Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23080 del 28/02/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 23080 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PALMA DOMENICO N. IL 25/04/1970
avverso la sentenza n. 619/2004 CORTE APPELLO di ANCONA, del
08/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 28/02/2014

Con sentenza in data 8/5/2012 la Corte di Appello di Ancona ha parzialmente riformato la
sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno nei confronti del Sig. Domenico Palma e, esclusa la
continuazione fra i reati, lo ha condannato alla pena di 5 mesi e 10 giorni dir esclusione e
1.200,00 euro di multa in relazione al reato previsto dall’art.73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre
1990, n.309.

Osserva la Corte che il ricorrente propone censure che introducono contestazioni in punto di
fatto e che sollecitano ia Corte a rivisitare le valutazioni operate nel merito dal giudicante; si
tratta di richieste estranee al giudizio di legittimità alla luce di quanto affermato dalla costante
giurisprudenza, secondo cui è “preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26
aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).
La Corte di appello ha, conclusivamente, valorizzato plurimi indicatori di destinazione della
sostanza allo “spaccio”. Con tale argomentazione il ricorrente non si è confrontato, limitando a
richiamare lo stato di consumatore abituale; tale circostanza è stata valutata dai giudici di
appello e considerata unitamente ad altri elementi in fatto, così che il ricorso risulta affetto
anche da genericità. Secondo il costante orientamento di questa Corte, si considerano generici,
con riferimento al disposto degli artt.581, comma primo, lett.c) e 591, comma primo, lett. c)
c.p.p., i motivi che ripropongono davanti al giudice di legittimità le medesime doglianze
presentate in sede di appello avverso la sentenza di primo grado e che nella sostanza non
tengono conto delle ragioni che la Corte di appello ha posto a fondamento della decisione sui
punti contestati. Si tratta di interpretazione costantemente applicata dalla giurisprudenza di
questa Corte ed espressa, da ultimo, con la sentenza della Sesta Sezione Penale, n.22445 del
2009, P.M. in proc.Candita e altri, rv 244181, ove si afferma che “e’ inammissibile per
genericità il ricorso per cassazione, i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti già
illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione
del provvedimento impugnato”. Va, infine, considerato che nel caso in esame non risulta
violata la legalità della pena alla stregua dei nuovi parametri normativi introdotti con il decreto
legge n.146 del 2013 e successiva legge di conversione.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la
somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 28/2/2014

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Avverso tale decisione è stato proposto ricorso col quale si lamenta: vizio di motivazione ai
sensi dell’art.606, lette) cod. proc. pen. in relazione alla esclusione della destinazione della
sostanza ad un utilizzo esclusivamente personale da parte dell’imputato.

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