Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23039 del 12/07/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 23039 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SECIC ZENJA N. IL 14/06/1975
ivIZ.~02)
avverso la sentenza n. 525/2012 TRIBUNALE di ROMA, del
20/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 12/07/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 20 luglio 2012 il Tribunale di Roma, in funzione di
giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da Secic Zenja, volta al
riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati con le sentenze
indicate nel provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso il 15 aprile
2011 dalla Procura della Repubblica di Roma, e riportate nella epigrafe della

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
del suo difensore, l’interessata, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di tre
motivi, denunciando:
con il primo motivo, violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc.
pen., in relazione all’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., per non avere il
Tribunale preso in considerazione le proposte richieste istruttorie;
con il secondo motivo, violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., per avere il Tribunale richiamato la motivazione posta a fondamento della
precedente ordinanza del 27 gennaio 2011, senza tenere conto delle sentenze
depositate e delle deduzioni svolte anche a fondamento della subordinata
richiesta di riconoscimento della continuazione tra gruppi di reati;
con il terzo motivo, violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen., in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen. e contraddittorietà
ovvero mancanza della motivazione, per essersi fondata la valutazione del
Tribunale su considerazioni astratte e generiche, non riferite al caso in esame e
agli elementi rappresentati, che comprovavano la sussistenza degli indici
rivelatori della unicità del disegno criminoso anche solo in relazione ad alcuni dei
reati indicati.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Questa Corte ha più volte affermato che il principio della preclusione

ne bis in idem, sancito dalla norma

processuale, derivante dal divieto del

fondamentale di cui all’art. 649 cod. proc. pen., ha carattere generale e, con i
dovuti adattamenti, è applicabile alle procedure di cognizione e di esecuzione e,
soprattutto, ad ogni forma di impugnativa, di riesame e di revoca di
procedimenti giudiziali, rispetto ai quali assume anche la funzione di garanzia
2

stessa ordinanza.

della osservanza della tassatività delle ipotesi e dei relativi termini di decadenza
(tra le altre, Sez. 6, 3586 del 26/11/1993, dep. 07/02/1994, Busterna, Rv.
196628; Sez. 5, n. 14893 del 29/01/2010, dep. 19/04/2010, De Battisti, Rv.
246867).
Nel detto principio, che comporta che, data una domanda e una decisione
sulla stessa, tale decisione acquista stabilità in relazione alle questioni dedotte e
trattate con provvedimento definitivo, si iscrive la regola, fissata dall’art. 666,
comma 2, cod. proc. pen., che impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare

rigettata, basata sui “medesimi elementi” (tra le altre, Sez. 1, n. 5613 del
21/12/1993, dep. 22/02/1994, Lo Casto, Rv. 196544; Sez. 1, n. 3736 del
15/01/2009, dep. 27/01/2009, P.M. in proc. Anello, Rv. 242533), dovendo,
invece, considerarsi ammissibile la richiesta relativa allo stesso oggetto, ma
basata sulla prospettazione di nuove ragioni di diritto o nuovi elementi di fatto,
diversi da quelli presi precedentemente in considerazione, indipendentemente
dal fatto che siano preesistenti o sopravvenuti (tra le altre, Sez. 5, n. 3264 del
20/10/1993, dep. 03/11/1993, Colecchi, Rv. 196033; Sez. 1, n. 36005 del
14/06/2011, dep. 04/10/2011, Branda, Rv. 250785).
3. Nel caso di specie, il Giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza impugnata,
ha rilevato che la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato
costituiva, con riguardo a tutte le sentenze di condanna indicate dalle lettere da
A ad M, mera ripetizione di precedente analoga richiesta, già valutata con
ordinanza del 27 gennaio 2011, e ha rappresentato che, in relazione alla
ulteriore sentenza di condanna dell’8 marzo 2006 dello stesso Tribunale, indicata
alla lettera N e non presa in considerazione nel precedente provvedimento, non
erano ravvisabili elementi dimostrativi della identità del disegno criminoso tra il
reato di furto dalla stessa giudicato e i reati puniti con le altre sentenze,
piuttosto che di recidiva o di abitualità nel reato.
4. Tali argomentazioni resistono alle censure della ricorrente che, con i
proposti motivi, reiterando la dedotta sussistenza di un unico disegno criminoso,
e cioè dell’elemento qualificante, nell’ambito del concorso materiale di reati,
l’istituto della continuazione, ha dedotto la sussistenza di elementi nuovi, allegati
e non valutati, e la possibile deducibilità di elementi, già non ritenuti sussistenti,
dalle acquisizioni istruttorie (notizie di reato e annotazioni di servizio), chieste e
non disposte, e ha rappresentato che le circostanze evidenziate dovevano
fondare l’accoglimento, sia pure parziale, della richiesta.
In tal modo, la ricorrente né ha indicato, anche in questa sede, quali siano
gli elementi di novità, sopravvenuti o preesistenti e non considerati, rispetto a
quelli già posti a fondamento della originaria richiesta di riconoscimento del
vincolo della continuazione rivolta al giudice della esecuzione, che l’ha disattesa,
3

inammissibile . la richiesta che costituisca mera riproposizione di altra già

idonei ad essere valutati nel merito al fine del riconoscimento del reato
continuato superando la preclusione derivante dal giudicato esecutivo, né ha
svolto alcuna censura specifica, in correlazione con gli elementi evidenziati e gli
argomenti spesi nella ordinanza impugnata, con riguardo al diniego della
continuazione rispetto al reato di cui alla sentenza sub N, estranea alla
precedente ordinanza.
5. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e,

causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro
1.000,00 alla Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della

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