Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23238 del 08/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23238 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: ZAZA CARLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Lo Gerfo Giuseppa, nata a Misilmeri il 19/03/1952

avverso la sentenza del 09/04/2013 della Corte d’Appello di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Carlo Zaza;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso e la correzione della
sentenza impugnata;

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di
Palermo del 28/06/2011, con la quale Giuseppa Lo Gerfo veniva ritenuta
responsabile del reato continuato di cui agli artt. 476 e 640 cod. pen., commesso
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Data Udienza: 08/04/2014

concorrendo nella formazione di un falso verbale di visita medica collegiale della
commissione per l’accertamento delle invalidità civili di Palermo, datato al
10/02/2003 ed attestante la sussistenza delle condizioni perché la Lo Gerfo
percepisse l’indennità di accompagnamento, ed ottenendo la disposizione di
detta indennità per l’importo di C. 60.406 e l’erogazione rateale della stessa fino
al 31/10/2009; e condannata alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione.
L’imputata ricorre sui punti e per i motivi di seguito indicati.
1. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di falso, la ricorrente

ufficiale e mancanza di motivazione sulla prova di una condotta istigatoria
dell’imputata, non ravvisabile nella presentazione di una domanda che poteva
anche essere rigettata, e comunque della falsità del verbale, non desumibile dal
mero provvedimento di revoca dell’indennità.
2. Sull’affermazione di responsabilità per il reato di truffa, la ricorrente
deduce violazione di legge nella ritenuta sussistenza del reato per la
presentazione di documentazione la cui falsità, per quanto detto al punto
precedente, non era attribuibile all’imputata, e mancanza di motivazione sulla
prova della carenza dei requisiti per il conseguimento dell’indennità.
3. Sulla qualificazione giuridica del reato di falso, la ricorrente deduce
violazione di legge nell’omessa derubricazione del fatto nell’ipotesi di cui al primo
comma dell’art. 476 cod. pen., in quanto commesso su atto non fidefacente.
4. Sulla mancata declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di
falso, la ricorrente deduce violazione di legge osservando che, per effetto della
diversa qualificazione di cui al punto precedente, il termine prescrizionale è
decorso al 10/08/2010, e che detto termine è comunque spirato, anche
nell’ipotesi in cui il fatto sia ricondotto all’ipotesi di cui al secondo comma
dell’art. 476 cod. pen., il 10/02/2013.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il motivo proposto sull’affermazione di responsabilità dell’imputata per il
reato di falso è inammissibile.
La censura di mancanza di motivazione sulla prova della falsità del verbale
di cui all’imputazione è generica, e non attinente al contenuto della motivazione
della sentenza impugnata, nell’affermazione per la quale detta motivazione si
esaurirebbe nel riferimento al provvedimento di revoca dell’indennità; laddove la
Corte territoriale giungeva invece a conclusioni positive sul punto in base alla
prova della mancata effettuazione della visita medica oggetto del verbale,
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deduce violazione di legge nel ritenuto concorso in un reato proprio del pubblico

desunta dall’assenza di un fascicolo relativo alla pratica a nome dell’imputata e
dell’annotazione della domanda di quest’ultima nel registro informatico.
Altrettanto generica è la doglianza di carenza motivazionale sulla prova del
concorso dell’imputata nel falso, in quanto riduttiva dell’argomentazione dei
giudici di merito alla sola circostanza della presentazione della domanda da parte
della Lo Gelfo; mentre anche a questo proposito il percorso motivazionale della
sentenza impugnata era di ben altra estensione, nel momento in cui vi si
osservava che l’assoluta mancanza della visita attestata nel verbale implicava

solo unica interessata alla contraffazione, ma altresì unica fonte dalla quale i
pubblici ufficiali coinvolti potevano aver appreso le generalità riportate nel
documento.

2. Il motivo proposto sull’affermazione di responsabilità dell’imputata per il
reato di truffa è anch’esso inammissibile.
Le considerazioni svolte al punto precedente sull’inammissibilità del motivo
relativo all’affermazione di responsabilità dell’imputata per il reato di falso
rendono parimenti inammissibile la censura di violazione di legge
nell’attribuzione all’imputata della condotta di artifici e raggiri individuata nella
presentazione della falsa documentazione. Generica è poi la censura di
mancanza di motivazione sull’ingiustizia del profitto conseguito, con particolare
riguardo all’insussistenza dei requisiti per la percezione dell’indennità, laddove la
sentenza impugnata era invece congruamente argomentata nel riferimento
all’omessa sottoposizione dell’imputata alle visite mediche costituenti
presupposto legale per la concessione del beneficio.

3. Inammissibile è altresì il motivo proposto sulla qualificazione giuridica del
reato di falso.
La deduzione della questione sulla configurabilità dell’aggravante di cui al
secondo comma dell’art. 476 cod. pen. non è consentita in questa sede, non
essendo stata la stessa oggetto dei motivi di appello; ed è comunque
manifestamente infondata, considerato che il verbale di visita medica per la
concessione di un’indennità, tenuto conto dell’attribuzione legale in via esclusiva
alle commissioni mediche dei relativi accertamenti sanitari, costituisce senz’altro
atto pubblico che fa fede fino a querela di falso (Sez. 5, n. 25570 del
22/03/2013, Sacco, Rv. 257546).

4.

L’inammissibilità del motivo esaminato al punto immediatamente

precedente si estende alla censura di violazione di legge nella mancata
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che lo stesso fosse stato formato con il contributo della stessa, in quanto non

declaratoria di estinzione del reato di falso per prescrizione intervenuta
precedentemente alla sentenza impugnata, in quanto fondata sull’esclusione
dell’aggravante della natura fidefacente dell’atto oggetto di falsificazione.
L’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso preclude inoltre l’esame di eventuali
profili di intervenuta prescrizione di episodi oggetto dell’imputazione di truffa,
peraltro non eccepiti nel ricorso.
Alla declaratoria di inammissibilità di quest’ultimo segue la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della

equo determinare in €.1.000.
Non vi è infine luogo a provvedere sulla richiesta del Procuratore generale di
correzione dell’intestazione della sentenza impugnata, che nell’indicazione delle
lettere identificative dei capi di imputazione risulta puntualmente corrispondente
alle decisioni assunte in primo grado sulla responsabilità dell’imputata.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di €.1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma 1’08/04/2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare

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