Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23189 del 28/02/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 23189 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GHEILER DAVID N. IL 21/10/1977
avverso la sentenza n. 1837/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
08/07/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 28/02/2014

1) Con sentenza dell’8.7.2013 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza del
Tribunale di Roma, in composizione monocratica, emessa in data 18.10.2012, con la
quale Gheiler bavid, applicata la diminuente per la scelta del rito, era stato
condannato alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 18.000,00 di multa per il reato di
cui all’art.73 comma 1 bis DPR 309/90.
Ricorre per collazione eheiler David, denunciando la violazione di legge e la mancanza
e l’illogicità di-motivazione in ordine alle censure sollevate con i motivi di appello.
2) Il ricorso è aspecifico e manifestamente infondato.
2.1) L’imputato era stato condannato, in primo grado, per aver (come risulta
dall’imputazione) illecitamente detenuto, a fini di spaccio, gr.1.347 circa di sostanza
stupefacente del tipo marijuana, nonché grammi 20 di cocaina utili al confezionamento
di 57 dosi singole destinate allo spaccio e per aver ceduto a bi Pierro Marco grammi
10 di sostanza del tipo marijuana.
La Corte territoriale, nel disattendere i motivi di appello con i quali si assumeva che
mancava la prova della cessione e comunque della destinazione allo spaccio della
sostanza stupefacente rinvenuta nell’abitazione, rilevava, facendo propria anche la
motivazione della sentenza di primo grado, che le dichiarazioni del Di Pierro erano
pienamente attendibili e che esse trovavano riscontro negli accertamenti di p.g.
(neutra era la circostanza che il fermo dell’imputato fosse avvenuto a distanza di
qualche ora dall’attività di osservazione della p.g.)
Secondo la Corte territoriale, poi, la prova della destinazione allo spaccio della droga
sequestrata nell’abitazione si ricavava, senza ombra di dubbio, dal quantitativo
considerevole della stessa, dal materiale rinvenuto (un arnese per sminuzzare la
droga, un rotolo di filo, ritagli di cellophane, una pressa per il confezionamento di
stupefacente, un bilancino di precisione, un foglio con annotazioni contabili), ed infine
dalla stessa avvenuta cessione, di una parte del quantitativo detenuto, al Di Pierro.
2.2) Il ricorrente, prescindendo completamente dalla sopra indicata motivazione
(soprattutto in ordine alla detenzione a fini di spaccio della sostanza stupefacente
rinvenuta a seguito della perquisizione), propone una rivisitazione delle risultanze
processuali con riferimento soltanto al mancato perfezionamento della condotta di
cessione.
Tali censure non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di
legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi
attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato,
senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il
giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i
risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle
acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della
modifica dell’art.606 lett.e) c.p.p., con la L.46/06, il sindacato della Corte di
Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza,

OSSERVA

contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del
processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di
legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo
quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e
di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida,
scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr.Cass.pen. sez.6 n.752 del 18.12.2006;
Cass.pen.sez.2 n.23419/2007-Vignaroli; Cass.pen. sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012).
3) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma
che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro
1.000,00.
Così deciso in Roma il 28.2.2014

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