Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23056 del 23/04/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 23056 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da D’Angelo Aniello, n. a Napoli il 22/01/1978;
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli in data 20/04/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale V. D’Ambrosio, che ha concluso per il rigetto;

RITENUTO IN FATTO

i. Con sentenza del 20/04/2012 la Corte d’Appello di Napoli ha rideterminato,

quanto ai reati di ricettazione e di cui all’art. 171 ter, commi 1 e 2, lett. b) della
I. n. 633 del 1941 commessi il 25/03/2004, in relazione alla ricezione e alla
detenzione per la vendita di due dvd e di 168 cd per playstation abusivamente
duplicati e privi di contrassegno, la pena di cui alla sentenza di condanna del
Tribunale di Napoli nei confronti di D’Angelo Aniello, in anni uno e mesi quattro
di reclusione ed euro 467,00 di multa.
2. Ha proposto ricorso l’imputato tramite il proprio difensore

Data Udienza: 23/04/2013

Con un primo motivo deduce mancanza di prova in ordine alla detenzione per la
vendita del materiale sequestrato, avendo il giudice di primo grado unicamente
accertato la mera presenza dei supporti in un locale commerciale senza
indicazione, nel verbale, dei luoghi di custodia degli stessi; né vi sarebbe prova
circa la abusiva duplicazione, soltanto ipotizzata dal Tribunale.
Quanto alla ricettazione, non vi è in atti alcuna prova in ordine alla ricezione da
procedere alla duplicazione dei supporti sequestrati anche in concorso con terzi.
Eccepisce in ogni caso l’impossibilità di configurare un concorso tra la condotta di
detenzione per la vendita dei supporti abusivamente riprodotti e la condotta di
ricettazione.
Con un secondo motivo lamenta che, a seguito della intervenuta declaratoria di
estinzione con riferimento al reato di cui al capo b), la pena sia stata diminuita di
soli tre mesi quando l’aumento a titolo di continuazione era stato in primo grado
di un anno. Deduce inoltre la conseguente erronea diminuzione da un anno e
mesi sei ad un anno e mesi quattro di reclusione in violazione del divieto di
reformatio in peius nonostante l’erronea individuazione da parte del giudice di
primo grado della pena base.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo motivo è manifestamente infondato. La sentenza impugnata ha

logicamente desunto la destinazione alla vendita dei prodotti abusivamente
duplicati dalla qualifica dell’imputato di rivenditore di prodotti audio-video e dal
rinvenimento di tali oggetti all’interno del negozio; quanto alla prova dell’abusiva
duplicazione, la Corte ha, anche in tal caso, logicamente argomentato sulla base
del confezionamento artigianale dei prodotti le cui locandine, anziché in originale,
erano fotocopiate. Va infatti ricordato che la prova dell’illecito di abusiva
duplicazione o riproduzione di supporti audiovisivi, ben può essere raggiunta, a
prescindere dalla mancanza del contrassegno Siae, non valorizzabile, in relazione
al tempo di commissione dei fatti, neppure come indizio, sulla base di altri
elementi , tra i quali, anche, il confezionamento, il tipo di supporto utilizzato,
l’assenza di laghi e marchi del produttore o l’utilizzo di copertine fotocopiate
(Sez. 3, n. 45955 del 15/11/2012, Celentano, Rv. 253880).
L’ulteriore doglianza, sempre di cui al primo motivo, con cui si contesta la
motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermata responsabilità per
la ricettazione, è inammissibile. A fronte della logica argomentazione della Corte
territoriale secondo cui, incontestabile la intervenuta duplicazione, non sono stati
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parte di terzi del materiale proveniente da reato, ben avendo lui stesso potuto

rinvenuti, nell’esercizio, strumenti necessari a porre in essere la stessa, nel
ricorso ci si è limitati a dedurre, seguendo una inammissibile lettura alternativa
oltre che generica, che ben avrebbe potuto lo stesso ricorrente procedere alla
duplicazione dei supporti sequestrati o concorrere in essa con altri soggetti.
Quanto alla ulteriore censura svolta in ordine al ritenuto concorso tra il reato di
ricettazione e il reato di cui alla legge speciale, la stessa è manifestamente
secondo quanto statuito anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, il concorso tra
il reato di ricettazione e quello di detenzione a fini di commercio di prodotti
audiovisivi, fonografici, informatici o multimediall abusivamente riprodotti (art.
171 ter I. n. 633 del 1941), si configura relativamente alle condotte poste in
essere anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 248 del 2000 e
successivamente all’entrata in vigore del d. Igs. n. 68 del 2003, prevalendo,
invece, sul delitto di ricettazione, l’illecito amministrativo di cui all’art.16 della L.
n. 248 del 2000 unicamente ove i fatti siano stati posti in essere nell’intervallo
tra detti due provvedimenti (Sez. U., n. 47164 del 20/12/2005, Marino, Rv.
232302; nel medesimo senso, Sez. 2, n. 23544 del 12/05/2009, Amò, Rv.
244515).

4» Il secondo motivo è anch’esso manifestamente infondato; contrariamente a
quanto lamentato dal ricorrente, l’aumento a titolo di continuazione operato sulla
pena base detentiva era stato determinato in anni uno non con riferimento al
solo reato poi dichiarato estinto per prescrizione dalla Corte territoriale ma,
indistintamente, per tutti e tre i reati satelliti; va inoltre osservato come la
diminuzione della pena detentiva ad anni uno e mesi quattro non sia affatto
erronea essendo invece il risultato della diminuzione della pena di anni due per
effetto del rito abbreviato; né, quanto alla lamentata violazione del divieto di
reformatio in peius, la Corte ha adottato, pur rilevando l’errore del giudice di

primo grado, che avrebbe dovuto irrogare una pena base detentiva non inferiore
a quella, pari al minimo edittale, di anni due, una pena base superiore a quella
dallo stesso individuata.
5. Il ricorso è pertanto inammissibile. L’inammissibilità originaria del ricorso, non
consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la
possibilità di rilevare e dichiarare le eventuali cause di estinzione dei reati, ivi
compresa la prescrizione, maturate successivamente alla sentenza di merito, per
quanto appena detto non validamente impugnata (Sez. U., n. 32 del
22/11/2000, De Luca).
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infondata avuto riguardo al tempus commissi delicti; va infatti ricordato che,

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6. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del grado, e della somma indicata in dispositivo, ritenuta
equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 c.p.p.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma il 23 aprile 2013

DEPOSITP:P, CANCELLERIA

P.Q.M.

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