte di merito ha ritenuto sussistente anche
l’elemento psicologico del reato, ma ciò ha fatto deducendolo esclusivamente dalla pretesa
sussistenza dell’elemento materiale. Tale operazione intellettuale, per costante orientamento
della giurisprudenza, non è consentito: invero, il semplice verificarsi dell’evento non prova
nulla sul piano soggettivo. Nel caso di specie, peraltro, manca la prova della strumentalità della
pretesa irregolare tenuta dei documenti e quindi la prova della intenzione per la quale ciò
sarebbe stato fatto. Manca di conseguenza la prova del dolo. In merito, la corte d’appello,
peraltro, non risponde alle puntuali censure formulate con l’atto d’impugnazione. Né va
trascurato il fatto che nessuno tra i creditori ha ritenuto di insinuarsi nella procedura
fallimentare. Sotto altro aspetto, va ricordato che, a un certo punto, la tenuta della contabilità
fu affidata a un soggetto terzo, il quale, essendo del tutto estraneo alle logiche aziendali, non
aveva ovviamente alcun interesse a cooperare nella pretesa condotta di bancarotta
documentale. Ulteriore prova della buona fede degli imputati deriva dal fatto che essi
promossero procedimenti giudiziari a carico del Bulgarelli e nei confronti dell’Azienda
ospedaliera di Ferrara, allo scopo di recuperare i crediti.
I due Pavone hanno peraltro sempre mostrato spirito collaborativo e agito nella massima
trasparenza. Pavone Stefano, poi, ha peraltro personalmente garantito con il suo patrimonio i
debiti societari nei confronti di Unicredit. In merito, la motivazione è del tutto contraddittoria,
in quanto, da un lato, dà atto della concedibilità dell’attenuante sopra ricordata per mancanza
di un effettivo danno, dall’altro poi fa parola di un danno accertato.
4. Con la terza censura, deduce erronea applicazione dell’articolo 216 LF in relazione
all’articolo 2639 cc con riferimento alla responsabilità di Pavone Gianfranco, nonché omes sa

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte d’appello di Bologna, in parziale riforma
della pronuncia di primo grado, ha concesso a Pavone Stefano e Pavone Gianfranco,
imputati di bancarotta fraudolenta documentale in relazione al fallimento Srl DIALEX,
dichiarato con sentenza del 22 novembre 2002, l’attenuante di cui all’articolo 219 LF,
ridimensionando il trattamento sanzionatorio; ha confermato nel resto.

..6_,./(._

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le prime due censure, che devono essere oggetto di una lettura “integrata”, sono
fondate e meritano accoglimento; di talché, rimanendo la terza assorbita, la sentenza va
annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della medesima corte di appello.
2. I giudici di merito conferiscono grande rilievo al fatto che la documentazione
contabile fu consegnata, non in unica soluzione, ma in tre riprese. Si evince tuttavia dalla
sentenza di primo grado che, tra la prima e l’ultima consegna, intercorsero solo 21 giorni.
Rilevo altrettanto grande viene poi dato al fatto che parte della documentazione sarebbe stata
recuperata presso terzi. In realtà, sempre dalle predette sentenze, si evince che si trattava di
persone che avevano titolo per tenere presso di sé tali scritture.
La sentenza di secondo grado, poi, circa la documentazione acquista presso istituti di credito,
afferma che l’esame della stessa ha dato “esito incerto”, senza chiarire per qual motivo gli
estratti-conto e gli altri certificati bancari siano stati considerati contenutisticamente poco
affidabili.
2.1. È noto (cfr. ASN 201021588-RV 247965; ASN 200010423-RV 218382; ASN
200524333-RV 232212) che il delitto di bancarotta fraudolenta documentale sussiste, non solo
quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture
contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi
fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza.
Orbene, aver atteso 21 giorni per il deposito di tutta la documentazione disponibile, averla
raccolta da soggetti comunque non estranei al contesto aziendale, aver acquisto in banca altra
documentazione costituiscono circostanze che non vengono indicate (e tantomeno descritte)
dai giudici del merito come condotte fortemente impegnative ed espressive di “particolare
diligenza” da parte del curatore.
Neanche risulta essere stato adeguatamente chiarito se, comunque, sia stata poi possibile la
ricostruzione -con buona approssimazione- del patrimonio della fallita e del movimento di
affari, atteso che una tenuta caotica della contabilità certo non consente una “verifica
puntuale”, ma ben può consentire, appunto, una ricostruzione accettabile. La corte territoriale,
investita della specifica censura, avrebbe dovuto manifestare con chiarezza il suo
convincimento, innanzitutto, circa tale punto.

