Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23106 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23106 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da Grieco Francesca, n, a Santeramo in Colle il 27/02/1956;
avverso la ordinanza del Tribunale di Monza, in data 20/11/2011;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale V. D’Ambrosio, che ha concluso per il rigetto;
RITENUTO IN FATTO

1.Grieco Francesca ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con
cui il Tribunale del riesame di Monza ha rigettato l’appello presentato avverso
l’ordinanza del Tribunale in composizione collegiale di rigetto di istanza di
dissequestro di beni, già assoggettati a sequestro per equivalente, relativamente
a vari reati tributari (presentazione di dichiarazioni fiscali fraudolente, emissione
ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti) nonché al reato di cui all’art.
416 c.p., onde potere disporre della somma mensile di euro 2.000,00 per potere
fare fronte alle necessità primarie di vita.

Data Udienza: 23/04/2013

2. Con un unico motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione di legge in
relazione all’art. 322 ter c.p.; si duole che il tribunale non abbia accertato se e in
quale misura la Grieco abbia tratto profitto dalle ipotesi contestate; censura poi
che non abbia dato alcun seguito al provvedimento del Gip che aveva
correttamente autorizzato il prelievo di euro 2.000,00 al mese dal denaro sotto
sequestro nonché la contraddittorietà con tale ultimo provvedimento
vanificherebbe lo stesso sequestro preventivo consentendo di erodere
progressivamente il quantum sottoposto al vincolo, argomentazione peraltgi /in
contrasto con il principio di non colpevolezza dell’art. 27 Cost.; sottolinea la
necessità di poter disporre di tali somme per far fronte alle esigenze
fondamentali di vita. Precisa infine che l’istanza del 24/10/2012 rivolta al
Tribunale non era altra e diversa istanza rispetto a quella proposta al Gip ma
Istanza volta ad ottenere l’esecuzione della stessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso va rigettato.
Va anzitutto osservato, quanto alla doglianza, peraltro del tutto generica, circa la
mancata individuazione del profitto, che il sequestro è stato disposto in relazione
a reati tributari nei quali la stessa condotta illecita dà luogo, in generale, a
profitto consistente nel mancato pagamento delle imposte conseguenti anche,
eventualmente, a costi fittiziamente esposti, mentre, d’altra parte, ogni censura
volta a sostenere la legittima provenienza dei beni sottoposti a sequestro
confligge con la stessa ratio del sequestro per equivalente, del tutto svincolata
dalla natura lecita o meno della provenienza dei beni aggrediti.
Quanto alla principale censura, va in primo luogo rilevato che, al di là della
legittimità o meno degli stessi, nessun precedente vincolante per il tribunale
potevano rappresentare i provvedimenti con cui il Gip, in precedenza, e
precisamente nelle date dell’11/07/2011 e del 02/02/2012, aveva autorizzato
l’instante a prelevare periodicamente dal denaro sotto sequestro somme per far
fronte ai propri fabbisogni, non potendo evidentemente tali provvedimenti, in
ragione dei criteri di competenza “funzionale”, spingere l propri effetti al di là
della fase strettamente propria delle indagini preliminari sino a pervadere quella
dibattimentale. Ne consegue, tra l’altro, che, diversamente da quanto ritenuto
dalla ricorrente, nessuna finalità di esecuzione, sostanzialmente pretesa come
“dovuta”, del provvedimento del Gip poteva essere ravvisata alla base della
richiesta di “dissequestro”, rigettata dal Tribunale.
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dell’argomentazione per cui l’eventuale concessione di un prelievo mensile

Ciò posto, e venendo al merito, il ricorso censura fondamentalmente l’assunto
del Tribunale, condiviso anche dai giudici del riesame, secondo cui le pretese di
“dissequestro” parziale della ricorrente contrasterebbero con la ratio stessa del
sequestro per equivalente, posto che progressivi prelievi di denaro verrebbero ad
erodere la finalità, sottesa allo strumento cautelare, diretta a consentire di
procedere, una volta riconosciuta la responsabilità, a confisca per equivalente del

Tale doglianza non può tuttavia condividersi : non solo infatti la stessa risulta
fondamentalmente immotivata quanto alle ragioni che giustificherebbero un tale
assunto, dato che il richiamo al principio di non colpevolezza appare non
pertinente allorché si versi in tema di misure cautelari, tra cui rientra il
sequestro preventivo, per le quali il principio di non colpevolezza è,
evidentemente, adeguatamente soddisfatto attraverso la sufficiente
individuazione del “fumus” del reato contestato, ma è anche contrastante con le
norme di legge laddove quest’ultima indica specificamente, nella disciplina del
pignoramento presso il debitore del codice di rito civile come richiamata
dall’art.104 disp. att. c.p.p., le cose mobili assolutamente impignorabili,
individuate in particolare negli artt. 514 n. 2 e 515 c.p.c; è infatti
l’impignorabilità delle stesse a rappresentare il “limite di operatività” per così dire
“a monte” del sequestro in funzione delle esigenze di vita primarie
dell’interessato senza che, al di là di esse, il sequestro possa essere
ulteriormente limitato “a valle” o, addirittura, sostanzialmente caducato, come
invece, in fatto, finirebbe per pretendere la ricorrente.
La infondatezza delle pretese della ricorrente comporta il rigetto del ricorso con
conseguente condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2013
Il Coiglierèst.

profitto dei reati perpetrati.

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