Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2317 del 16/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2317 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SPERDUTI LUIGI N. IL 13/08/1938
avverso la sentenza n. 10/2012 TRIBUNALE di CASSINO, del
18/04/2014
visti gli atti, la sentenza 2- il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/10/2015 la relazióne fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per Q

Udito, per la parte civile, l’Avv.
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Data Udienza: 16/10/2015

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 18/04/2014 il Tribunale di Cassino ha confermato la
decisione di primo grado, che aveva condannato alla pena di giustizia e al
risarcimento dei danni Luigi Sperduti, avendolo ritenuto responsabile del reato di
cui all’art. 594 cod. pen., per avere indirizzato a Mario Tullio una missiva
contenente le seguenti espressioni: “voi non volete che faccio un tetto sul
terrazzo, così potete scrutarci senza vergogna”.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai

2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per
avere la sentenza impugnata attribuito rilievo alla circostanza che il destinatario
si sia sentito offeso, laddove ciò che rileva è la obiettiva offensività del fatto.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali, rilevando: a) che le
dichiarazioni della persona offesa, peraltro protagonista, con l’imputato, di un
contenzioso relativo alla aspirazione del secondo di realizzare una tettoia sul
proprio terrazzo, non erano assistite da alcun riscontro estrinseco; b) che non
era stato effettuato alcun accertamento in ordine all’effettiva provenienza della
missiva incriminata, ossia in ordine alla riconducibilità all’imputato della
sottoscrizione e della successiva attività di spedizione.
2.3. Con il terzo motivo si rileva che il fatto non è più previsto come reato, ai
sensi dell’art. 2 della L n. 67 del 2014.
3. È stata depositata memoria nell’interesse della parte civile.

Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, per assenza di specificità.
Il Tribunale chiarisce, al contrario di quanto ritenuto dal ricorrente, che, al di là
delle soggettive divergenze di suscettibilità e di particolare sensibilità, le frasi
adoperate dall’imputato, nella misura in cui attribuivano al destinatario la
propensione a scrutare senza vergogna il vicino di casa, rappresentavano
all’evidenza “un’oggettiva offesa rivolta alla persona offesa, che sarebbe stata
intesa in modo offensivo da chiunque”.
Ne discende che, anche sul piano letterale, il giudice di merito si è confrontato
con l’oggettiva portata dell’espressione adoperata, peraltro razionalmente
escludendo, proprio in ragione della conflittualità fra le parti, quell’effetto di
ilarità che il ricorrente pretende di attribuirle.
2. Il secondo motivo è inammissibile, per manifesta infondatezza e genericità.
Al riguardo, deve ribadirsi che le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod.
proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali
possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di
penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea
1

seguenti motivi.

motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità
intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e
rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi
testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214).
In ogni caso, la verifica attraverso indici esterni delle dichiarazioni della persona
offesa non si deve tradurre nell’individuazione di prove dotate di autonoma
efficacia dimostrativa, dal momento che ciò comporterebbe la vanificazione della
rilevanza probatoria delle prime.

valorizzati dal giudice di merito, non spiega neppure quali dichiarazioni della
persona offesa, di rilievo per il giudizio, non sarebbero accompagnate da riscontri
e trascura del tutto, all’interno del pacifico contenzioso tra le parti proprio per la
realizzazione della tettoia alla quale si riferisce la missiva, il significato della
spedizione di quest’ultima dalla Francia, dove l’imputato vive.
Quanto alla sottoscrizione, l’accertamento del giudice di merito, operato
attraverso un raffronto con altre sottoscrizioni apposte dallo Sperdute a missive
inviate alla persona offesa, non palesa alcuna manifesta illogicità, anche perché

pccompagnag da puntuali considerazioni sul contenuto di queste ultime, nelle
quali, pur non accompagnata da ingiurie, emergeva l’aspirazione dell’imputato a
che il Tullio chiudesse le sue finestre e non aprisse le persiane quando il primo si
trovava nel suo immobile.
Del resto, va ricordato che la prova dell’autenticità o falsità di un documento può
essere desunta da elementi diversi dalla perizia grafica, allorché l’esame diretto
della grafia addebitata all’imputato, raffrontata con scritture diverse certamente
riferibili al medesimo, convincano il giudice, in base ai principi del libero
convincimento e della libertà di prova, che si tratta di documento attribuibile allo
stesso imputato (Sez. 5, n. 42679 del 14/10/2010, Geremia, Rv. 249143).
3. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza, giacché la I. n. 67
del 2014 non ha comportato, come reso palese dal suo tenore letterale, alcuna
abrogazione della norma incriminatrice, ma ha solo delegato il Governo a
provvedervi. Ne discende, in conformità ai principi che regolano l’operatività
delle fonti del nostro ordinamento, che il risultato auspicato dal ricorrente si
realizzerà solo se e quando verrà emanato il decreto attuativo, in tal modo
legittimando il primo ad attivare il rimedio previsto dall’art. 673 cod. proc. pen.
4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione
delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00. Del pari, il
ricorrente va condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel
2

Ciò posto, il ricorrente, senza confrontarsi con il complesso degli elementi

giudizio di legittimità, che, in relazione all’attività svolta, vengono liquidate in
euro 1.500,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende, oltre al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile nel grado,
che liquida in complessivi euro 1.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 16/10/2015
Il Presidente

Il Componente estensore

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