Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23249 del 15/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23249 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TORRU LUCIO N. IL 02/12/1948
avverso la sentenza n. 718/2012 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
29/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
P ,r‘
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Y. 4)
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 15/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 29-10-2013, la Corte d’Appello di Cagliari, confermando
parzialmente quella del tribunale della stessa città del 30-11-2011, riconosceva il
giornalista Lucio TORRU responsabile del reato di diffamazione in danno dei coniugi
Luigi Ruggeri ed Irma Dessì in relazione alla pubblicazione sul n. 60 del periodico
Quartu Sera di un articolo intitolato ‘Le alchimie e le regole del sindaco’ nel quale li

possidenti -il Ruggeri sindaco del comune nel secondo periodo-, due lotti di terreno
contigui in territorio di Costabentu, destinati all’edilizia economica e popolare, sui quali
era stata realizzata la loro abitazione e quella della madre della Dessì.
2.

La corte territoriale, richiamando la motivazione della sentenza di primo grado relativa
alla documentazione prodotta dalla difesa (motivazione secondo la quale, quanto al
primo lotto, dai predetti documenti si evincevano sospetti non del tutto infondati che
però all’epoca dell’articolo non erano stati supportati da idonei accertamenti, e
comunque la terminologia usata violava il criterio della continenza, quanto al secondo
lotto, risultava che la Dessì aveva partecipato ad un’asta pienamente legittima, essendo
gli assegnatari del lotto rimasti inadempienti verso la banca che aveva erogato loro il
mutuo, ed era semmai il comune a non aver attivato la procedura per rientrare in
possesso del bene), osservava che l’impugnazione non contestava le osservazioni del
primo giudice ripetendo quanto sostenuto in primo grado, ed era perciò sotto tale
profilo inammissibile, senza contare che Torru si era scusato con le pp.00. riconoscendo
il contenuto diffamatorio degli articoli.

3.

Il ricorso a firma dell’avv. M. Delogu deduce vizio di motivazione riportando
testualmente l’atto di appello nella parte relativa alla documentazione prodotta nel
procedimento di primo grado per concludere che, a fronte della stessa, la corte
territoriale si era limitata ad affermare che il contenuto degli articoli non corrispondeva
al vero quanto al Ruggeri ed era diffamatorio quanto alla Dessì. Per contro da tali
documenti risultava che, quanto al primo lotto, Ruggeri aveva falsamente dichiarato di
non aver ceduto immobili nei due anni precedenti, quanto al secondo, l’aggiudicazione
dell’asta era stata possibile perché il comune (quando Ruggeri era consigliere
comunale) non aveva esercitato la retrocessione e la Dessì aveva chiesto la concessione
edilizia a nome della madre. Con la conseguenza che i fatti erano veri e i toni utilizzati
erano proporzionati alle condotte poste in essere dalle pp.00..

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile in quanto riproduttivo dell’atto di appello in assenza di
un’autonoma e specifica argomentazione volta a documentare il vizio denunciato.

7

accusava di essersi illegittimamente aggiudicati in epoche diverse, benché medici e

L

2.

Invero, per quanto oggetto di censura sia, formalmente, la motivazione della sentenza
impugnata sotto il profilo della mancanza, illogicità o contraddittorietà, quello che in
realtà si contesta è la valutazione delle prove compiuta dai giudici di merito
prospettandosi una diversa interpretazione dei dati processuali.

3.

Si tratta di operazione non consentita perché, premessa la manifesta infondatezza,
nella specie, della doglianza di mancanza e di contraddittorietà della motivazione,
l’illogicità della stessa, per essere denunciabile, deve avere, come è stato più volte

cioè spessore tale da risultare percepibile ictu ()cui/.
4.

L’impugnante si limita invece a riproporre la propria interpretazione alternativa, peraltro
inidonea ad ingenerare ragionevole dubbio, della documentazione prodotta in primo
grado, che contrappone, senza introdurre elementi di novità, a quella condivisa in
entrambe le pronunce.

5.

Così, mentre i giudici di merito hanno ritenuto che i fatti non fossero veri perché,
quanto al primo lotto, vi erano solo motivi di sospetto che però non erano stati
confermati da opportune verifiche, mentre, quanto al secondo lotto, l’asta cui aveva
partecipato la Dessì si era svolta in modo del tutto legittimo, e che comunque la
terminologia usata violava il criterio della continenza, il ricorso si limita a ribadire, come
già fatto in appello, e in contrasto con tali accertamenti in fatto, così coinvolgendo
l’aspetto del merito, che invece Ruggeri aveva reso false dichiarazioni quanto al primo
lotto, mentre l’aggiudicazione dell’asta relativa al secondo era stata possibile perché il
comune non aveva esercitato la retrocessione, insinuando che la Dessì aveva potuto
conseguire l’aggiudicazione solo grazie alla connivenza, se non addirittura alla
collusione, degli organi comunali con il marito.

6.

La sentenza impugnata neppure ha mancato di aggiungere, dopo aver confermato la
valutazione di falsità dei fatti oggetto dell’articolo, che comunque le espressioni usate
erano denigratorie e andavano oltre la critica politica anche perché i fatti erano in parte
avvenuti quando Ruggeri non era ancora sindaco, mentre la moglie non si era mai
interessata di politica essendo stata quindi oggetto dell’attacco giornalistico solo in
quanto moglie del predetto.

7.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso seguono le statuizioni di cui all’art. 616
cod. proc. pen. determinandosi in C 1000, in ragione della natura delle questioni
dedotte, la somma da corrispondere alla cassa ammende.

8.

Segue pure la condanna del ricorrente alle spese processuali delle parti civili, liquidate,
in base ai criteri per la liquidazione dei compensi ai professionisti dettati con il decreto
ministeriale del 20 luglio 2012 n. 140, nella misura complessiva di C 2400 (C 2000 + il
20% trattandosi di due parti civili difese dallo stesso avvocato).

P. Q. M.
3

affermato dalla giurisprudenza di questa corte, il carattere dell’evidenza, presentare

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di C 1000 in favore della Cassa delle Ammende, nonché al pagamento delle
spese sostenute nel grado dalle parti civili, liquidate in C 2400 complessivi, oltre accessori di
legge.
Roma, 15.4.2014
Il Presidente

z(v)

Il consigliere estensore)

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