Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23145 del 28/02/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 23145 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BOUDA ABDEL LLATIF N. IL 01/05/1986
avverso la sentenza n. 5608/2013 TRIBUNALE di MILANO, del
23/07/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 28/02/2014

Con sentenza emessa il 23/7/2013 ex art.444 cod. proc. pen. il Tribunale di Milano ha
applicato al Sig. Bouda Abdel Llatif in relazione al reato ex art.73, comma 5, del d.P.R. 9
ottobre 1990, n.309, commesso 1’8/5/2013, la pena di 5 mesi e 10 giorni di reclusione e
1.500,00 euro di multa.

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili.
I limiti che la giurisprudenza ha fissato circa l’interpretazione degli artt.129 e 444 cod. proc.
pen. e circa l’obbligo di motivazione del giudice sono costanti a far data dalla decisione delle
Sez.Un. Penali n.10732 del 27 settembre 1995, Serafino (rv 202270), secondo cui la motivazione può limitarsi a dare conto degli estremi del materiale probatorio dal cui esame il giudice
ha tratto la convinzione che non emergono gli estremi di non procedibilità ex art.129 cod. proc.
pen. così che in presenza dell’accordo delle parti non sono necessari ulteriori approfondimenti
(Sez.Unite Penali, sentenza n.3 del 1999, udienza 25 Novembre 1998, Messina, rv 212437).
A tali consolidati principi consegue che le parti che hanno sottoscritto e proposto l’accordo
sull’applicazione della pena accolto dal giudice non sono legittimate a mettere in discussione
con successiva impugnazione i presupposti dell’accordo medesimo (principio costantemente
affermato fin dalla sentenza della Sez.1, n.1549 del 1995, Sinfisi, rv 201160), con la
conseguenza che il controllo di legittimità in ordine alla sentenza di applicazione della pena può
avere ad oggetto la motivazione soltanto nel caso che dal provvedimento emerga l’evidenza
dell’esistenza di una delle condizioni indicate dall’art.129 c.p.p. (per tutte, sentenza della
Sez.3, Sezione n.2309 del 1999, Bonacchi, rv 215071) oppure la determinazione della pena in
misura illegale e che il ricorrente adempia all’onere di fornire puntuale indicazione dell’errore
compiuto dal giudicante.
Posto che nel caso di specie la motivazione non appare meritevole di censure e considerato che
nel caso in esame non risulta violata la legalità della pena alla stregua dei nuovi parametri
normativi introdotti con il decreto legge n.146 del 2013 e successiva legge di conversione, il
ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi
dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza
della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è
ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 28/2/2014
L’

ore

Il Presidente

Avverso tale decisione è stato presentato ricorso lamentando difetto di motivazione in ordine
alla insussistenza delle condizioni che imporrebbero l’applicazione dell’art.129 cod. proc. pen. e
in ordine all’entità della pena.

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