Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23060 del 11/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 23060 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
MESSINA
nei confronti di:
RIBAUDO FILIPPO N. IL 18/05/1942
SINATRA GASPARE N. IL 19/12/1943
avverso la sentenza n. 2357/2008 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di MESSINA, del 01/02/2010
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA FIDANZIA;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 11/04/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott.ssa Paola Filippi, ha concluso per
l’annullamento senza rinvio.
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 1 febbraio 2010 ilrrfibunale di Messina dichiarava il non
doversi procedere nei confronti di Sinatra Gaspare e Ribaudo Filippo per i reati di falso
ideologico in atto pubblico di cui all’art. 479 c.p. perché il fatto non costituisce reato.
I due imputati, il primo quale Commissario Straordinario del Comune di Messina, il
secondo quale segretario generale dello stesso ente, sono stati accusati di aver falsamente

Consorzio per i servizi socio-sanitari ed assistenziali C.I.S.S.A. del 30.4.2008, atti fidefacenti
fino a querela di falso, che le relative proposte di soppressione e nuova costituzione erano
munite dei pareri ed attestazioni prescritti dalla legge resi dai responsabili degli uffici
competenti, come da relazione in calce alla proposta medesima, mentre tali pareri obbligatori
erano strati espressi in data successiva alla deliberazione, rispettivamente il 5 e 1’8 maggio.
Il Tribunale di Messina ha altresì dichiarato il non doversi procedere nei confronti del solo
Sinatra, perché il fatto non sussiste, in relazione al delitto di cui all’art. 323 c.p., perché, nella
stessa qualità, aveva adottato le deliberazioni di cui sopra in assenza dei pareri sulla regolarità
tecnica e contabile previsti dalla legge, così cagionando intenzionalmente al Comune di
Messina un danno ingiusto derivante dalla soppressione dell’Istituzione dei Servizi Sociali.
2. Ha proposto appello, qualificato dalla Corte d’Appello di Messina come ricorso per
cassazione (inviandolo a questa Corte), il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di
Messina con un unico motivo.
Il ricorrente si è richiamato alla motivazione con cui questa Corte, investita della
grossolanità del falso in sede cautelare, aveva rilevato che la struttura “composita” dell’atto di
cui si assumeva la falsità (deliberazione inglobante la proposta di delibera contenente il
parere) contrastava con la valutazione di immediata percepibilità del falso da parte del lettore.
Ha quindi evidenziato come difettasse, nel caso specie, la inidoneità assoluta della
condotta ad assumere efficienza causale nella produzione dell’evento.
Il ricorrente ha concluso osservando che tale fattispecie avrebbe richiesto più
prudentemente l’approfondimento del contraddittorio dibattimentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato e va accolto limitatamente ai capi 1) e 2) della rubrica.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di falso ideologico è
configurabile il reato impossibile di cui al comma secondo dell’art. 49 cod. pen., a condizione
che la difformità dell’atto dal vero non risulti riconoscibile “ictu oculi”, ovvero in base alla mera
disamina dello stesso e la grossolana falsificazione sia immediatamente riconoscibile da
chiunque (Sez. 2, n. 5687 del 06/12/2012 – dep. 05/02/2013, Rv. 255680).
Peraltro, è stato più volte ribadito da questa Corte che la grossolanità del falso si inqi.dra
nell’ipotesi del reato impossibile quando vi sia l’inidoneità assoluta dell’azione falsificatoria
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attestato nelle delibere di soppressione dell’Istituzione per i servizi sociali e di costituzione del

trarre altri in errore e, perciò, a ledere la pubblica fede. L’art. 49 c.p., quindi, può trovare
applicazione, per la grossolanità della falsificazione, solo nelle ipotesi in cui sia del tutto
impossibile il verificarsi dell’evento dannoso o pericoloso, che è costituito appunto dall’inganno
della pubblica fede.
Nel caso di specie, non vi è dubbio che non ricorrano i presupposti sopra individuati ai fini
della configurabilità del falso grossolano.
Già questa Corte nell’esame di questa fattispecie in sede cautelare, aveva evidenziato che
proprio la struttura composita dell’atto di cui si assume la falsità ( deliberazione del Consiglio

dell’organo competente) contrasti con la valutazione di immediata percepibilità del falso da
parte del lettore.
Tale struttura potrà essere conosciuta da chi abbia almeno un minimo di consuetudine con
le prassi amministrative ma non certo da qualunque cittadino, seppur dotato di comune
diligenza ed avvedutezza, con la conseguenza che, nel caso di specie, l’azione falsificatoria
non poteva essere ritenuta assolutamente inidonea e quindi del tutto impossibile il verificarsi
dell’evento dell’inganno della pubblica fede.
Correttamente il Procuratore ricorrente ha evidenziato che i due imputati hanno
verosimilmente tenuto conto del naturale frettoloso atteggiamento del destinatario dell’atto,
compilando avventatamente, ma con qualche speranza di buon esito, il modulo dell’atto
amministrativo confidando nel mancato controllo dell’esattezza della data del parere
(intervenuto nei giorni successivi alla delibera per cui è processo) o nella non conoscenza da
parte di chiunque della sua doverosità.
Va inoltre osservato che il Procuratore ricorrente, nelle proprie conclusioni, ha proposto
ricorso nei confronti degli imputati, censurando la sentenza impugnata, “per i reati loro
ascritti”, tra cui deve quindi comprendersi anche il reato di cui al capo 3) di abuso d’ufficio.
Orbene, con riferimento a quest’ultimo delitto il ricorso si appalesa inammissibile essendo
comunque il reato estinto per intervenuta prescrizione, essendo questa maturata, avuto
riguardo alla data di commissione del fatto contestata nel capo d’imputazione (30 aprile
2008), al termine ordinario di prescrizione di sette anni e sei mesi (comprensivo dell’aumento
di un quarto della prescrizione) e del periodo di sospensione della prescrizione di 70 giorni per
il legittimo impedimento del difensore, il 10 gennaio 2016.
E’, infatti,consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale, in
presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di
assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee
ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua
rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la
valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di
“constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi

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Comunale inglobante la proposta di delibera conforme e contenente il parere obbligatorio

incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490
del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274-5), circostanza non sussistente nel caso di specie.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi 1) e 2) con rinvio al Tribunale di
Messina per l’ulteriore corso. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 11 aprile 2016
re

Il Presidente

Il consi

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