Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23026 del 23/02/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 23026 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI LECCE
nei confronti di:
SPARAPANE LUIGI N. IL 12/05/1958
avverso l’ordinanza n. 740/2015 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
02/10/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO
TUTINELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. geko

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Data Udienza: 23/02/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Lecce, in funzione di
giudice del riesame cautelare, ha annullato l’ordinanza del GIP di Lecce in data
14 luglio 2015 che aveva disposto a carico di SPARAPANE Luigi la misura della
custodia in carcere. L’annullamento è fondato sulla ritenuta

inattualità delle

esigenze cautelari essendo le imputazioni, relative ad un’associazione a
delinquere finalizzata alla commissione di estorsione, riconducibili a condotte
risalenti nel tempo e segnatamente nel periodo tra il 2003 e il 2011.

Ministero allegando carenza di motivazione e violazione dell’articolo 275 comma
3 del codice di rito per avere disatteso la presunzione di sussistenza delle
esigenze cautelari conseguente all’aggravante di cui all’art. 7 del decreto legge
203/91 per come contestata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
4. Va al proposito rilevato che la Corte costituzionale ha individuato la ratio
giustificativa della presunzione assoluta nella struttura stessa della fattispecie e
nelle sue connotazioni criminologiche – legate alla circostanza che l’appartenenza
ad associazioni di tipo mafioso implica un’adesione permanente ad un sodalizio
criminoso di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta
rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice. Da ciò
deriva, nella generalità dei casi e secondo una regola di esperienza
sufficientemente condivisa, una esigenza cautelare alla cui soddisfazione sarebbe
adeguata solo la custodia in carcere (non essendo le misure “minori” sufficienti a
troncare i rapporti tra l’indiziato e l’ambito delinquenziale di appartenenza,
neutralizzandone la pericolosità).
Nel dichiarare con sentenza numero 57 del 2013 l’illegittimità costituzionale
della presunzione assoluta contenuta nell’articolo 275 comma 3 del codice di
procedura penale, la Corte costituzionale ha rilevato che il semplice impiego del
cosiddetto “metodo mafioso” o la finalizzazione della condotta criminosa
all’agevolazione di un’associazione mafiosa non sono necessariamente
equiparabili, ai fini della presunzione in questione, alla partecipazione
all’associazione, ed è a questa partecipazione che è collegato il dato empirico,
ripetutamente constatato, della inidoneità del processo, e delle stesse misure
cautelari, a recidere il vincolo associativo e a far venir meno la connessa attività
collaborativa, sicché, una volta riconosciuta la perdurante pericolosità
dell’indagato o dell’imputato del delitto previsto dall’art. 416-bis cod. pen., è
legittimo presumere che solo la custodia in carcere sia idonea a contrastarla

e

efficacemente.

2. Avverso tale provvedimento propone ricorso per cassazione il Pubblico

Questa stessa Corte ha osservato che anche quando si procede per un
delitto per il quale opera una presunzione “relativa” di adeguatezza della
custodia in carcere, la valutazione in ordine alla sussistenza delle esigenze
cautelari deve precedere temporalmente e logicamente quella relativa alla scelta
della misura da adottare in concreto, sicché, se è esclusa per qualsiasi ragione la
sussistenza delle esigenze di cautela, non residua alcuna necessità di procedere
a valutazioni inerenti la scelta della misura che si è già escluso di dover applicare
Sez. 6, Sentenza n. 42630 del 18/09/2015 Rv. 264984). Il relativo giudizio è

delitti di associazione a delinquere di stampo mafioso (gli unici-di fatto-per cui
sia rimasta la presunzione assoluta) ovvero-per quello che qui interessa- delitti
caratterizzati da modalità od al fine di favorire associazione mafiosa.
Nel primo caso non è la presunzione di per sé ad assumere rilevanza quanto
il fondamento della presunzione medesima. È infatti lo stesso legislatore e lo
stesso giudice delle leggi a segnalare che la richiesta attualità del pericolo deriva
dal carattere tendenzialmente indissolubile del vincolo di adesione. Il fatto che
tale carattere tendenzialmente indissolubile del vincolo abbia specifica rilevanza
ai fini di affermare che l’attualità delle esigenze cautelari connesse al pericolo di
reiterazione è desumibile dalla stessa lettera dell’articolo 274 lettera C) del
codice di rito, nella parte in cui afferma che il pericolo concreto e attuale si
ricollega alla personalità della persona sottoposta ad indagini o dell’imputato e a
specifiche modalità del fatto desumibile da comportamenti o atti concreti. In tutti
i casi quindi in cui emergano modalità di partecipazione sostanzialmente
irretrattabili e non connotate da dissociazione, non sarà possibile opporre
l’inattualità delle esigenze medesime.
Viceversa, nel caso in cui non vi sia concretamente la partecipazione ad una
associazione di stampo mafioso o camorristico ovvero tale partecipazione abbia
caratteri particolari, quali quelli del concorso esterno per come individuati dalla
stessa Corte Costituzionale nella sentenza numero 48 del 25 febbraio 2015, i
profili di attualità potranno assumere ben altra rilevanza posto che non ci si
trova di fronte a situazioni sostanzialmente o normativamente considerate
stabili.
Di tali principi ha fatto buon governo il provvedimento impugnato posto che
le contestazioni in concreto avanzata riguardava una serie di condotte di usura e
una organizzazione delinquere finalizzata alla commissione di usure con
contestazione dell’aggravante di cui all’articolo 7 della legge 203/91. La stessa
pronuncia richiamata in nel contesto del provvedimento (Sez. 4, Sentenza
11/06/2015, n. 26570, Rv 263871) riguarda specificamente valutazioni in
materia di attualità delle esigenze cautelarí in relazione a delitto (quello di cui

tuttavia inevitabilmente di diversa natura a seconda che si abbia a che fare con

all’articolo 74 del d.p.r. 309/90) per cui sussiste presunzione relativa a come,
appunto, avviene nel caso di specie.
A fronte dello svolgimento di tali consolidati principi, il ricorrente non
introduce alcun elemento significativo.
5. A quanto sopra consegue l’inammissibilità del ricorso
P.Q.M.
Dichiara inam

sibile il ricorso del PG.

Così deciso Roma, il 23 febbraio 2016
Il Presidente

Il Consi ere esten

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