Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23109 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 23109 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) SANTANIELLO SALVATORE N. IL 17/01/1960
avverso l’ordinanza n. 3870/2012 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
28/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI PIETRO
CAIAZZO;
Mia/sentite le conclusioni del PG Dott. M
te toligt”
lkok Ct.; A.SP e•k, tl•Z

Uditi difensor Avv.;

/

Atk

Data Udienza: 05/12/2012

RILEVATO IN FATTO
Con ordinanza in data 28.5.2012 il Tribunale del riesame di Napoli confermava
l’ordinanza del GIP del Tribunale di Napoli in data 26.4.2012 con la quale
SANTANIELLO SALVATORE era stato sottoposto alla custodia cautelare in
carcere in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 c.p. per
aver partecipato all’associazione di tipo camorristico denominata clan Stolder,
promossa, diretta e organizzata da Stolder Raffaele, appena lo stesso era stato
scarcerato, dopo oltre 16 anni di detenzione; reato accertato in Napoli nel

Il Tribunale rigettava le eccezioni sollevate in via preliminare dalla difesa.
Riteneva non sussistente la violazione del disposto di cui all’art. 292/2-ter
c.p.p., in relazione alla denunciata mancata valutazione da parte del GIP di
elementi favorevoli all’indagato, quali gli interrogatori resi dal coindagato
Vallefuoco Francesco o l’istanza del 14.12.2011, con allegato un articolo di
giornale, presentata dal difensore al Pubblico Ministero.
Rilevava che, diversamente da quanto denunciato dal difensore, nell’ordinanza
cautelare il GIP aveva considerato sia le ragioni di doglianza espresse dalla
difesa in sede di riesame avverso la prima ordinanza cautelare (in data
1.9.2011 e annullata dal Tribunale del riesame con ordinanza in data
11.10.2011), sia quelle avverso la seconda ordinanza cautelare (in data
28.10.2011 e annullata dal Tribunale del riesame con ordinanza in data
22.11.2011).
Riteneva, inoltre, non fondate le questioni di inutilizzabilità sollevate dalla difesa
con riguardo alle intercettazioni disposte con il RIT 1250/2008 e quelle disposte
con il RIT 1425/2008, in quanto le stesse erano state effettuate nell’ambito di
altro procedimento penale (n. 60455/2002) nel quale si indagava sull’esistenza
dell’associazione per delinquere Missi e sul triplice omicidio Cella-Lollo-Guazzo.
Non era pertanto applicabile la normativa di cui agli artt. 266 e segg. c.p.p. ma
solo quanto disposto nell’art. 270 c.p.p..
Pertanto, al fine di utilizzare le conversazioni intercettate di cui ai suddetti RIT,
era sufficiente il deposito dei verbali e delle registrazioni nel presente
procedimento, adempimento che era regolarmente avvenuto.
La difesa, quindi, non poteva eccepire – per contestare l’utilizzabilità del RIT
1250/2008 – la mancata trasmissione dei verbali contenenti le dichiarazioni
rese dai collaboratori Luigi Giuliano e Giuseppe Misso, né poteva fondatamente
eccepire l’utilizzabilità del RIT 1425/2008, non emergendo dagli atti che fosse
stata presentata all’autorità giudiziaria del diverso procedimento la richiesta di
copia di atti e/o documenti idonei a scalfire la sussistenza dei presupposti
legittimanti la captazione.
1

maggio 2009 con condotta perdurante.

In un apposito capitolo l’ordinanza indicava gli elementi in base ai quali doveva
ritenersi sussistente un’associazione per delinquere di stampo camorristico
capeggiata da Stolder Raffaele e richiamava sul punto precedenti decisioni del
Tribunale del riesame emesse nei confronti di coindagati, avverso le quali erano
stati interposti ricorsi che la Corte di cassazione aveva rigettato.
In un successivo capitolo venivano indicati gli elementi a carico del Santaniello
in ordine al delitto associativo contestatogli.
Gravi indizi di reità venivano desunti dal contenuto delle conversazioni captate

