Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2325 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2325 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
MANNA Ciro, nato a Napoli il 28/12/1965

avverso l’ordinanza del 16/4/2012 del Tribunale di Pavia, che ha dichiarato
inammissibile la richiesta di riesame in relazione ai personal computer portatili e
ai supporti informatici nelle more fatti oggetto di ordine restituzione da parte del
Pubblico ministero e ha rigettato la richiesta di riesame relativa ai “beni cartacei”
oggetto di sequestro eseguito su ordine di perquisizione e sequestro emesso dal
Pubblico ministero in sede in relazione al reato ex art.44, lett.c del d.P.R. 6
giugno 2001, n.380;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Tindari
Baglione, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Alessandra Stefano in sostituzione dell’avv. Gionata
Romagnese, che ha concluso chiedendo accogliersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia procede nei
confronti del sig.Manna e altri in relazione all’ipotesi di reato ex art.44, lett.c) del

Data Udienza: 04/12/2012

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d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e in tale contestato ha emesso in data 22/372012
un ordine di perquisizione e di sequestro di cose pertinenti al reato che è stato
eseguito dalla polizia giudiziaria presso l’abitazione e l’autovettura del sig.Manna
e nei locali della società “CT Immobiliare”; al termine delle operazioni la polizia
giudiziaria ha sottoposto a cautela alcuni personal computer e altro materiale
informatico, nonché varia documentazione.
2. Il sig. Manna ha presentato istanza di riesame avverso il provvedimento di
sequestro e in sede di udienza camerale il Pubblico ministero ha depositato il

materiale informatico.
3.

Il Tribunale del riesame, dichiarata la richiesta del sig. Manna

inammissibile per carenza sopravvenuta d’interesse con riferimento alle cose
restituite, ha rigettato la parte restante della richiesta. Osserva il Tribunale che il
Pubblico ministero ha emesso un decreto di perquisizione e sequestro di cose
rilevanti ai fini delle indagini, specificamente indicate per tipologia, e che il
provvedimento di sequestro, sussistendo il “fumus” di reato, risulta così corretto
e immune da censure.
4. Propone ricorso il sig. Manna tramite il Difensore, in sintesi lamentando:
a.

Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per avere il Tribunale
omesso di fornire una motivazione effettiva in ordine al “fumus” del reato per
cui si procede. A fronte di tale carenza, del tutto improprio il rinvio al
separato, e non conosciuto dal ricorrente, provvedimento del medesimo
Tribunale di conferma del sequestro preventivo;

b. Errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per avere il Tribunale
dichiarato inammissibile l’istanza di riesame con riferimento ai personal
computer e ai supporti informatici, posto che la Procura della Repubblica ha
duplicato e trattenuto in copia il contenuto di tali strumenti; il Tribunale ha
omesso, poi, di dare risposta alla censura con cui il ricorrente, dissentendo
dalla motivazione della sentenza n.18253 del 2008 delle Sezioni Unite Penali
della Corte, ha posto una serie di questioni attinenti la legittimità
costituzionale della disciplina. In particolare, nella memoria difensiva del
13/4/2012, il ricorrente aveva contestato che l’avvenuta restituzione della
cosa sequestrata faccia cessare l’interesse a una pronuncia in ordine alla
legittimità del sequestro e aveva rilevato come la estrazione di una copia del
contenuto dei supporti informatici comporti violazione dei diritti della persona
e debba, dunque, essere soggetta a controllo da parte del Tribunale.

2

decreto del 13/4/2012 che disponeva restituirsi all’avente diritto i computer e il

NIA

I

e

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Osserva preliminarmente la Corte che il primo motivo di ricorso deve

ritenersi fondato nella parte in cui censura il richiamo in motivazione
dell’ordinanza ad altro provvedimento assunto dal medesimo tribunale in
separata procedura di riesame. E’ evidente che un provvedimento non assunto
nel presente procedimento, non acquisito e non sottoposto al contraddittorio non

discute.
2.

