Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2303 del 06/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 2303 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da D’AURIA Nicola, nato il 17.2.1965 ad Ortona (CH),
avverso la sentenza del 26 novembre 2011 della corte d’appello dell’Aquila
Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Aldo Policastro che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’avvocato Vincenzo Gatta ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
la Corte osserva:

Data Udienza: 06/12/2012

RITENUTO IN FATTO
1. D’AURIA Nicola, nato il 17.2.1965 ad Ortona (CH) era imputato del
reato di cui all’art. 256 co. 1, D.L.vo 152/06 perché, in qualità di legale
rappresentante della ditta D’Auria, senza essere in possesso della prescritta
autorizzazione smaltiva rifiuti (fanghi di depurazione) in concorso con Zulii
Camillo, nei confronti del quale si procedeva separatamente, il quale ricevuti i
fanghi provvedeva a spargerli su un terreno di sua proprietà sito in località
Cocullo di Ortona (accertato in Ortona il 6.2.2006).

Con sentenza emessa in data 30 luglio 2009 il Tribunale di Chieti, Sezione
distaccata di Ortona, in composizione monocratica, ha condannato D’Auria
Nicola, per il reato di cui all’art. 51, primo comma lettera a) e secondo comma
del D. L. vo 22/97, previa riqualificazione del fatto in termini di abbandono
indiscriminato di rifiuti non pericolosi da parte di soggetto titolare d’impresa, alla
pena di mesi tre di arresto.
2. Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell’imputato
chiedendo la riforma della sentenza impugnata con la conseguente emissione di
sentenza assolutoria, anche ai sensi dell’art. 530, secondo comma, c.p.p
La Corte d’appello dell’Aquila con sentenza del 26 novembre 2010 ha
confermato la sentenza in data 30.7.2009 del Tribunale di Chieti – sezione
distaccata di Ortona, condannando l’imputato D’Auria Nicola al pagamento delle
maggiori spese.
3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone tempestivo ricorso per
cassazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il ricorso, articolato in tre motivi, il ricorrente deduce che la norma
contestata non era applicabile giacché si applicava solo la disciplina specifica
dettata dal d.lgs. n.99 del 1992, denunciando anche la violazione del principio di
specialità di cui all’art. 15 c.p. ed il difetto di motivazione.
2. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
E’ sufficiente in proposito richiamare e ribadire quanto già ritenuto da
questa Corte (Cass., Sez. III, 11/04/2003 – 3/07/2003, n. 28484) che ha
affermato che in materia di fanghi derivanti dai processi di depurazione le attività
di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento (consistente nella modifica
delle caratteristiche fisico-chimiche-biologiche dei fanghi per facilitarne l’uso
agricolo) sono sottoposte, oltre che alle disposizioni del decreto legislativo 27
gennaio 1992 n. 99, sull’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura,
anche alla disciplina del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 sui rifiuti,
stante la espressa clausola di salvezza contenuta negli artt. 8 e 16 del citato
17103_12 r.g.n

2

L_

u.p. 6 dicembre 2012

(

decreto n. 99, sia pure con riferimento al previgente D.P.R. n.915 del 1982
(conf. Cass. n. 2819 del 1997).
3. Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile.
L’inammissibilità

del ricorso, anche per manifesta infondatezza dei

motivi, configura in ogni caso una causa originaria di inammissibilità
dell’impugnazione, e non sopravvenuta, sicché non si costituisce il rapporto di
impugnazione e conseguentemente non è possibile invocare eventuali cause
estintive dei reati (Cass., sez. un., 22 novembre – 21 dicembre 2000, n.32, De

Tenuto poi conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186 della Corte
costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per
ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria
dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere
delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in
favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2012
Il Consigliere estensore

Il Presidente

Luca).

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