Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23216 del 28/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23216 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso presentato nell’interesse di
Sorrentino Cristiano, nato a Brescia il 04/10/1971

avverso la sentenza emessa il 10/06/2013 dalla Corte di appello di Brescia

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Cristiano Sorrentino ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa dal Tribunale di Brescia in
data 19/12/2012: il Sorrentino risulta essere stato condannato alla pena di mesi
9 di reclusione per il delitto di tentata violenza privata continuata, in ipotesi
commesso in danno di Patrizia Buscicchio, cui avrebbe rivolto minacce (sia di

Data Udienza: 28/01/2014

morte, che di ritorsioni economiche) al fine di costringerla a portare le figlie
minori a rendere visita al padre – il fratello dell’imputato – ristretto in carcere.
Il difensore deduce:
1. inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riguardo alla
mancata riqualificazione dell’addebito ai sensi dell’art. 393 cod. pen.
La tesi difensiva è che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni
deve intendersi configurabile «anche allorché il diritto oggetto
dell’illegittima tutela privata non abbia l’estensione voluta dall’agente e

agisca nel ragionevole convincimento, indotto da elementi di natura
obiettiva e non connotato da evidente arbitrarietà o pretestuosità, di far
valere una pretesa giuridicamente tutelabile». A riguardo, nell’interesse
del ricorrente si segnala che la questione della possibilità del fratello
dell’imputato di incontrarsi con le figlie era oggetto di un procedimento
già pendente dinanzi alla competente autorità;
2. carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine ai profili di
gravame sull’illegittimità del disposto aumento di pena ex art. 81 cpv.
cod. pen., sull’omessa concessione delle attenuanti generiche e sulla
riduzione del trattamento sanzionatorio
La difesa rappresenta che i tre profili sopra enumerati, costituenti
specifiche ragioni di doglianza avverso la pronuncia di primo grado,
sarebbero rimasti sostanzialmente disattesi, in quanto la Corte
territoriale:
– afferma apoditticamente che la decisione della Buscicchio di registrare
la telefonata ricevuta dall’imputato 1’11/06/2006 implicherebbe il
rilievo che già in passato il Sorrentino doveva avere assunto
comportamenti analoghi, senza disporre di alcun riscontro a riguardo
(inoltre, i fatti di quel giorno dovrebbero essere considerati un
unicum, avendo il Sorrentino realizzato una condotta unitaria e non
interrotta, prima chiamando al telefono la persona offesa e poi
raggiungendola per avere con lei un incontro de visu);
– non considera che gli evocati precedenti specifici dell’imputato
risalgono comunque a data posteriore ai fatti de quibus, e che la
condotta successiva del ricorrente deve intendersi del tutto regolare,
come comprovato dalla volontà della Buscicchio di rimettere la querela
in relazione alla totalità degli addebiti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

non si riveli in tutto o in parte fondato, essendo sufficiente che il soggetto

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, «in tema di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 cod. pen.), la pretesa
arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto
della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico di guisa che ciò che
caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello
strumento di tutela pubblico con quello privato; è, inoltre, necessario che la

esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in essere un
comportamento costrittivo dell’altrui libertà di determinazione, giacché, in tal
caso, ricorrono gli estremi della diversa ipotesi criminosa di cui all’art. 610 cod.
pen. (violenza privata)» (Cass., Sez. V, n. 38820 del 26/10/2006, Barattelli, Rv
235765).
Nella motivazione della Corte bresciana, si richiama opportunamente, al fine
di confermare l’esatta qualificazione giuridica dell’addebito mosso al Sorrentino,
un diverso precedente di legittimità, che pur riguardando la distinzione tra i
delitti di ragion fattasi ed estorsione affronta le stesse problematiche; del resto,
va ricordato che il principio secondo cui «nel delitto di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni la condotta violenta o minacciosa è strettamente connessa alla
finalità dell’agente di far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si
pone come elemento accidentale, pertanto non può consistere in manifestazioni
sproporzionate e gratuite di violenza, in presenza delle quali deve, al contrario,
ritenersi che la coartazione dell’altrui volontà sia finalizzata a conseguire un
profitto

ex se

ingiusto» è testualmente ribadito anche in giurisprudenza

recentissima (v. Cass., Sez. V, n. 19230 del 06/03/2013, Palazzotto).
Nel caso oggi in esame, i giudici di merito danno contezza di minacce
smodate poste in essere dall’imputato, con trgri stesso a descriversi come “quello
più pazzo della famiglia”: minacce, peraltro, da correlare alla assoluta peculiarità
della vicenda, con Stefano Sorrentino che si trovava ristretto in carcere non per
chissà quali addebiti svincolati dal contesto, ma addirittura per avere ucciso il
nuovo compagno della Buscicchio.

