Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23224 del 06/03/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23224 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
Di Vietro Massimo, nato a Merano il 28/10/1969
Furiato Walter, nato a Merano il 17/05/1964
avverso la sentenza emessa il 29/03/2012 dalla Corte di appello di Trento,
sezione distaccata di Bolzano
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Roberto Aniello, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di
entrambi i ricorsi

RITENUTO IN FATTO
1. Il 29/03/2012, la Corte di appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano,
confermava la sentenza emessa in data 02/12/2010 dal Tribunale di Bolzano,
sezione distaccata di Merano, nei confronti di Massimo Di Vietri e Walter Furiato,
ritenuti responsabili di un furto realizzato presso un ufficio postale (gli stessi
erano accusati di avere trafugato sette telefoni cellulari dalla vetrina

Data Udienza: 06/03/2014

dell’esercizio denominato “Poste shop”).

In punto di attribuzione della

materialità del fatto ai due prevenuti la Corte territoriale osservava che in base
alla motivazione della sentenza appellata «nel filmato visionato in aula si nota il
Furiato togliere con la forza l’anta della vetrina ed appoggiarla a terra, e

il Di

Vietri offrirgli copertura; successivamente si notano entrambi nell’atto di
arraffare i cellulari ed allontanarsi. A riscontro di ciò, n. 3 cellulari sono stati
trovati in possesso del Di Vietri e n. 2 cellulari in possesso del Furiato».
I giudici di secondo grado confermavano altresì la ravvisabilità

reato de quo

sulla base dell’anzidetta dinamica.

2. Avverso la predetta pronuncia propone ricorso il difensore del Di Vietri,
lamentando illogicità e mancanza di motivazione, stante l’erronea applicazione
dell’aggravante prevista dall’art. 625 n. 4 cod. pen., sulla quale era stato
Sul punto, vengono riportati alcuni

articolato specifico motivo di appello.

precedenti della giurisprudenza di legittimità.
3. Propone altresì ricorso, personalmente, il Furiato, il quale deduce:
– nullità della sentenza di primo grado, e di tutti gli atti conseguenti, per essergli
stato notificato un decreto di citazione a giudizio recante un numero di iscrizione
sul R.G.N.R. (n. 5580/2008) diverso da quello (n. 5493/2008) già riportato sul
precedente avviso di conclusione delle indagini preliminari, e poi riprodotto sulle
due decisioni di merito (a riguardo, ad avviso del ricorrente la situazione di
incertezza derivante dall’indicazione dei diversi numeri sopra evidenziati avrebbe
comportato una limitazione palese del diritto di difesa, non potendo comprendere
l’imputato in relazione a quale procedimento sarebbe intervenuto l’esercizio
dell’azione penale);
– erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta
sussistenza dell’aggravante ex art. 625 n. 2 cod. pen. (nel caso di specie non vi
sarebbe stata alcuna violenza sulle cose, e nella motivazione della sentenza
impugnata si legge della visione di un filmato, ritraente la scena della presunta
sottrazione della refurtiva, quando invece nel giudizio di secondo grado non
risulta essere stata svolta alcuna attività del genere): viene pertanto ribadita la
tesi della procedibilità a querela – giammai presentata – per il reato di furto
semplice, ravvisabile nel caso in esame.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi debbono ritenersi inammissibili, perché fondati su motivi
manifestamente infondati.

2

dell’aggravante della violenza sulle cose – e, dunque, la procedibilità d’ufficio del

Nell’interesse del Di Vietri si sollecita infatti l’esclusione di un’aggravante che
già il Tribunale aveva ritenuto non configurabile nel caso di specie, mentre
quanto alle doglianze del Furiato – deve osservarsi che:
appare ineccepibile la motivazione della Corte territoriale secondo cui «un
eventuale errore sul numero di ruolo del procedimento, ferma restando la
corretta indicazione del fatto-reato, costituisce un mero errore
materiale», né l’imputato ha lamentato che la descrizione dell’addebito sia
in qualche misura mutata, nel decreto di citazione a giudizio che assume

alle contestazioni riportate nelle due sentenze (tanto meno segnala o
documenta di essere mai stato sottoposto a indagini in un ipotetico
procedimento effettivamente iscritto al n. 5580/2008 R.G.N.R.);
la Corte di appello si limitò a ribadire ciò di cui il giudice di prime cure
aveva dato atto a seguito della visione del filmato, nel corso di quel
dibattimento, ed è in re ipsa che la rimozione con forza dell’anta di una
vetrina comporti l’aggravante di cui all’art. 625 n. 2 cod. pen., stante
l’impiego di energia fisica con alterazione dello stato delle cose e non
essendo necessario che la violenza si eserciti con danno alla res oggetto
della condotta (v. Cass., Sez. IV, n. 40457 del 26/09/2002, Galli).
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna di entrambi gli
imputati al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto
riconducibile alla loro volontà (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al
versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di C 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi, e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 06/03/2014.

viziato, rispetto al contenuto dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen. od

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