Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23036 del 07/05/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23036 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
NECULA MARIAN CLAUDIU nato il 25/06/1990, avverso la sentenza del
16/04/2012 della Corte di Appello di Bari;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Enrico Delehaye che
ha concluso per il rigetto;
udito il difensore avv.to Nicola Massafra che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso
FATTO
1. Con sentenza del 16/04/2012, la Corte di Appello di Bari
confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Trani in data 16/06/2011
con la quale, diversamente qualificata l’originaria imputazione per il
reato di tentato omicidio aggravato ex artt. 81, 110, 61 n. 2, 56-575,
576 n. 1 cod. pen., APOSTOL Ilie Marian e NECULA Marian Claudiu
venivano condannati per i reati di lesioni personali aggravate, tentata
rapina aggravata e porto di armi ex artt. 81, 110, 61 n. 2, 583 comma
1, 585, 56-628 comma 3 n. 1 e 2 cod. pen. e art. 4 L. 110/75.

Data Udienza: 07/05/2013

Il fatto per cui gli imputati sono gravati da procedimento penale è il
seguente.
I prevenuti, in concorso tra loro, colpivano Patruno Mauro con un
pugno violentissimo all’occhio sinistro e con uno zaino, contenente
un’ascia e un punteruolo metallico di circa 30 cm, cagionandogli lesioni

chiudevano la bocca con del nastro adesivo al fine di impossessarsi del
denaro delle casse del centro telematico Internet Point “Bet Shop”,
senza tuttavia riuscire a prelevare il denaro a cause delle grida del
Patruno.

2. Avverso la suddetta sentenza, il solo NECULA Marian Claudiu, a
mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione,
deducendo i seguenti motivi:
2.1. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 516/1 – 521/2 COD. PROC. PEN. per avere
la Corte territoriale violato il principio di correlazione tra l’imputazione
contestata e la sentenza. Il ricorrente lamenta che, pur essendo emerso
in dibattimento un fatto diverso da quello originariamente contestato, il
P.M. non aveva modificato l’originaria imputazione per tentato omicidio
e non aveva quindi proceduto alla nuova contestazione per lesioni
personali, limitandosi invece ad una mera riqualificazione giuridica del
fatto in fase di requisitoria. Secondo la difesa, tale errato giudizio
sarebbe stato poi commesso anche dal Tribunale e dalla Corte di
Appello, che avevano riqualificato in sentenza il fatto di reato, senza
procedere alla doverosa rimessione degli atti al P.M.
2.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 453/1- 2, co. PROC. PEN. per non avere la
Corte di Appello motivato il rigetto dell’eccezione – sollevata nel corso
del dibattimento e riproposta nei motivi di appello – di nullità della
sentenza per difetto dei presupposti applicati del giudizio immediato. Il
ricorrente lamenta che, mancando l’evidenza della prova del delitto di
tentato omicidio ed essendo tale reato connesso agli altri ex art. 81 cod.
pen., si sarebbero dovuti separare i processi, come prescritto dall’art.
453, comma 2, cod. proc. pen.

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personali giudicate guaribili in 60 giorni; inoltre, lo immobilizzavano e gli

2.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 56, COMMA 3, COD. PEN per avere la Corte

distrettuale, con argomentazioni contraddittorie rispetto a quanto
affermato dal Tribunale, ritenuto inapplicabile l’istituto della desistenza
volontaria.
2.4. ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 458 COD. PROC. PEN. IN

per non avere la Corte di Appello giustificato la dichiarazione di
manifesta infondatezza della questione rappresentata nell’atto di
gravame. Il ricorrente ritiene che il termine perentorio di 15 giorni dalla
notifica del decreto che dispone il giudizio immediato entro il quale
l’imputato, ai sensi dell’art. 458 cod. proc. pen., può scegliere un rito
alternativo violi gli artt. 3, 24 e 111 Cost. e l’art. 6, comma 3, lett. b)
CEDU: infatti, sarebbe ingiustificata la disparità di trattamento del
soggetto nei cui confronti si procede con giudizio immediato rispetto a
chi è rinviato a giudizio con citazione diretta, in quanto quest’ultimo può
optare per un rito alternativo fino all’apertura del dibattimento. La
parificazione tra le due discipline si giustificherebbe in ragione: a)
dell’identità degli incombenti previsti alla prima udienza in entrambi i
procedimenti; b) della difficoltà, a causa del breve lasso temporale, per
l’imputato di conferire preventivamente con il proprio difensore e per
quest’ultimo di consultare adeguatamente gli atti del procedimento e di
esprimere una ponderata valutazione circa la convenienza del rito; c)
delle peculiarità del giudizio immediato, che richiede il previo
interrogatorio dell’imputato e l’evidenza della prova; d) dell’inefficacia
della limitazione temporale imposta al giudizio immediato ai fini della
celerità del rito.
2.4. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 62 BIS, 132, 133 COD. PEN. ED OMESSA,
ILLOGICA E CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE per avere la Corte di Appello
respinto le censure, contenute nell’atto di gravame, riguardanti la
concessione delle attenuanti generiche e la non congruità della pena
inflitta, senza valutare le modalità operative dell’azione criminosa, lo
stato di incensuratezza degli imputati, la loro immediata ammissione di
responsabilità e la loro fattiva collaborazione alle indagini. La
motivazione della Corte distrettuale, che si era limitata a rinviare alla

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RELAZIONE AGLI ARTT. 3, 24, 111 COST. ED OMESSA ED ILLOGICA MOTIVAZIONE

gravità dei fatti, non sarebbe logica, in quanto – secondo la tesi
difensiva – tutti gli elementi valorizzati nel giudizio sulla pena devono
essere dialetticamente contrapposti a quelli antitetici.

