Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23124 del 28/02/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 23124 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RAPOTEZ GIOVANNI N. IL 10/07/1944
avverso la sentenza n. 702/2012 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 09/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 28/02/2014

Con sentenza in data 9/4/2013 la Corte di Appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza
del 30/1/2012 del Tribunale di Caltanissetta con cui il Sig. Giovanni FtAPOTEZ è stato
condannato in relazione al reato previsto dall’art.2, comma 1-bis, del d.l. 12 settembre 1983,
n.463 convertito in I. 11 novembre 1983, n.638 e successive modifiche, in relazione alle
mensilità da ottobre a dicembre 2006.

I motivi di ricorso sono manifestamente infondati e viziati da genericità. La Corte di appello ha
puntualmente risposto alle questioni sollevate con l’impugnazione e oggi pedissequamente
riproposte, affermando che la notificazione avvenne in modo rituale in quanto effettuata nel
luogo di effettiva abitazione dell’imputato e che nessun legittimo impedimento può essere
fatto valere dal’imputato allorché, già dichiarato contumace, non abbia comunicato al
giudicante la sopravvenuta condizione di custodia in carcere.
Va conclusivamente osservato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, si
considerano generici, con riferimento al disposto degli artt.581, comma primo, lett.c) e 591,
comma primo, lett. c) c.p.p., i motivi che ripropongono davanti al giudice di legittimità le
medesime doglianze presentate in sede di appello avverso la sentenza di primo grado e che
nella sostanza non tengono conto delle ragioni che la Corte di appello ha posto a fondamento
della decisione sui punti contestati. Si tratta di interpretazione costantemente applicata dalla
giurisprudenza di questa Corte ed espressa, da ultimo, con la sentenza della Sesta Sezione
Penale, n.22445 del 2009, P.M. in proc.Candita e altri, rv 244181, ove si afferma che “e’
inammissibile per genericità il ricorso per cassazione, i cui motivi si limitino a enunciare ragioni
ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato
dalla motivazione del provvedimento impugnato”.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la
somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 28/2/2014
(-\\

Avverso tale decisione è stato proposto ricorso col quale si lamenta: a) l’omessa notificazione
dell’ingiunzione al pagamento da parte dell’Inps; b) la propria impossibilità a presenziare
all’udienza in quanto detenuto e non messo in condizioni di intervenire.

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