riunioni nelle quali si discuteva dei rapporti con altri clan e delle persone che
stavano collaborando con la giustizia; in queste riunioni venivano anche
programmati vari tipi di colpi e il Santaniello appariva come uno dei fedelissimi
del capo, tenuto in considerazione per la sua competenza nelle attività da
svolgere nei condotti fognari e nella modifica di auto al fine di accedere ai
suddetti condotti. Risultava anche che il predetto indagato, nel corso delle
riunioni, aveva proposto i colpi da mettere a segno, come quello nei confronti
del notaio Tafuri, ed aveva partecipato all’organizzazione degli stessi.
Da intercettazioni telefoniche risultava che il Santaniello si interessava anche
del settore delle estorsioni ed era stato messo in contatto dallo Stolder con La
Manna Domenico e Vallefuoco Francesco, a riprova dello stretto rapporto che
l’indagato intratteneva con il capo dell’associazione.
Il Tribunale prendeva in considerazione la lettura alternativa di alcune
conversazioni offerta dalla difesa dell’indagato e riteneva che la stessa fosse
smentita, oltre che dal tenore delle stesse conversazioni, dalle dichiarazioni rese
da Mango Vincenzo, cognato del Santaniello.
Con riguardo alle esigenze cautelari, riteneva che la gravità dei fatti contestati e
il contesto in cui gli stessi erano maturati imponessero la custodia cautelare in
carcere, essendo insita la pericolosità sociale nella condotta così come
contestata.
Richiamata la presunzione di cui all’art. 275/3 c.p.p., osservava che dagli
elementi addotti dalla difesa non poteva desumersi la cessazione delle esigenze
cautelari, essendo concretamente possibile che il Santaniello, se scarcerato,
avrebbe potuto continuare a fornire il proprio contributo all’associazione
criminale dello Stolder.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore,
chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.
Violazione degli artt. 273-291/1-292/2-ter in relazione all’art. 358 c.p.p. e 38
disp. att. c.p.p..
2

a casa dello Stolder, dalle quali risultava che il Santaniello partecipava alle

Il GIP aveva omesso di analizzare l’ordinanza del Tribunale del riesame in data
4.4.2012 con la quale era stata annullata la misura cautelare nei confronti del
coindagato Vallefuoco Francesco.
Il Vallefuoco aveva dato al contenuto di conversazioni captate
un’interpretazione autentica delle stesse che consentiva una lettura alternativa
dei fatti rispetto a quella data dal giudice cautelare.
Nell’ordinanza cautelare non erano state esposte le ragioni per le quali si erano
ritenuti irrilevanti per la posizione del Santaniello gli interrogatori resi dal

considerazione altri elementi favorevoli alla posizione del predetto indagato,
quali il contenuto dell’istanza difensiva in data 14.12.2001, con allegata la
fotocopia di un articolo di giornale del 13.10.2011; il contenuto della memoria
difensiva depositata all’udienza del Tribunale del riesame del 22.11.2011;
l’informativa di reato in data 17.3.2008; il decreto di acquisizione atti del
6.5.2008 presso l’istituto penitenziario di Sulmona; le dichiarazioni dei
collaboratori Giuseppe Misso e Luciano Giuliano.
Il Tribunale del riesame non aveva rilevato la nullità derivante dalla omessa
valutazione da parte del GIP di elementi favorevoli alla posizione dell’indagato e
dalla mancata trasmissione al Tribunale del riesame da parte del P.M. di
ulteriori elementi sopravvenuti anch’essi a favore della posizione del
Santaniello.

Violazione degli artt. 271, 291 e 309/comma 5 e 10 c.p.p. nonché dell’art.
267/1 c.p.p..
Il ricorrente ha sostenuto che il Tribunale del riesame erroneamente aveva
ritenuto che i decreti di intercettazione d’urgenza n. 1250/2008 e n. 1425/2008
fossero stati emanati nell’ambito di altro procedimento penale, poiché il
presente procedimento (n. 11341/2010) non era altro che uno stralcio del
procedimento n. 60455/2002.
I suddetti decreti erano stati emessi al fine di intercettare le conversazioni dello
Stolder, con riferimento all’imminente riorganizzazione dell’associazione che il
predetto intendeva compiere appena scarcerato. Le indagini nei confronti del
clan Missi avevano fatto emergere indizi di reità a carico dello Stolder circa
l’omicidio Cella-Lozzo-Guazzo, quindi le indagini nei confronti dello Stolder
facevano parte, nella sostanza, del presente procedimento riguardante il clan
camorristico capeggiato dallo Stolder, non potendosi ricollegare la diversità dei
procedimenti solo al dato formale di un numero diverso di iscrizione nel registro
delle notizie di reato nel momento in cui erano state disposte le intercettazioni
in questione.
3