1. VIOLAZIONE DEGLI ARTr.

516/1 – 521/2 COD. PROC. PEN.: il Motivo

non è fondato, in quanto la fattispecie concreta, originariamente
contestata all’odierno ricorrente, non differisce dalla ricostruzione
effettuata nella sentenza e non ha subito alcuna trasformazione radicale
nei suoi elementi costitutivi.
Infatti, è già nella stessa formulazione dell’imputazione che è
contenuta l’accusa per le lesioni, le quali costituiscono, nel caso in
discussione, gli atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere
il delitto di omicidio. In altre parole, secondo la contestazione formulata
dal P.M., il reato di tentato omicidio non poteva essere realizzato se non
passando attraverso la realizzazione delle lesioni, che è reato che si
trova, nella fattispecie concreta, in rapporto di continenza con quello di
cui all’art. 575 cod. pen.
Pertanto, la comparazione concreta tra il fatto contestato e quello
ritenuto non evidenzia le diversità nei connotati materiali lamentate dal
ricorrente.
Inoltre, la valorizzazione del criterio “teleologico” del mancato
pregiudizio per la difesa dell’imputato, quale limitazione di derivazione
giurisprudenziale del generale principio di cui all’art. 521 cod. proc.
pen., esclude la lesione della garanzia del contraddittorio. Infatti, non vi
è dubbio che, nel corso del dibattimento, gli imputati abbiano avuto la
possibilità di difendersi adeguatamente in merito ad ogni aspetto del
reato di lesioni. A tal proposito, non può non osservarsi che essi si sono
pienamente assunti la responsabilità dell’azione criminosa, e pertanto
non hanno mai negato di aver usato violenza nei confronti della persona
offesa e di avergli cagionato le gravi lesioni riportate nella colluttazione.
Anzi, l’intera strategia difensiva si è incentrata proprio sull’elemento
soggettivo del tentato omicidio e sulla dimostrazione della mancanza

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DIRITTO

dell’animus necandi e – quantomeno implicitamente – della sussistenza
della sola consapevolezza di provocare danni fisici alla vittima.
Ne consegue che la derubricazione effettuata in sentenza
dell’accusa di tentato omicidio in quella di lesioni personali è in questo
caso ammissibile, non essendo ravvisabili profili di indebita immutazione

della pronunzia con l’imputazione contestata.
Da ultimo, quanto al pregiudizio processuale che il ricorrente
lamenta e cioè di non aver potuto accedere ad un rito alternativo in
seguito alla diversa imputazione per lesioni aggravate, va osservato che
la censura poggia sull’errato presupposto che il fatto contestato fosse
effettivamente diverso da quello ritenuto dai giudici di merito: nulla,
infatti, impediva al ricorrente di chiedere ugualmente il rito abbreviato
per il reato di lesioni.

2. VIOLAZIONE DELL’ART. 453/1 – 2 COD. PROC. PEN.: il motivo di ricorso
è infondato. La Corte di merito ha correttamente rigettato l’eccezione di
nullità della sentenza di primo grado per difetto dei presupposti
applicativi del giudizio immediato. È infatti orientamento consolidato
nella giurisprudenza di questa Suprema Corte – e citato in modo
pertinente dalla Corte di Appello – che «in tema di giudizio immediato,
una volta disposto il rito, il giudice del dibattimento non può sindacare la
sussistenza delle condizioni necessarie all’adozione del decreto ex art.
456 cod. proc. pen., non essendo previsto dalla disciplina processuale
un controllo ulteriore rispetto a quello attribuito al G.i.p. al momento
della decisione sulla richiesta di giudizio immediato avanzata dal P.M.»:
Cass. 6989/2011, rv. 249463).

3. VIOLAZIONE DELL’ART. 56/3 COD. PEN.: il motivo è infondato. La
Corte di Appello, con motivazione logica ed coerente, ha correttamente
rilevato l’assenza, nel caso di specie, del requisito della spontaneità
dell’atto, necessario per potersi ritenere sussistente l’esimente di cui
all’art. 56, comma 3, cod. pen.

