Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23142 del 28/02/2014
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23142 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MARINI LUIGI
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
BA KARA N. IL 01/01/1986
avverso la sentenza n. 10041/2013 GIP TRIBUNALE di TORINO, del
19/07/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;
Data Udienza: 28/02/2014
Con sentenza emessa il 19/7/2013 ex art.444 cod. proc. pen. il Giudice delle indagini
preliminari del Tribunale di Torino ha applicato al Sig. Kara BA in relazione al reato ex artt.81
cod. pen. e 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, commesso fino al 10/5/2013, la
pena di 1 anno di reclusione e 2.400,00 di multa, giudicata la circostanza diminuente
prevalente sulla recidiva.
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili.
I limiti che la giurisprudenza ha fissato circa l’interpretazione degli artt.129 e 444 cod. proc.
pen. e circa l’obbligo di motivazione del giudice sono costanti a far data dalla decisione delle
Sez.Un. Penali n.10732 del 27 settembre 1995, Serafino (rv 202270), secondo cui la motivazione può limitarsi a dare conto degli estremi del materiale probatorio dal cui esame il giudice
ha tratto la convinzione che non emergono gli estremi di non procedibilità ex art.129 cod. proc.
pen. così che in presenza dell’accordo delle parti non sono necessari ulteriori approfondimenti
(Sez.Unite Penali, sentenza n.3 del 1999, udienza 25 Novembre 1998, Messina, rv 212437).
A tali consolidati principi consegue che le parti che hanno sottoscritto e proposto l’accordo
sull’applicazione della pena accolto dal giudice non sono legittimate a mettere in discussione
con successiva impugnazione i presupposti dell’accordo medesimo (principio costantemente
affermato fin dalla sentenza della Sez.1, n.1549 del 1995, Sinfisi, rv 201160), con la
conseguenza che il controllo di legittimità in ordine alla sentenza di applicazione della pena può
avere ad oggetto la motivazione soltanto nel caso che dal provvedimento emerga l’evidenza
dell’esistenza di una delle condizioni indicate dall’art.129 c.p.p. (per tutte, sentenza della
Sez.3, Sezione n.2309 del 1999, Bonacchi, rv 215071) o che si versi in ipotesi di pena
illegalmente quantificata.
Posto che nel caso di specie la motivazione non appare meritevole di censure, e che con nota
del 4 febbraio 2014 il ricorrente ha sollecitato il passaggio in giudicato della sentenza,
dichiarando così tale interesse prevalente sul contenuto dell’originaria impugnazione, il ricorso
deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi
dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza
della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è
ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
determinata in via equitativa alla luce della sostanziale rinuncia al ricorso, di Euro 500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché al versamento della somma di Euro 500,00 alla Cassa delle ammende.
Così decis
Roma il 28/2/2014
DEPOSITATA
Avverso tale decisione è stato presentato ricorso lamentando difetto di motivazione in ordine
alla entità della pena ex art.133 cod. pen.