Vallefuoco in data 1 e 5 dicembre 2011, così come non erano stati presi in

In base a questo assunto la difesa ha contestato l’utilizzabilità delle
conversazioni intercettate con i suddetti decreti, e perché non erano state
trasmesse le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Luigi Giuliano e Giuseppe
Misso, e perché i decreti erano stati emessi sulla base di un contenuto auditivo
ottenuto sulla base di provvedimenti illegittimi.
Ha contestato, inoltre, la motivazione con la quale il decreto del 10.3.2008
aveva disposto l’intercettazione d’urgenza sull’autovettura dello Stolder, dopo la
sua scarcerazione, in quanto a carico del predetto non vi erano gravi indizi di

essere stato lo Stolder un esponente apicale della camorra napoletana – poiché
il predetto era stato condannato solo per il delitto di cui all’art. 416 c.p., ed era
solo una mera ipotesi, non basata su elementi concreti, che lo stesso avesse
intenzione di costituire un gruppo camorristico. Neppure risultava
adeguatamente motivata l’assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione
delle indagini.
Anche il decreto che aveva disposto l’intercettazione sull’utenza telefonica del
Santaniello non aveva indicato gli elementi indiziari dai quali era stata desunta
la partecipazione del predetto ad un’associazione criminale di stampo mafioso.
Violazione degli artt. 273 e 192 c.p.p..
Il ricorrente, in sede di interrogatorio di garanzia, aveva dato una spiegazione
ad ogni telefonata che lo riguardava, consentendo una lettura alternativa
rispetto a quella elaborata nell’ordinanza cautelare genetica. In particolare dal
contenuto della frase pronunciata dallo Stolder (Però ha il posto di lavoro
impegnativo nella metropolitana) si doveva evincere che l’indagato non poteva
mettersi a disposizione dell’organizzazione in ragione del lavoro che svolgeva
presso una ditta di pulizie.
Violazione degli artt. 274 e 275/3 c.p.p. in relazione all’art. 416-bis c.p..
Secondo il ricorrente, il Tribunale non aveva correttamente interpretato l’art.
275/3 c.p.p., ritenendo che sussistesse l’obbligo di mantenere la misura più

reato, non sussistendo il presupposto di fatto per disporre l’intercettazione –

grave, anche in presenza di esigenze cautelari affievolite, dopo il provvedimento
genetico della misura.
Inoltre, era stata motivata in modo generico la pericolosità sociale del
ricorrente, senza tener conto di elementi sopravvenuti che imponevano la
rivalutazione delle esigenze cautelari, quali il comportamento dell’indagato dopo
la scarcerazione del 22.11.2011 (a seguito dell’annullamento dell’ordinanza
cautelare in data 28.10.2011); le informazioni di Polizia dalle quali risultava che

il Santaniello, successivamente all’arresto di Stolder, non era stato più visto
aggirarsi nella zona dove il predetto abitava; nei controlli a cui era stato
sottoposto dal 2009 non era stato mai trovato in compagnia di persone
pregiudicate.
4

t

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
L’art. 291 c.p.p., nell’indicare il procedimento applicativo della misura cautelare,
prevede che la stessa sia disposta dal giudice competente su richiesta del P.M.,
il quale deve presentare gli elementi su cui la richiesta si fonda nonché tutti gli
elementi a favore dell’imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già
depositate.
Corrispondentemente, vi è l’obbligo del giudice, sancito a pena di nullità

sia quelli raccolti dal P.M. ex art. 358 c.p.p., sia quelli raccolti dal difensore ex
art. 327-bis c.p.p. (art. 292/2-ter c.p.p.).
Il ricorrente lamenta che il Tribunale non avrebbe rilevato la nullità
dell’ordinanza cautelare derivante dall’omessa valutazione da parte del GIP di
elementi favorevoli alla posizione del Santaniello, di cui fornisce un elenco,
indicando l’atto non valutato e la data dello stesso.
Il Tribunale, al quale il ricorrente aveva già proposto la stessa eccezione, ha
negato la denunciata carenza di motivazione dell’ordinanza impugnata.
Rileva, peraltro, questa Corte che non basta indicare la mancata menzione di un
atto, che si assume favorevole all’indagato, nella motivazione dell’ordinanza
impugnata per farne discendere automaticamente la nullità della stessa
ordinanza.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la disposizione di cui all’art. 292,
comma secondo ter, cod. proc. pen., in base alla quale l’ordinanza di
applicazione della custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la
valutazione degli elementi a favore dell’imputato, non impone al giudice
l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, né
tantomeno gli prescrive – in sede di riesame – la confutazione, punto per punto,
di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la
pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di
specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi
accusatori: invero, nella nozione di “elementi di favore” rientrano solo i dati di
natura oggettiva aventi rilievo concludente, mentre restano escluse le mere
posizioni difensive negatorie o le prospettazioni di tesi interpretative
alternative, le quali sono assorbite nell’apprezzamento complessivo cui procede
il giudice “de libertate” (V. Sez. 2 sentenza n. 13500 del 13.3.2008, Rv.
239760).
Nel ricorso manca, nella indicazione degli elementi che si assumono favorevoli
all’indagato e non valutati dal GIP, qualsiasi specificazione sulla rilevanza e
concludenza degli stessi elementi, e quindi il motivo di ricorso è infondato.
5

