Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 23018 del 09/01/2018

Penale Ord. Sez. 7 Num. 23018 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso la sentenza del 02/12/2016 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUCIANO IMPERIALI;

Data Udienza: 09/01/2018

• RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 2/12/2016, ha confermato la condanna di
A.A. pronunciata dal Tribunale cittadino con sentenza del 7/3/2013 in ordine al
reato di cui agli artt. 81 comma 2 e 640 cod. pen.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi

con il primo motivo di ricorso, vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità

del ricorrente in ordine al reato ascrittogli.

sanzionatorio, in particolare contestandosi l’applicazione della recidiva.
Il ricorso è inammissibile.
Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione – la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio
probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente
plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe,
infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel
quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure
attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità,
dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o
affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del
processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività,
l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non
manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati
probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a
conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza
probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di
cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione,
la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il
vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402,
Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia,
Rv. 229369).
Nel caso di specie, la Corte territoriale – senza incorrere in vizi logici o giuridici – ha dato
adeguatamente conto sia delle ragioni che hanno indotto a riconoscere la penale responsabilità
del ricorrente in ordine ad entrambi gli episodi criminosi relativi ai finanziamenti in favore
rispettivamente di F.F. er di O.O, così come delle ragioni che
1

– con il secondo il motivo di ricorso, vizio di motivazione con riferimento al trattamento

hanno portato a riconoscere nella contestata recidiva l’espressione di maggiore pericolosità del
ricorrente, gravato da numerosi precedenti penali, sia eterogenei che specifici, rivelatosi
indifferente alla sanzione penale. Peraltro, le censure del ricorrente non si confrontano con le
argomentazioni della Corte territoriale, sicché debbono considerarsi anche aspecifiche. La
mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua
genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa

aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4,
29/03/2000, n. 5191, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Rv. 230634; Sez. 4,
03/07/2007, n. 34270, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Rv. 237596).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno
2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della
cassa delle ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 9 gennaio 2018

Prestipino

non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di

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