Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23226 del 13/03/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 23226 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ETTORRE GIUSEPPE N. IL 19/03/1972
GIANNONE NICO N. IL 18/04/1968
SILVESTRO MARIO N. IL 10/07/1974
avverso la sentenza n. 2331/2012 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
22/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. g: dbe-ftft_—
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

y,

t

acam

Data Udienza: 13/03/2014

FATTO E DIRITTO

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia, in data 22 gennaio 2013, con la quale è
stata confermata quella di primo grado, del 7 ottobre 2011.
Questa era stata di condanna in ordine al reato di diffamazione aggravata, commesso, a mezzo
di uno stampato, il 7 gennaio 2008, in danno di Infascelli Francesco.
La condotta addebitata era consistita nella pubblicazione, mediante affissione nella bacheca
sita nei locali aziendali della società Nuova sicurezza del cittadino S.p.A., di una lettera aperta
a firma di D’Ettorre Giuseppe, nella qualità di segretario provinciale dell’organizzazione
sindacale UGL.
Nella lettera, materialmente affissa dagli altri due imputati, si informavano i dipendenti della
società che un loro collega, con incarichi di gestione del personale, svolgeva, senza il consenso
dell’azienda, attività antisindacale. Si affermava, in particolare, che tale soggetto – secondo gli
inquirenti agevolmente identificabile nell’odierno querelante, il quale prestava servizio alle
dipendenze della società, con il ruolo di brigadiere delle guardie giurate – aveva chiesto un
bracciale d’oro in cambio di turnazioni normali, ovvero mozzarelle campane, aveva maltrattato
i colleghi e non li lasciava vivere nella tranquillità quotidiana.
Il giudice dell’appello, in particolare, sentita per la prima volta la versione degli imputati,
concludeva motivando sulla sicura identificabilità, del querelante, quale bersaglio delle pesanti
accuse formulate nel volantino: identificabilità valutata anche dal punto di vista dei numerosi
dipendenti della società che avevano riconosciuto nell’Infascelli la persona diffamata.
Deduce D’Ettorre
1) la violazione dell’articolo 337 c.p. p. in ragione della assenza di valida querela.
Quella presente in atti recava la sottoscrizione del preteso querelante priva di una
valida autentica, non essendo tale quella apposta dal difensore.
Le Sezioni unite della cassazione, con sentenza n. 12 del 1999, hanno affermato che il
potere di autenticazione del difensore non è generale ma, come già sostenuto dalla
sentenza delle stesse Sezioni unite del 18 giugno 1993, può concernere il solo mandato
ad litem.
L’articolo 2703 c.c., d’altra parte, riconduce tale potere al notaio o ad altro pubblico
ufficiale autorizzato.
In secondo luogo sarebbe generico, nel caso di specie, l’incarico alla presentazione
della querela, tale cioè da non garantire la provenienza dell’atto e, ancor meno
legittima, la delega di delega (il riferimento è a quella rilasciata dall’avvocato alla
segretaria di studio, per il deposito dell’atto);
2)

l’erronea applicazione dell’articolo 595 c.p.
Era stata eccepita, nei motivi d’appello, la impossibilità di un riconoscimento univoco del
destinatario delle critiche, soprattutto in considerazione del fatto che almeno dieci
colleghi della parte civile rivestivano lo stesso grado di brigadiere delle guardie giurate e
della ulteriore circostanza che taluni dei colleghi, che avevano affermato di avere
identificato il destinatario dello scritto, erano risultati, in precedenza, avvicinati dallo
stesso querelante che aveva loro mostrato la lettera, auto-dichiarandosene destinatario.
Per tale ragione avrebbe dovuto essere diversamente considerata, dalla Corte di merito,
l’istanza di sentire nuovamente i colleghi di lavoro del denunciante: un’istanza volta far
emergere il fatto che essi avevano appreso della lettera, direttamente dalla presunta
persona offesa.
La Corte territoriale aveva del tutto travisato questo orizzonte della richiesta difensiva.
1

Propongono ricorso per cassazione D’Ettorre Giuseppe, Giannone Enrico e Silvestro Mario,

Deducono Giannone e Silvestro
oltre a tutti i motivi sopra esposti, anche la violazione dell’articolo 110 c.p.
I ricorrenti ritengono che l’affermazione contenuta in sentenza, riguardo al fatto che
essi si sarebbero prestati alla affissione del documento, non sarebbe sufficiente per fare
ritenere provata, altresì, la conoscenza del contenuto diffamatorio dell’atto;