dell’ordinanza cautelare, di valutare anche gli elementi a favore dell’indagato,

Il ricorrente sostiene che sarebbero inutilizzabili alcune intercettazioni (RIT
1250/2008 e RIT 1425/2008) disposte nel procedimento n. 60455/2002, e
acquisite nel presente procedimento n. 11341/2010, se sottoposte alle ordinarie
regole dettate per le intercettazioni disposte nell’ambito del procedimento,
assumendo che le intercettazioni in questione non potevano essere
considerante disposte in altro procedimento, poiché i suddetti procedimenti
erano parti di un’unica indagine, e il presente procedimento non era altro che
uno stralcio da quello n.60455/2002.

disposte nell’ambito di altro procedimento (n. 60455/2002), seppure
strettamente collegato al presente, deve essere applicato l’art. 270 c.p.p.,
concernente l’utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti.
Non è discutibile che l’illegalità con la quale sono state disposte le
intercettazioni rende le stesse inutilizzabili non solo nel procedimento a quo, ma
anche nel procedimento ad quem, come tra l’altro può desumersi dalla sentenza
della Corte Costituzionale n. 223/1987, quantunque con riferimento alla
normativa del codice di rito abrogato, e dalla giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo (C. eur.d.u., 24.4.1990 affare Huvig contro Francia
e C. eur.d.u., 24.4.1990 affare Kruslin contro Francia).
L’inutilizzabilità della prova rilevabile anche nel processo in cui le intercettazioni
sono state acquisite non può dipendere, però, dalla mancata trasmissione di
atti, ma dalla illegalità del procedimento di ammissione dell’intercettazione.
I contrasti in giurisprudenza sulla necessità o meno dell’acquisizione d’ufficio nel
processo ad quem dei decreti autorizzativi sono stati risolti dalla Sezioni Unite
di questa Corte con la sentenza n. 45189 del 17.11.2004, nella quale si è
stabilito che:
– i decreti autorizzativi nel processo ad quern vanno prodotti da chi vi abbia
interesse, perché il controllo sulla legalità del procedimento di ammissione
dell’intercettazione è demandata all’iniziativa delle parti;

Essendo però incontestato che le intercettazioni di cui trattasi sono state

– il giudice è tenuto a rilevare d’ufficio l’inutilizzabilità che risulti ex actis, ma non
è tenuto a ricercarne d’ufficio la prova;
-l’onere

di

provare

l’illegalità

del

procedimento

di

ammissione

dell’intercettazione incombe su chi formuli l’eccezione di inutilizzabilità della
prova;
– nel procedimento ad quem la parte, ove eccepisca la mancanza o l’illegalità
dell’autorizzazione, deve non solo allegare ma anche provare il fatto dal quale
dipenda l’inutilizzabilità eccepita.
Nella menzionata sentenza è stato quindi dettato il seguente principio di diritto:
“nel caso di acquisizione dei risultati di intercettazioni disposte in altro
procedimento, l’eventuale inutilizzabilità della prova a norma dell’art. 271 c.p.p.

v6

può

dipendere

dall’illegalità

del

procedimento

dell’intercettazione, ma non dalla mancata trasmissione

ammissione

di
del

documento

rappresentativo dell’intervenuta autorizzazione o della proroga delle operazioni;
e, trattandosi di un fatto processuale, il fatto dal quale dipende tale illegalità va
provato dalla parte che la eccepisce”.
Correttamente, quindi, il Tribunale ha ritenuto che, al fine di utilizzare le
conversazioni intercettate di cui ai suddetti RIT, fosse sufficiente il deposito nel
presente procedimento dei verbali e delle registrazioni.

