Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23117 del 06/02/2013
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23117 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
EL KHAIRAT EL ~N. IL 01/01/1981
avverso l’ordinanza n. 2713/2010 CORTE APPELLO di TORINO, del
15/02/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;
Data Udienza: 06/02/2013
RITENUTO IN FATI-0
1. Con ordinanza del 15 febbraio 2012 la Corte d’appello di Torino, in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da El Khairat
El Alami, volta ai riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati
giudicati con tre sentenze di condanna, avuto riguardo alla mancanza di elementi
probativi della sussistenza della unicità del disegno criminoso.
del suo difensore il condannato, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di
unico motivo con il quale ha dedotto vizio della motivazione, ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per essere stata ritenuta in modo illogico
non sufficientemente provata la programmazione unitaria dei delitti oggetto della
richiesta, ricondotti a un impulso occasionale determinato da situazioni
contingenti.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. La nozione di continuazione delineata nell’art. 81, comma 2, cod. pen.,
richiede che i fatti siano riferibili a un “medesimo”, dunque originario, disegno
criminoso.
Detta unicità di disegno, necessaria per il riconoscimento della continuazione
in fase di cognizione e in fase esecutiva, non può identificarsi con la generale
tendenza a porre in essere determinati reati o comunque con una scelta di vita
che Implica la reiterazione di determinate condotte criminose. Occorre, invece,
che si abbia una iniziale programmazione e deliberazione di compiere una
pluralità di reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine
progettati e organizzati, purché siano almeno in linea generale previsti in
funzione di “adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al
conseguimento di un unico fine, prefissato e sufficientemente specifico.
Deve, pertanto, escludersi che una tale programmazione possa essere
desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui essi
sono maturati. Né l’inciso “anche in tempi diversi”, contenuto nell’art. 81,
comma 2, cod. pen., consente di escludere rilevanza all’aspetto del tempo di
commissione dei reati, non potendo ritenersi che la vicinanza temporale
costituisca di per sé “indizio necessario” dell’esistenza del medesimo disegno
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2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione per mezzo
criminoso, né escludersi che la distanza temporale possa costituire in concreto
un limite logico alla possibilità di ravvisare la continuazione per le difficoltà di
programmazione e deliberazione a lunga scadenza dei singoli episodi criminosi.
1.2. Nella specie, il Giudice dell’esecuzione, che ha preso in considerazione i
reati, cui il ricorrente ha riferito la sua richiesta di unificazione, ha logicamente e
ragionevolmente valorizzato la distribuzione dei reati in un arco considerevole di
tempo, durante il quale vi sono stati anche periodi di carcerazione, traendone
ragioni dimostrative della loro commissione in dipendenza di situazioni
Insussistenza di un programma criminoso unitario, sia pure generico.
Le linee argomentative dell’ordinanza, congrue sul piano logico e corrette in
diritto, resistono alle censure formulate dal ricorrente, che si risolvono nella
generica prospettazione dell’analogia del modus operandi e della identità della
natura delle sostanze spacciate nell’ottica di una rilettura e rivalutazione di
merito dei dati fattuali, in quanto tale non consentita in sede di legittimità.
2. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, in data 6 febbraio 2013
Il Consigliere estensore
Il Presidente
contingenti, della propensione a commettere un certo tipo di reati e della