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del fatto ed essendo stato rispettato il canone legale della correlazione

Infatti, secondo la ricostruzione fattuale operata dai giudici di
merito, l’azione criminosa non si compì a causa dell’inaspettata reazione
della vittima, che iniziò a gridare, e della maggiore gravità delle lesioni
personali riportate nella colluttazione dalla vittima rispetto a quelle
preventivate dagli autori dell’aggressione.

l’argomentazione difensiva che, nel censurare per illogicità la sentenza
di secondo grado, individua il presupposto della volontarietà della
desistenza nell’impossibilità per la parte offesa, giacente a terra priva di
sensi, di opporsi all’impossessamento del denaro presente nel proprio
esercizio commerciale: in altri termini, poiché la vittima dell’aggressione
era tramortita e non poteva reagire, gli imputati non avrebbero
prelevato l’incasso per libera scelta. E evidente, invece, che ad essere
illogico è tale ragionamento, che finirebbe per avvantaggiare i rapinatori
della condizione di impotenza della vittima da loro stessi causata con
violenza.

4. ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 458 COD. PROC. PEN. IN
RELAZIONE AGLI ARTT. 3, 24, 111 COST. ED OMESSA ED ILLOGICA MOTIVAZIONE: la
questione di incostituzionalità è manifestamente infondata.
Secondo la prospettazione del ricorrente, l’art. 458 cod. proc.
pen., nella parte in cui fissa in 15 giorni dalla notifica del decreto che
dispone il giudizio immediato il termine perentorio entro il quale
l’imputato può scegliere un rito alternativo, violerebbe gli artt. 3, 24 e
111 Cost. art. 6, comma 3, lett. b) CEDU.
In via preliminare, è opportuno ricordare che la Corte
Costituzionale ha ripetutamente affermato che

«è consentito al

legislatore, valutando la diversa struttura dei procedimenti, i diritti e gli
interessi in gioco, le peculiari finalità dei vari stati e gradi della
procedura, dettare specifiche modalità per l’esercizio del diritto di difesa,
alla tassativa condizione, però, che esso venga, nelle differenti situazioni
processuali, effettivamente garantito a tutti su un piano di uguaglianza»
ed in forme idonee (Corte cost. 125/1979; negli stessi termini anche
Corte cost. 80/1984, 188/80, 162/1975, 159/1972).

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Peraltro, non può essere tenuta in alcuna considerazione

Quanto alla questione della conformità agli artt. 3 e 24 Cost.
dell’art. 458 cod. proc. pen. e del combinato disposto degli artt. 458,
comma 1, e 556, comma 1, cod. proc. pen. – nella parte in cui non
prevedono che nel caso di giudizio immediato l’imputato possa
formulare la richiesta di giudizio abbreviato fino all’apertura del
già stata sottoposta all’attenzione della Consulta e dichiarata
manifestamente infondata sul rilievo che, nel caso in cui l’azione penale
venga esercitata mediante richiesta di giudizio immediato, rivolta ex art.
454 cod. proc. pen. al G.I.P., è coerente con i caratteri di celerità e di
economia processuale del giudizio abbreviato che sia lo stesso giudice
ad essere direttamente investito della richiesta del rito alternativo:
Corte cost. 265/2002.
5.

TRATTAMENTO SANZIONATORIO:

le censure sono manifestamente

infondate.
La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione del consolidato
principio di diritto sancito dalla giurisprudenza di questa Corte di
legittimità, secondo cui la meritevolezza della concessione delle
attenuanti generiche «non può mai essere data per scontata o per
presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga
invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo,
l’affermata insussistenza»: l’esclusione della circostanze di cui all’art. 62

bis cod. pen. risulta «adeguatamente motivata alla sola condizione che il
giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento
delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno
del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta
necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui
quali la richiesta stessa si fonda» (Cass. 11361/1992, rv. 192381; così

anche Cass. 38383/2009, rv. 245241).
La richiesta di concessione delle attenuanti generiche è stata
rigettata sulla base della gravità dei fatti – per la ricostruzione dei quali
la Corte distrettuale si è legittimamente limitata a rinviare alla sentenza
di primo grado – e dell’intensità del dolo.

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dibattimento di primo grado – va osservato che la suddetta questione è

Infatti, secondo il giudizio della Corte, la condotta degli imputati
non meritava alcuna mitigazione del trattamento sanzionatorio, in
quanto, dopo aver colpito al volto la vittima, non hanno esitato, in
seguito alla sua inaspettata resistenza, pur di impossessarsi dell’incasso
della giornata, a colpirlo ripetutamente in altre parti del corpo fino a
La Corte di merito ha peraltro ritenuto irrilevanti sia
l’incensuratezza dei prevenuti sia l’ammissione di responsabilità degli
stessi, mostrando perciò di tenere in considerazione gli elementi dedotti
dal ricorrente.
Infine, coerente ed adeguata e, quindi, incensurabile è anche la
motivazione con cui la pena inflitta in primo grado è stata ritenuta
proporzionata sia alla gravità dei fatti che alle sanzioni previste per
ciascun reato.
6. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
RIGETTA
il ricorso e
CONDANNA
Il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma 07/05/2013
SIDENTE
(Dott.

io Esposito)

renderlo innocuo e a cagionargli gravi lesioni personali.

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