decreto 10.3.2008 (con il quale era stata disposta l’intercettazione d’urgenza
nell’autovettura dello Stolder, dopo la sua scarcerazione) per insussistenza di
gravi indizi di reato, si deve osservare che quando l’intercettazione è stata
disposta in relazione ad un delitto di criminalità organizzata, l’art. 13 della legge
203/1991 stabilisce che per procedere alla intercettazione basta la sufficienza
degli indizi in ordine al reato di criminalità organizzata.
Peraltro, che il predetto avesse intenzione di costituire un gruppo camorristico
non era solo un’ipotesi degli inquirenti, avendo riferito di questa intenzione dello
Stolder alcuni collaboratori di giustizia.
Anche per il decreto che aveva disposto l’intercettazione sull’utenza telefonica
del Santaniello, essendo questi indiziato in ordine ad un reato di criminalità
organizzata, presupposto per disporre l’intercettazione doveva essere
considerato la sufficienza degli indizi e non la gravità degli stessi.

Il ricorrente ha sostenuto che l’indagato è stato in grado di dare una
spiegazione logica di ogni conversazione intercettata che lo riguardava, e quindi
questa possibile lettura alternativa degli indizi desunti dalle conversazioni
intercettate avrebbe dovuto convincere il Tribunale che era venuta meno la
gravità indiziaria nei confronti dell’indagato.
Il Tribunale, con motivazione immune da vizi logico giuridici, ha indicato le
ragioni per le quali dalle conversazioni intercettate si dovevano desumere gravi
indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in ordine al delitto ascrittogli.
Il giudizio di merito del Tribunale, essendo adeguatamente motivato, non è
sottoposto al sindacato di questa Corte di legittimità, neppure di fronte ad una
plausibile interpretazione da parte della difesa delle risultanze processuali.
Il sindacato di legittimità, infatti, secondo quanto dispone l’art. 606.1 lett. e)
cod. proc. pen., è circoscritto nei limiti della assoluta “mancanza o manifesta
illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento
impugnato”. Tale controllo di legittimità è diretto ad accertare che a base della
pronuncia esista un concreto apprezzamento delle risultanze processuali e che
la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici,
7

Con riferimento alla contestazione da parte del ricorrente della motivazione del

restando escluse da tale controllo non soltanto le deduzioni che riguardano
l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi di prova e la scelta di
quelli determinanti, ma anche le incongruenze logiche che non siano manifeste,
ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con le conclusioni
adottate o con altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici. La verifica di
legittimità riguarda cioè la sussistenza dei requisiti minimi di esistenza e di
logicità della motivazione, essendo inibito dall’art. 606.1 lett. e) cit. il controllo
sul contenuto della decisione.

ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti addotta dai ricorrenti né
su altre spiegazioni fornite dalla difesa, per quanto plausibili e logicamente
sostenibili (V. Sez. 6 sentenza n. 1662 del 4.12.1995, Rv. 204123).
Le modifiche apportate dall’art. 8 L. 20 febbraio 2006, n. 46 non hanno mutato
la natura del giudizio di cassazione, che rimane un giudizio di legittimità. Ne
consegue che gli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame” menzionati ora dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod.proc.pen.,
non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se
convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio,
avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata,
rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza
della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite,
da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (V. Sez. 4 sentenza n.
35683 del 10.7.2007, Rv. 237652).

Con l’ultimo motivo di ricorso si sostiene che il Tribunale non aveva
correttamente interpretato la presunzione di cui all’art. 275/3 c.p.p., ritenendo
che la stessa fosse operante non solo al momento genetico della misura, ma
anche nelle fasi successive, seppure in presenza di esigenze cautelari
affievolite.
La suddetta interpretazione è invece del tutto corretta, come hanno
recentemente stabilito le Sezioni Unite di questa Corte (ordinanza n. 34473 del
19.7.2012, Rv. 253186), precisando che la presunzione di adeguatezza della
custodia in carcere di cui all’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. opera non
solo nel momento di adozione del provvedimento genetico della misura
coercitiva ma anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza
delle esigenze cautelari.
Peraltro il Tribunale ha analiticamente preso in esame gli argomenti in base ai
quali la difesa aveva sostenuto che fossero cessate le esigenze cautelari,
contestandoli con osservazioni logiche e concludendo che, avuto riguardo alla
pericolosità dell’indagato, vi era il concreto pericolo che lo stesso, se posto in
8

Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di

libertà, sarebbe potuto rientrare nei ranghi dell’associazione dello Stolder, che
non risultava essere stata sgominata.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al

Così deciso in Roma in data 5 dicembre 2012
Il Consigliere estensore

direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94/1-ter disp. att. c.p.p..

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