Ergo, non può che convenirsi con la Corte

territoriale sul rilievo che «la pretesa che le minori visitassero il padre in carcere
(oltre ad essere stata espressa in toni estremamente minacciosi ed intimidatori)
non configurava un diritto assoluto, ma presupponeva, data la particolarità del
caso (stato di detenzione del padre per reato gravissimo e tenerissima età delle
bambine) una valutazione di interesse o non pregiudizio per le medesime».
1.2 La sentenza impugnata, rilevato che la persona offesa aveva sì rimesso
la querela, senza tuttavia mai modificare la portata delle proprie accuse, non fa

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condotta illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di

derivare da quella circostanza alcuna valutazione positiva sulla condotta del
Sorrentino successiva ai reati

de quibus:

rilievo, in vero, ineccepibile,

considerando la molteplicità delle ragioni che in un contesto di rapporti familiari
possono determinare un soggetto a non coltivare più una istanza punitiva.
Inoltre, che in termini più generali il comportamento dell’imputato non fosse
stato lusinghiero è parimenti evidenziato dalla Corte territoriale, laddove spiega
che «non competono le generiche alla luce dei precedenti anche specifici, nonché
delle susseguenti condanne, sempre per fatti che confermano le medesime

La decisione oggetto di ricorso si fa dunque correttamente carico della
circostanza che, quali elementi ostativi alla concessione delle attenuanti ex art.
62-bis cod. pen. (come pure,

a fortiori,

del beneficio della sospensione

condizionale, che presuppone un pronostico favorevole all’imputato sulla sua
futura regolarità di condotta), rilevano nel caso di specie comportamenti del
Sorrentino in parte posteriori. Ed invero, considerando che il giudice di merito
non è certamente chiamato a valutare la sola vita anteatta del prevenuto, si
rileva che il Sorrentino palesava condanne – v. il certificato penale in atti – di
sicuro rilievo, di cui anche quelle riguardanti fatti anteriori risultavano idonee a
descrivere precedenti specifici, in ragione di un comune connotato di violenza
(quali i pregiudizi per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali).
In ogni caso, deve essere tenuto presente che «il giudice può negare la
concessione delle attenuanti generiche in ragione di una condanna per reati
commessi successivamente ai fatti per cui si procede, dovendo riferirsi, ai fini
dell’applicazione delle circostanze previste dall’art. 62-bis cod. pen., ai parametri
fissati dall’art. 133 cod. pen.» (Cass., Sez. Il, n. 24207 del 14/03/2013, Piras,
Rv 256486); mentre, più in generale, si è affermato che «la sussistenza di
circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un
giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle
sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di
legittimità, purchè non contraddittoria e congruamente motivata, neppure
quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori
attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato« (Cass., Sez. VI, n. 42688 del
24/09/2008, Caridi, Rv 242419), come pure che «ai fini della concessione o del
diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere
in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene
prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché
anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del
reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso»
(Cass., Sez. II, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv 249163).

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inclinazioni e incapacità di autocontrollo».

Assolutamente logica e condivisibile si deve ritenere l’osservazione della
Corte territoriale circa le ragioni che avevano portato la Buscicchio a registrare la
conversazione avuta con l’imputato (se costui non fosse stato autore di
precedenti minacce, non ve ne sarebbe stato motivo), mentre risulta
manifestamente infondata la doglianza difensiva secondo cui – in presenza di
minacce prima telefoniche e poi pronunciate al cospetto della persona offesa, con
un rilevante intervallo temporale fra le une e le altre – dovrebbe ritenersi

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Sorrentino al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 28/01/2014.

configurabile un unico reato.

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