Ciò premesso, può affermarsi che sulla base della restante parte motiva

dell’ordinanza impugnata il primo motivo di ricorso risulta infondato. Il “fumus”
di reato necessario perché l’ufficio requirente possa disporre un motivato
intervento di perquisizione e sequestro deve essere valutato avendo riguardo
alla fase delle indagini in cui la ricerca degli elementi di prova viene disposta e
non può, dunque, essere messo in discussione invocando l’assenza di elementi
che supportino l’elemento soggettivo del reato e dimostrino con certezza
l’esistenza di un rapporto di pertinenza tra le cose e la persona dell’indagato.
Rileva la Corte che nel caso in esame il Tribunale considera esistente una notizia
di reato contenente elementi che giustificano l’ipotesi di illecito avanzata dal
Pubblico ministero e ritiene che il provvedimento di sequestro presenti coerenza
tra l’incolpazione provvisoria e l’indicazione dei materiali probatoriamente
rilevanti che il Pubblico ministero ha incaricato la polizia giudiziaria di ricercare.
3. La Corte non ravvisa affatto come fondato il giudizio di genericità
formulato dal ricorrente alle pagine 7 (ultima parte) e 8 (prima parte) del
ricorso. Appare alla Corte estremamente chiaro che l’ipotesi di reato, violazione
alla disciplina urbanistica realizzata anche mediante l’emanazione di un atto
amministrativo illegittimo, giustifichi la ricerca degli elementi di collegamento fra

possa concorrere a formare la motivazione della decisione che in questa sede si

gli indagati e le persone potenzialmente coinvolte.
4.

Parimenti, sul piano logico ed ermeneutico non appare alla Corte priva di

possibile rilevanza probatoria la documentazione contrattuale ed economica,
indicativa dei rapporti commerciali effettivi, una volta che si ipotizzi l’esistenza
di una destinazione di parte degli immobili a finalità diverse da quelle oggetto dei
provvedimenti autorizzatori.
5. In altri termini, la Corte ritiene che non si possa seguire l’impostazione
adottata dal ricorrente nella parte in cui: a) prospetta la necessità che
l’emanazione di un ordine di perquisizione e sequestro sia preceduto da elementi
fondanti il “fumus” di reato in qualche modo già sufficienti in sé stessi a dare

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risposta ai dubbi circa l’addebitabilità della condotta a un determinato indagato
oppure circa l’esistenza dell’elemento soggettivo; b) individua in modo tassativo
(pag.11) le cose che possono considerarsi rilevanti per l’accertamento del reato
ipotizzato, quasi formando un catalogo sulla cui base misurare la legittimità
dell’operato dell’autorità giudiziaria procedente; c) sottopone al tribunale del
riesame il quesito circa la compatibilità tra quanto sequestrato e quanto
ricercato, non potendosi richiedere allo stesso tribunale di procedere all’analitico
esame dei documenti sequestrati e alla valutazione del loro contenuto al fine di

fase solo in presenza di manifesta in conferenza delle cose rispetto al reato
ipotizzato; si tratta di condizione che non emerge nel caso in esame sulla base
dello stesso contenuto del ricorso.
6. Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, la Corte ritiene che la
motivazione addotta dalla citata sentenza delle Sezioni Unite (n.18253 del 2008)
debba trovare conferma. Le argomentate e apprezzabili osservazioni del
ricorrente trovano risposta nei passaggi motivazionali della sentenza in parola e
non emergono elementi che comportino una diversa conclusione. Devono, infatti
condividersi i passaggi motivazionali che evidenziano la distinzione fra
provvedimento di apprensione delle cose e provvedimento che ne dispone
l’estrazione di copia, da un lato, e, dall’altro, la circostanza che la valutazione
della ricaduta degli eventuali vizi della procedura di sequestro sulla validità della
prova rimane di esclusiva pertinenza del giudice del merito. Non vi è, dunque,
spazio per un intervento del giudice del controllo cautelare una volta che le cose
sequestrate siano state restituite.
7. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto
e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 4/ /2012

giudicarne la rilevanza per le indagini, giudizio che potrebbe intervenire in questa

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