Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23076 del 28/02/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 23076 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MUCA ALTIN N. IL 05/07/1984
avverso la sentenza n. 11584/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del
20/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 28/02/2014

1) Con sentenza del 20.3.2013 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza del
&IP del Tribunale di Vercelli, emessa il 18.12.2006, con la quale Muca Altin, previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e con la diminuente per la
scelta del rito, era stato condannato alla pena (sospesa alle condizioni di legge) di
mesi 8 di reclusione ed euro 2.000,00 di multa per i reati di cui all’art.73 bPR 309/90,
concessa la circostanza attenuante di cui al comma 5.
Ricorre per cassazione Muca Altin, a mezzo del difensore, eccependo la prescrizione
del reato e denunciando l’erronea applicazione dell’art.73 comma 7 bPR 309/90.
Con memoria del 27.2.2014 si ribadisce che la prescrizione era maturata già al
momento del giudizio di appello.
2) Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1) Non c’è dubbio che, a norma dell’art.160 co.3 c.p., la prescrizione interrotta
cominci nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione.
La giurisprudenza di questa Corte ha, del resto, più volte ribadito che, in tema di
prescrizione, pur in presenza di più atti interruttivi, perchè possa ritenersi non
verificata la estinzione del reato, è necessario, non solo che non sia superato il
termine massimo previsto dall’ultima parte del terzo comma dell’art.160 cod. pen., ma
anche che, tra un atto interruttivo ed un altro, non sia superato il termine ordinario
previsto nel comma primo dell’art.157 stesso codice. Conseguentemente, come è
indubbio che il termine prescrizionale deve ritenersi spirato se, tra la data si
commissione del reato ed il primo atto potenzialmente interruttivo, sia trascorso il
termine ordinario, così è altrettanto evidente che il medesimo effetto si verifica nelle
ipotesi in cui, dopo il compimento di un atto interruttivo, non risulti compiuto nel
procedimento, entro i termini temporali normativamente prefissati dall’art.157
cod.pen., alcun altro atto idoneo a determinare la interruzione ( cfr. ex multis
Cass.pen. 5ez.5 n.1018 del 3.12.1999 e, più di recente, Cass.pen. Sez.2 n.35278 del
19.6.2007).
2.2) Il ricorrente, però, non tiene conto che, essendo stati i reati commessi dopo
l’entrata in vigore della norma, trova applicazione l’art.157 c.p., come riformulato con
la L.251/2005, secondo cui, ai fini della determinazione della pena, non si tiene conto
delle circostanze attenuanti ad effetto speciale (nel caso di specie art.73 comma 5
bPR 309/90). La pena quindi andava determinata in relazione al comma 1 del medesimo
art.73, per cui non era certo maturata la prescrizione al momento dell’emissione
(29.1.2013) dell’avviso per la fissazione del procedimento in camera di consiglio
davanti alla Corte di Appello (cfr. ricorso).
2.3) Quanto alla circostanza attenuante di cui al comma 7, secondo la giurisprudenza
di questa Corte, perchè sia integrato l’elemento della collaborazione occorre, quanto
meno, che il contributo fornito dal soggetto risulti concretamente utile, cioè tale da

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OSSERVA

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determinare in maniera diretta un esito favorevole per le indagini e la cessazione
dell’attività criminale ad essa relativa (cfr-Cass.pen-sez.4 n.28548 del 29.7.2005).
L’attività positiva richiesta, che la norma riassume nell’espressione “si adopera”, può
anche risolversi nel rendere dichiarazioni, che però non devono consistere in semplici
chiamate in correità o in indicazioni generiche sulle modalità di consumazione del
reato, ma devono possedere, quanto meno, una concretezza ed efficacia per i fini
investigativi (Cass.pen.sez.4, 22.4.2004; conf.Cass.pen.sez.4 n.20237 del 14.6.2006).
2.3.1) La Corte territoriale ha correttamente rilevato che non ricorrevano le
condizioni per l’applicabilità dell’invocata attenuante, essendosi l’imputato limitato a
fornire generiche indicazioni del soggetto dal quale avrebbe acquistato la sostanza
stupefacente.
2.4) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a
favore della cassa delle ammende della somma che pare congruo determinare in euro
1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
2.4.1) Va solo aggiunto che l’inammissibilità del ricorso preclude (cfr.Sez.Un.
sent.n.23428/2005-Bracale) la possibilità di dichiarare la prescrizione maturata (alla
luce della riformulazione dell’art.73 comma 5 DPR 309/90 con il D.L. 146/2013) dopo
l’emissione della sentenza impugnata..
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro
1.000o(…..A9Ao0).
Così deciso in Roma il 28.2.2014

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