motivazione sulle doglianze svolte nell’atto di appello, dal momento che non è stato chiarito se
Pavone Gianfranco debba rispondere al titolo di amministratore di fatto o di concorrente nel
reato proprio. L’alternativa contenuta nel capo d’imputazione non è stata sciolta nella sentenza
e ciò non è certamente un fatto indifferente. Cosa certa è che non risultano provati gli estremi
fattuali, che, ai sensi dell’articolo 2639 cc, individuano la figura dell’amministratore di fatto.
Non vi è prova di interventi che non abbiano la caratteristica della occasionalità da parte di
Pavone Gianfranco. Ma se anche egli fosse amministratore di fatto, va rilevato che non è stata
fornita la prova del suo coinvolgimento nella bancarotta documentale. Invero, a differenza di
quel che accade nella bancarotta patrimoniale, la principale responsabilità per la tenuta dei
documenti (e quindi per la bancarotta documentale) è in capo all’amministratore di diritto. Così
stando le cose, la corte di merito avrebbe dovuto chiarire in che cosa sia consistita la condotta
di Pavone Gianfranco con riferimento specifico al capo d’imputazione, vale a dire quale
contributo causale egli avrebbe dato alla commissione del reato in questione.
Le dichiarazioni del Bulgarelli, del De Bono e di Pavone Stefano avrebbero dovuto essere
valutate ai sensi del terzo comma dell’articolo 192 cpp, trattandosi di persone coimputate nel
medesimo procedimento. D’altra parte, l’interesse di Pavone Gianfranco nelle vicende
societarie era giustificato dal fatto che egli era socio della CMI, società che deteneva quote
della DIALEX. Pertanto appare legittimo che, in tale veste, egli sia intervenuto al momento
dell’acquisto dell’azienda; la circostanza dimostra perché questo imputato fosse a conoscenza
delle vicende della DIALEX e dell’andamento societario.
Infine nessun rilievo, erroneamente, è stato dato dalla sentenza impugnata al fatto che, nel
periodo di interesse, Pavone Gianfranco era affidato ai servizi sociali e, come tale, era soggetto
che, di fatto, ben poco poteva interessarsi della vita della società fallita.

4. I punti illustrati sub 2.1. e 3. dovranno costituire oggetto di accertamento da parte
del giudice del rinvio.
PQM
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte di
appello di Bologna

Così deciso in Roma, in data 29.1V. 2014.-

3. Quanto all’elemento psicologico (che distingue la bancarotta documentale fraudolenta
da quella semplice), è certo che, nel primo caso, esso consiste nel dolo generico, costituito
dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò
renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore; laddove, nel
secondo caso, esso si atteggia come dolo o -indifferentemente- come colpa, atteggiamenti
mentali che sono ravvisabili quando l’agente ometta, rispettivamente, con coscienza e
volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture (tra le tante: ASN 200606769-RV
233997).
E tuttavia detto elemento soggettivo deve essere positivamente (sia pure, come è ovvio,
induttivamente) accertato, di talché esso non può essere fatto discendere dal solo fatto
(costituente l’elemento materiale del reato) che lo stato delle scritture sia tale da non
rendere possibile (o da rendere possibile solo con particolare diligenza) la ricostruzione del
patrimonio e del movimento degli affari. Se poi si tratta di omissione contenuta in limiti
temporali piuttosto ristretti, appare certamente necessario chiarire la ragione e gli elementi
sulla base dei quali l’imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare detta oggettiva
impossibilità e non, piuttosto, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture,
senza por mente alle conseguenze di tale condotta, considerato che, in quest’ultimo caso, si
integra, come premesso, l’atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di
bancarotta semplice (ASN 200700172-RV 236032).
Naturalmente tale indagine, essendo attinente al “foro interno”, dovrà essere condotta con
riferimento alle modalità della condotta, ma anche alle sue conseguenze e, più genericamente,
a tutti quegli elementi di contorno che valgano ad illuminare sulle reali intenzioni del soggetto.
Così non indifferente, come si nota nel ricorso, potrà rivelarsi l’indagine volta ad accertare le
eventuali finalità della omessa, manchevole o irregolare tenuta delle scritture. E ciò non certo
perché la finalità abbia rilievo in sé (attesa la struttura del reato, come descritto nella norma
incriminatrice), ma perché scire per causas costituisce certamente un’efficace modalità di
accertamento. Come in tutti i casi di falsa rappresentazione della realtà (facendo rientrare in
tale concetto anche la falsità per omissione), conoscere la ragione della immutatio veri illumina
(può illuminare) sulla natura intenzionale (o non intenzionale) della condotta.
Se dunque effettivamente -come si sostiene nel ricorso e come non sembra smentito dalla
sentenza impugnata- non vi furono insinuazioni di creditori (per altro in presenza di un passivo
davvero modesto), la circostanza avrebbe dovuto esser tenuta in adeguata considerazione.
Non si tratta, ovviamente, di discutere di falso innocuo (inconcepibile in tema di bancarotta),
ma, eventualmente, di falso soggettivamente inutile, vale a dire non finalizzato a nulla e,
pertanto, posto in essere nella non consapevolezza di rendere impossibile la ricostruzione ex
post della vita aziendale sotto il profilo contabile.

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