Il primo e comune motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La giurisprudenza di legittimità è assolutamente unanime nel riconoscere che soggetto
legittimato ad autenticare la sottoscrizione apposta in calce alla querela, che poi venga
presentata da un incaricato, è, tra gli altri, anche il difensore.
Tanto è previsto dall’articolo 39 del disposizioni di attuazione del codice di rito, richiedendosi
dalla giurisprudenza che si tratti di difensore nominato formalmente, con atto precedente o
contestuale, ovvero anche tacitamente, sempre che, in quest’ultimo caso, la volontà di nomina
possa essere ricavata da altre dichiarazioni rese dalla parte nell’atto di querela (v. tra le molte,
Sez. 2, Sentenza n. 38905 del 16/09/2008 Ud. (dep. 15/10/2008 ) Rv. 241448 la quale si
richiama alla conforme sentenza delle Sezioni unite, n. 26549 dell’Il luglio 2006).
Le diverse sentenze delle Sezioni unite, citate nel ricorso, sono del tutto inconferenti in quanto
riguardavano la possibilità -in quelle sedi esclusa- che il difensore potesse autenticare, oltre al
mandato ad litem, anche la firma in calce alla procura speciale a costituirsi parte civile.
L’ultimo appunto, sulla delega alla presentazione, risulta del tutto generico , non essendo stato
comunque formulato , dall’interessato, alcun serio e concreto dubbio in ordine alla
provenienza della querela dal soggetto legittimato, tenuto anche conto del successivo
comportamento processuale di costui.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Giova sottolineare che sebbene, sul tema della (non immediata) riconoscibilità del soggetto
avuto di mira dall’estensore della lettera, fossero state segnalate alla Corte territoriale, ad
opera della difesa che aveva redatto i motivi di appello, numerose dichiarazioni rilasciate al PM
da persone informate sui fatti, soltanto alcune presentavano il contenuto oggi rievocato dal
ricorrente ( quelle di Pintauri, Chiodi e Rodella).
Può dirsi pertanto che la Corte territoriale, la quale ha mostrato, anche successivamente alla
statuizione di non rinnovare la istruttoria dibattimentale, di attingere, per la soluzione della
controversia, a prove dichiarative essenzialmente diverse ed ulteriori ed in particolare a quelle
di Testasecca, Forchini, Lorandi e Mereu ( oltre che a quella di Rodella), non può dirsi
immotivato il diniego di procedere alla richiesta rinnovazione e neppure manchevole, sotto lo
stesso punto di vista, la motivazione sulla responsabilità.
D’altra parte, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ricordato che non osta
all’integrazione del reato di diffamazione l’assenza di indicazione nominativa del soggetto la cui
reputazione è lesa, se lo stesso sia ugualmente individuabile sia pure da parte di un numero
limitato di persone ( Sez. 5, Sentenza n. 7410 del 20/12/2010 Ud. (dep. 25/02/2011 ) Rv.
249601precedenti Conformi: N. 6507 del 1978 Rv. 139108, N. 8120 del 1992 Rv. 191312, N.
10307 del 1993 Rv. 195555, N. 18249 del 2008 Rv. 239831).
Sul punto della consapevolezza del contenuto dell’atto e quindi della condivisione dell’intento
diffamatorio fra tutti gli imputati, v’è da rilevare, in primo luogo, che al silenzio della Corte sul
punto non corrisponde né l’allegazione, da parte dei ricorrenti, di avere dedotto tale specifica
questione nei motivi di appello né, quindi, il profilo omissivo da addebitare alla presunta
2

I ricorsi sono infondati e debbono essere rigettati.

negligenza del giudice a quo ; non risulta neppure, dalla lettura della sentenza, lo sviluppo di
tal genere di motivo nel gravame introduttivo del secondo grado di giudizio.
Per converso, non viene rappresentata, dai ricorrenti, alcuna logica considerazione capace di
inficiare l’assunto della mancata apprensione del contenuto di un documento che essi stessi
avevano affisso in bacheca.
Consegue al principio della soccombenza la condanna solidale degli imputati al pagamento
delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento, singolarmente, delle spese del
procedimento nonché in solido alla rifusione delle spese sostenute nel grado alla parte civile,
liquidate in euro 2000,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 13 marzo 2014
Il Presidente

PQM

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA